Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi scende in campo con noi in questa sfida Martina Di Giuseppe, tennista italiana di 25 anni, che nella sua carriera ha affrontato e giocatrici del calibro di Kasatkina, Cepelova e Oprandi e che quest’anno ha fatto il suo esordio nel torneo di qualificazione degli Internazionali BNL d’Italia giocando contro la spagnola Arruabarrena, top 100 mondiale. Nel circuito Wta e Itf ha giocato, tra singolo e doppio, più di 350 gare vincendone più di 200.
Ciao Martina, benvenuta nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi dialogheremo un po’ su come hai vissuto momenti importanti nella tua carriera sportiva, per dare possibilità a chi legge di trarne spunti per affrontare la battaglia più importante della sua vita. Per prima cosa però ti chiedo di presentarti ai nostri lettori, parlandoci di te in tutto quel che sei e fai al di fuori dal tennis: chi sei tu Martina in ciò che non riguarda il tuo lavoro?
Ciao a tutti,mi chiamo Martina ho 25 anni abito in provincia di Roma precisamente ai Castelli Romani. Sono una ragazza molto semplice e sensibile. Amo viaggiare e apprezzare la natura, mi piace leggere e guardare le mie serie TV preferite. Credo nei valori della famiglia e sono una di quelle persone che crede ancora pienamente nell’amore.
Immagino che nel tuo percorso per diventare tennista, amore e passione per quello facevi siano stati determinanti. C’è però un tema con cui ti sarai confrontata, e che chi sta affrontando la battaglia contro il cancro in prima persona o con un proprio famigliare conosce molto bene: la speranza. Quando hai capito che nella vita saresti diventata una tennista? C’è stato un giorno in cui quella che consideravi una speranza è diventata una certezza?
Sì, più o meno quando avevo 16 anni. Partivo spesso e non riuscivo più a conciliare lo studio (frequentavo l’istituto tecnico per geometri pubblico) con lo sport. A quel punto decisi di buttarmi sul tennis e andai a scuola privata per avere più tempo per allenarmi e meno problemi con le assenze. Lì ho capito che era il momento di provarci sul serio, quello che per me era un sogno dovevo provare a trasformarlo in realtà.
Una situazione che si verifica spesso quando una persona si ammala di tumore, soprattutto se di un tumore raro, è dover affrontare le cure allontanandosi per certi periodi da casa, vivendo momenti delicati e pensieri intensi senza il supporto di tutto ciò in cui ha affondato nel tempo le radici: i propri familiari, il proprio cuscino, le fusa del proprio gatto. Da tennista immagino tu abbia vissuto molto lontano da casa: hai mai avuto dei momenti in cui hai sentito il bisogno più profondo di avere vicino qualcuno che in quell’istante non poteva essere con te? E cosa ti ha aiutato a superare quelle difficoltà?
Il tennis è uno sport che ti porta a viaggiare molto, e quando sei sperduta in qualche angolo del mondo e ti senti un po’ sola, cerchi sempre di pensare che i tuoi affetti più grandi siano vicino a te. Ciò che personalmente mi ha aiutato è capire che anche se non sono presenti fisicamente, con il pensiero sono lì che ti aiutano, perché ti vogliono bene e l’unica cosa che vogliono è la tua felicità. A me ha sempre aiutato tanto scrivere,mettere nero su bianco le emozioni che stavo provando. Inoltre ora con Internet ci sentiamo molto più vicini alle persone che amiamo rispetto a qualche anno fa in cui l’isolamento forzato era molto più percepibile.
Gran parte del lavoro nella psiconcologia è dedicata ad aiutare ogni paziente e suo familiare, referti e percorso clinico alla mano, ad imparare a distinguere le speranze e le illusioni; la vera difficoltà infatti sta nel mantenere acceso il lume della speranza anche nei momenti in cui le cose sembrano peggiorare e la sofferenza fa sentire il proprio peso, trovare un interruttore all’interno della testa delle persone grazie al quale il paziente riesca ad accettare di fare lunghe terapie senza sospendere, senza gettare la spugna. Se ci sono poche possibilità, bisogna giocarsele tutte e privarsi dell’idea che ci si stia creando delle illusioni perché se il fatto che siano poche possa scoraggiare, allo stesso tempo è la certificazione che ce ne sono. A te è mai capitato di vincere una partita che si era messa così male da sembrare spacciata? Se sì, cosa ha fatto sì che quella gara tu la vincessi? Quale è stato il tuo pensiero e quale la tua strategia vincente?
Sì, mi è capitato più volte, ad esempio in questa stagione ho vinto una partita in cui mi trovavo in svantaggio 5-1 al terzo e decisivo set. Ho semplicemente cercato di non mollare e di giocarmela fino alla fine, ed è un pensiero al quale siamo allenati, perché nel tennis finché non si stringe la mano all’avversario la partita non è mai finita. C’è stata anche un’altra situazione, in cui ne ho vinta una da un punteggio di 62 42 di svantaggio, con delle responsabilità da parte mia perché stavo giocando particolarmente male. In quel caso invece ho cercato di slegare la mente il più possibile dai pensieri negativi e credere che piano piano, punto dopo punto sarebbe potuta andare meglio.
Chi lotta giorno dopo giorno contro il cancro, conosce l’enorme difficoltà di vedere la propria quotidianità stravolta per come il corpo reagisce a malattia e terapie: spesso azioni precedentemente semplici e routinarie diventano impossibili, complicando ulteriormente l’aspetto emotivo della situazione. Ti è mai capitato nella tua vita di avere un momento in cui per un infortunio o una condizione fisica personale hai dovuto convivere con la rinuncia della tua attività lavorativa tennistica e contemporaneamente una condizione di difficoltà quotidiana complicata?
Sì l’ho avuto, anche se di certo non è paragonabile a ciò che sta affrontando chi combatte un tumore. Un giorno mi sono svegliata una mattina con la bocca che non si apriva più, ho dovuto convivere un anno e mezzo con la mandibola lussata prima di potermi operare. Non riuscivo più a mangiare cose particolarmente dure perché la mia bocca praticamente non si poteva muovere; so che sembra quasi una banalità, ma rinunciare a sapori quotidiani come la pizza e l’insalata non è stato per niente facile: in quel periodo ho perso 10 chili! Ovviamente in quel periodo per me il Tennis non era più il primo pensiero: il tuo stato di salute è in grado di spostare e ribaltare completamente le priorità della tua vita. Ora grazie alle persone a me vicine e soprattutto al professore che mi ha operata, sto bene e mangio di nuovo tutto o quasi.
Hai un personale pensiero da rivolgere a chi ti legge e sta affrontando la sua personale partita contro un tumore?
Provo a tradurre quello che penso, anche se qualsiasi parola in questi casi rischia di sembrare scontata e banale. Io l’unica cosa che mi sento di fare è un grandissimo in bocca al lupo a tutti. Forza ragazzi! Non Mollate! Fatelo per voi e per le persone che amate e sicuramente arriveranno momenti migliori. C’è una frase che per me è molto importante: “Non sai mai quanto sei forte,finché essere forte è l’unica scelta che hai!”. Io credo sia davvero sia così, e so per certo che siete tutti dei gran lottatori, che la vita ha reso fortissimi. Noi crediamo in voi! Forza!
Grazie Martina, le tue parole non sono per nulla banali; ci hai parlato di te e dei tuoi momenti, sia di difficoltà sia di riscatto. Tutto questo è esattamente ciò di cui avevamo bisogno, e siamo felici e orgogliosi di poterti definire un’Atleta al nostro fianco.