Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Prende parte a questa iniziativa Francesca Dallapè, pluricampionessa europea e medaglia d’argento dei tuffi sincronizzati ai Giochi Olimpici di Rio De Janeiro 2016. In questa testimonianza approfondiamo alcune tematiche fisiche ed emotive che si possono incontrare all’interno di un percorso di tumore mammario.
Benvenuta in Atleti al tuo fianco Francesca, la tua esperienza da tuffatrice ci darà l’opportunità di raccontare alcuni aspetti legati alla vita quotidiana delle persone che affrontano un tumore al seno. Per iniziare, raccontaci alcuni aspetti della tua vita quotidiana che ci permettano di conoscerti meglio: chi è Francesca Dallapè in ciò che non concerne piscina e trampolino?
Innanzitutto sono Francesca, una donna che un giorno importante della sua vita è diventata mamma, quindi la mia giornata oltre all’allenamento è organizzata anche per gli impegni che questo ruolo che la vita mi ha donato mi richiede. Se penso al tempo della mia vita quotidiana, se non sono in piscina o in palestra sono con la mia bambina. Nel tempo libero mi piace poi ritagliare dei momenti in cui fare passeggiate, leggere un libro e guardare un film: sono tutte cose molto semplici, che creano i presupposti per avere dei momenti in cui soffermarmi per condividere, riflettere e prendermi cura di me stessa e di chi mi sta intorno, tenendo tempo e attenzione sulle cose che davvero per me sono importanti.
Avviciniamo il tema del cancro al seno parlando di maternità. Quando una donna in età fertile vive lo shock dell’incontro con una diagnosi di tumore al seno, tra le tante emozioni in cui viene scaraventata vi sono anche i timori di dover rinunciare ad ogni aspirazione di gravidanza. In realtà non è così. È molto importante parlare immediatamente con il proprio oncologo anche di questo tema, per avere risposte chiare e opportunità concrete. I progressi negli studi sanno offrire strumenti di preservazione della fertilità e una certezza grande: una gravidanza dopo un tumore non aumenta le probabilità di recidiva. I percorsi sono lunghi, ma le emozioni compaiono immediate: parlare di maternità nelle storie di tumore al seno è importante fin dall’inizio. La tua storia sportiva Francesca ti ha sempre coinvolta in eventi a scadenza fissa, come Olimpiadi, Europei e Mondiali: hai mai temuto che il desiderio di diventare madre e la tua vita sportiva potessero non essere compatibili?
Indubbiamente il fatto di diventare mamma è un passo che coincide con un cambiamento globale nella propria vita. Prima io ero completamente dedicata al mio sport, al mio lavoro, ai viaggi e agli spostamenti necessari per gareggiare come tuffatrice. Tutto prima ruotava intorno a quello e oggi il centro del mio mondo, della mia vita è mia figlia. Credo però che non sia corretto dire che diventare madri richieda la rinuncia ai propri obiettivi e ai propri sogni: dopo essere diventata mamma io comunque ho avuto il desiderio di ritornare a tuffarmi, di ritornare ad avere delle ambizioni perché non siamo solo mamme ma siamo donne, persone con le nostre passioni e i nostri obiettivi lavorativi. Ho sempre percepito tanta energia positiva scaturire dalla capacità di organizzare il mio tempo per riuscire a raggiungere tutti gli obiettivi che avevo in mente. In questo modo, la qualità del tempo passato con mia figlia è sempre stata molto elevata, migliore rispetto magari ad un tempo costante ma trascinato: abbracciare mia figlia dopo un allenamento intenso è sempre stato molto appagante, una delle emozioni più complete che io abbia provato.
Un tumore si può definire una malattia familiare, perché trascina in un percorso di emozioni intense e sconvolgenti tutto il nucleo familiare della persona che ne riceva diagnosi. Quando una donna vive un rapporto di coppia, un tumore al seno coinvolge diversi aspetti riguardanti la vita sentimentale di coppia. Spesso capita per il partner di non sentirsi all’altezza del compito di sostegno che si ritiene di avere nei confronti della persona ammalata, con emozioni conseguenti affliggenti. In realtà dobbiamo dire una cosa importante: non è vero che la persona vicino ad una donna con un tumore al seno debba essere forte per lei. Un cancro mammario è un percorso che si affronta insieme, con insidie, insicurezze, volontà, cadute e reazioni condivise. A nessuno nel percorso di coppia viene chiesto di essere perfetto, nemmeno a chi sano stia vicino a chi è ammalato. Insieme si affronta il percorso, insieme si cade, insieme ci si rialza: la coppia è un percorso condiviso e un tumore al seno riguarda sempre entrambi. Tu Francesca hai impresso il tuo nome nella storia dei tuffi sincronizzati in coppia con Tania Cagnotto. Hai mai sentito il peso della responsabilità individuale degli errori e delle debolezze all’interno della costruzione della vostra coppia sportiva?
