Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della propria carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Ilaria Cusinato, nuotatrice italiana due volte argento europeo nei 200m e nei 400m misti.
Ciao Ilaria, benvenuta nel progetto Atleti al tuo fianco: le emozioni della tua vita agonistica diventeranno strumento per raccontare alcune sfumature delle sensazioni quotidiane delle persone che affrontano una diagnosi di cancro. Concentrandoci sugli aspetti di vita quotidiana, che vengono prima dell’ambito clinico, anche con te vogliamo avvicinarci alla conoscenza delle abitudini di tutti i giorni: raccontaci tu chi sei, anche fuori dalla vasca, per poter dire di conoscere meglio la Ilaria persona prima ancora della campionessa.
Ciao a voi tutti, io sono Ilaria Cusinato, una nuotatrice ma non solo: prima di tutto sono una persona attiva, estroversa, creativa e solare. Vado sempre alla ricerca di emozioni perché trovo la noia un nemico della quotidianità: mi piace provare le attività adrenaliniche, come ad esempio il lancio col paracadute. Tanti mi dicono che sono una persona creativa: in effetti nella mia testa ci sono sempre idee di cosa si possa fare, soprattutto nelle compagnie e nei gruppi, mi piace offrire gli spunti per generare attività. Fin da piccola me lo hanno fatto sempre notare, io credo che corrisponda alla mia indole e mi piace quando me lo dicono. Posso dire di avere una vita dinamica anche fuori dalla vasca: credo che sia importante contrastare la monotonia, alcune volte si riesce istintivamente, altre bisogna metterci impegno, ma il grigiore deve rimanere lontano dai colori della nostra quotidianità.
Molte volte il grigiore in oncologia è condizionato anche dalla difficoltà di avere vicino le persone importanti, che possano aiutare a colorare i momenti di solitudine e incertezza. Situazioni come i ricoveri per terapie o interventi chirurgici sono legate a dei trasferimenti, alcune volte anche molto lontano per raggiugnere centri specializzati. Questo significa dover rimanere distanti da tante persone che si vorrebbe avere lì con sé: la tecnologia oggi ci aiuta, ma ci dobbiamo ricordare di mandare con frequenza un sorriso, una foto, un vocale per contrastare l’isolamento, sarà poi chi lo riceve a decidere i tempi delle risposte in base ad energie ed entusiasmo. Tu da nuotatrice hai dovuto conoscere presto la vita lontana da casa per realizzare il tuo obiettivo nei migliori centri di preparazione nazionali?
Io sono di San Martino di Lupari, un paese della Provincia di Padova, e a 16 anni al termine della terza superiore mi sono trasferita ad Ostia: mi sono catapultata in una realtà di grandi campioni ma dentro ero a tutti gli effetti una ragazzina. Non avevo dubbi che fosse la scelta migliore per me, per la mia crescita agonistica e umana: mi sono trovata dal vivere gli allenamenti come una ragazzina, vivendo una quotidianità fatta di amici e compagni di scuola, ad affrontare con serietà ogni secondo dell’attività, mentre contemporaneamente dovevo occuparmi di me stessa anche fuori arrangiandomi, vivendo da sola e senza i miei affetti vicini. Vivi il senso dello sradicamento dai tuoi legami, anche nella consapevolezza che stai facendo la scelta migliore per te. Un percorso come questo diventa lungo non solo nel suo scorrere, ma anche nel giorno dopo giorno: io a Ostia ho affrontato il disagio di seri disturbi alimentari, non è stato facile. Mi sentivo bene per la mia maturazione agonistica, ma in qualche modo sentivo di crescere con le ali tagliate. Ci sono i momenti in cui la distanza da casa diventa insopportabile, ma dentro di te sai che devi tenere duro, che non devi mollare perché stai facendo il meglio per te stessa. Superare i momenti bui ti fa sentire forte, più forte di prima, con delle nuove risorse per affrontare la realtà dentro e fuori dalla vasca. Dopo tre anni ho scelto di tornare a casa, perché ho realizzato che i miei problemi alimentari richiedessero maggiore attenzione, ma tre anni di percorso sono stati per me una crescita enorme sul piano sportivo e su quello personale.
Un’emozione irrazionale e poco conosciuta delle persone che vivono il trasferimento in oncologia riguarda i giovani pazienti che affrontano una diagnosi oncologica o ematologica con a fianco un genitore. Vedere papà o mamma che dormono e vivono con loro situazioni disagevoli li fa sentire in colpa, senza che vi sia alcuna responsabilità reale. Se dagli esami non arrivano miglioramenti clinici, il senso di colpa aumenta perché si sentono responsabili dello sconvolgimento che la famiglia sta vivendo, sotto ogni aspetto. Bisogna aiutare questi giovani pazienti ad esternare questo sentimento e ad elaborarlo in una direzione costruttiva e comune. A te Ilaria è mai capitato di sentirti in colpa verso chi credesse in te quando i risultati di alcune gare sono stati deludenti rispetto alle attese?
È una domanda che mi piace, perché nessuno mi ha mai messo nelle condizioni di riflettere su questo aspetto. Io so che i miei genitori hanno fatto tantissimi sacrifici dal giorno in cui io ho detto “voglio nuotare”, qualche volta nei periodi iniziali posso essermi sentita in colpa perché un po’ li facevo dannare tra spostamenti e spese necessarie. Però quando poi mi sono staccata per andare ad Ostia, non ho vissuto questa situazione di senso di colpa legata a ciò che io restituissi loro dalla vasca come risultati. Anzi, io credo di averli fatti felici con questa mia scelta, perché tutti noi sapevamo che quella era la decisione migliore per me, a prescindere dalle prestazioni immediate. Piuttosto, vi sono state delle situazioni fuori dalla vasca che mi hanno mosso sotto il