Io sento molto vicine alla mia storia queste emozioni raccontate, perché sebbene un tumore e un percorso sportivo siano due concetti molto distanti, a tutti gli effetti nei tuffi sincronizzati si procede alla costituzione di una coppia. Mi ricordo perfettamente questo senso di paura, di preoccupazione di sbagliare e quindi far sbagliare anche la mia compagna. È stato un percorso appunto iniziato così, con tante paure e tante incertezze: a volte sembrava proprio che questo peso potesse schiacciarmi completamente, solo con il tempo e il lavoro poi in realtà per me è diventato un punto di forza. Spesso le gare più belle le ho fatte in coppia proprio perché questo senso di responsabilità mi rendeva più forte e mi portava a fare molto meglio rispetto all’individuale. Io lavoravo su di me per offrirmi al cento per cento, per far bene per me stessa e anche per Tania. Ciò che mi ha aiutato molto a crescere è stato ammettere che avessi questi dubbi, queste paure, mi ricordo molto bene che quando li avevo fatti presente e condivisi, Tania mi aveva detto: “Guarda che io mi fido molto di più di te rispetto a quanto io riesca fidarmi di me stessa, ho le stesse tue emozioni e paure, quindi vai tranquilla”. Questa trasparenza è stato un elemento molto importante per permetterci di essere così longeve, perché quando si instaura questo tipo di fiducia e affiatamento tutto poi diventa più facile, perché si affronta insieme il percorso, integrando alle proprie debolezze condivise la forza offerta dall’altra persona.
Ci sono molte associazioni di volontariato che aiutano le donne impegnate in un percorso di tumore mammario a prendersi cura del proprio aspetto estetico. Può inizialmente sembrare sorprendente e superfluo che una persona che teme per la propria vita si dedichi alla cura di dettagli esteriori. Tuttavia è importante comprendere come il cancro non voglia solo rubare la vita, ma anche l’identità. Ricercare la capacità di esprimere bellezza con il proprio corpo segnato da malattia e cure è a tutti gli effetti lotta contro il cancro, non solo perché aiuta lo stato d’animo a migliorarsi ma perché ci si oppone all’obiettivo del tumore di annullare la capacità di una persona di riconoscersi nel corpo, oltre che nelle attitudini e nelle emozioni. Francesca, per essere una tuffatrice ai vertici mondiali è intuibile ci voglia molto lavoro in piscina e in palestra. Ma quanto è necessario prendersi cura di dettagli che possono sembrare secondari come stato d’animo e serenità individuale su trampolini e piattaforme?
Anche questo è un aspetto molto importante, e mi piace definirlo psicologico; io infatti durante gran parte della mia carriera mi sono affidata a una psicologa sportiva che mi ha aiutato a trovare consapevolezza in quello che facessi durante le gare. Ci sono tanti fattori esterni che possono condizionare le tue passioni, i tuoi obiettivi e le tue ambizioni, grazie a questo lavoro io ho capito che nel momento in cui ero in allenamento e in gara, io potessi fare del bene a me stessa eliminando quegli elementi che erano degli avversari della mia serenità. Ciò che si vede alle gare importanti, nelle finali dei Giochi Olimpici per esempio, è il risultato di un percorso che si costruisce giorno per giorno. È quindi molto importante comprendere che su stai lavorando su te stessa a 360° per un obiettivo. Non sul corpo, non sulla mente, non sulla posizione dei piedi ma su tutta te stessa, perché sei tu che hai degli obiettivi e che ti dovrai misurare con situazioni e difficoltà per raggiungerli. Io ho imparato ad isolare me stessa nel corso degli allenamenti, difendendomi da ciò che non mi facesse stare serena: in questo modo, anche nei momenti di massima tensione possibile, intorno a me non c’erano i giudici, non c’era il pubblico, i problemi quotidiani. Ero io, il trampolino e i miei sogni da realizzare. Tutto questo mi ha sempre aiutato molto.
Atleti al tuo fianco si pone l’obiettivo di parlare di temi esistenti in oncologia che spesso sono un tabù, che portano le persone che vivono emozioni impreviste a sentirsi strane, a volte addirittura sbagliate. Può capitare alle donne che affrontano una diagnosi di tumore mammario di identificare il seno ammalato come un seno cattivo. È importante aiutare le donne ad esprimere questa emozione qualora la provino, costruendo una relazione il più possibile pacifica con il proprio corpo: non è scontato né tantomeno facile, ma è necessario parlarne per conoscere anche questo tipo di emozioni. Nella tua carriera da tuffatrice ti sei mai dovuta scontrare nella tua testa con un tuffo a te ostico, un tuffo per te cattivo, che solo al pensiero di doverlo affrontare venisse meno la tua serenità?
Devo confessarlo, io ho lottato tutta la vita con il “Rovesciato”. Avevo i miei tuffi preferiti, i miei cavalli di battaglia e lui era il mio tuffo tallone d’Achille che proprio mi rovinava spesso le gare. Ho veramente lottato, lottato e ancora lottato contro questo tuffo, per cercare di migliorarlo e di farlo diventare invece che nemico un alleato, è stata una battaglia. Solo a fine carriera abbiamo fatto pace. Durante gli allenamenti iniziavo proprio con quel tuffo, me lo toglievo subito dalle preoccupazioni: in questo modo sentivo di essermi liberata di un peso e di potermi dedicare a tutto il resto. È sempre stato un espediente per affrontarlo ma soprattutto per liberarmi dal condizionamento a lui legato, un togliermi il pensiero. Anche la giornata dopo averlo fatto era globalmente migliore: questo per dire quanto un elemento di ostilità presente nella nostra testa possa influenzare con sfumature e toni decisi tutta la nostra vita.
Raggiungere il traguardo della guarigione da un tumore al seno è un momento importante e felice per una donna ammalata. Esiste però una fase del percorso in cui, sebbene la malattia non sia più attiva, proseguono le terapie di mantenimento con dei farmaci, gli inibitori delle aromatasi. Effetti collaterali come dolori articolari e spossatezza possono essere presenti, non è strano provarli ed è importante parlarne. C’è infatti il rischio che alcune donne si sentano in colpa per viverli o che, addirittura, si sentano dire “Sei già stata fortunata a guarire, sopporta e reagisci meglio”. Le emozioni però sono sempre degne di rispetto, avere dei momenti di dolore o di difficoltà dopo la guarigione è una cosa possibile e frequente, le persone vanno ascoltate e comprese anche al termine dei percorsi in oncologia, perché dare le emozioni per scontate è un errore in cui è facile cadere. Francesca, nella tua storia sportiva hai vinto 8 volte di fila il titolo europeo di tuffi sincronizzati, un argento olimpico e uno mondiale. Ti è mai capitato di percepire da chi ti circondasse con il tifo che arrivare ad una medaglia da parte tua e vostra fosse, in qualche modo, doveroso e scontato?
Io nasco competitiva, provo questo sentimento fin da quando sono piccola, con delle grandi ambizioni. Dopo il primo, il secondo e il terzo oro europeo non era per me contemplabile il secondo e il terzo posto. Ma non intendo tanto dall’esterno ma proprio da me stessa: questa è una fame che mi ha sempre accompagnata in tutto il percorso agonistico. Credo invece che dal tifo ci sia stato sempre molto rispetto per le persone che siamo io e Tania, anche quando abbiamo mancato la medaglia alle Olimpiadi di Londra 2012, dove molti ci davano già per medagliate e poi in realtà siamo arrivate quarte. Io ho sentito molta vicinanza e molto rispetto intorno a me, devo dire che più che altro siamo state noi stesse che ci siamo autocriticate. Dal di fuori non ho sentito molta pressione, con la tecnica raccontata prima per allontanare i pensieri nocivi mi ci sono sempre difesa con efficacia. Però non raggiungere la medaglia, fallendo le aspirazioni, ci ha fatto sembrare molto umane perché nella vita si sbaglia, si cade, e poi si cerca di rialzarsi: secondo me anche quel passaggio di Londra 2012 in cui abbiamo sbagliato, siamo cadute e poi ci siamo rialzate è stato decisivo per arrivare 4 anni dopo a Rio prendendoci l’argento. È un episodio che, in realtà, ci ha avvicinato molto alle persone perché la vita è fatta di alti e bassi e noi l’abbiamo dimostrato anche con le nostre gare.
Concludiamo la tua intervista parlando di un disturbo che può presentarsi nelle donne operate al seno per un tumore: il linfedema, una condizione che porta ad avere un braccio più gonfio e dolente a causa degli effetti della chirurgia. Affrontare il disturbo conoscendolo è importante per attuare contromisure che possano limitare il danno che esso esercita. Massaggi drenanti, ginnastica lieve e strumenti elastici di compressione possono aiutare a superare il disagio, ma più di tutti si conferma importante un concetto: non ci si prende cura di una malattia, di un organo o di un effetto collaterale, ma della qualità della propria vita. Investire tempo ed energie per limitare i disagi dati dal linfedema è un modo valido per prendersi cura di sé e della qualità della propria esistenza dopo un tumore al seno. Tu Francesca, dentro e fuori dallo sport, sei felice di come nella tua vita ti sei presa cura di te e della qualità della tua vita?
Nella visione di me stessa non sono mai stata molto soddisfatta delle mie capacità di fondere in un’unica globale forma le attenzioni alla qualità della vita della Francesca donna e della Dallapè atleta. Della mia vita sportiva posso dire di aver fatto tutto quel che sognassi da bambina, forse pure di più: tutti i miei sogni li sento realizzati. Ora credo che sia giunto il momento per me in cui le stesse attenzioni e la stessa determinazione io le rivolga alla Francesca donna, perché tanti aspetti che ho lasciato in una situazione da “lavori in corso” trovino il loro completamento, per regalare alla mia quotidianità la stessa sensazione di pace che ho nei riguardi del mio percorso sportivo.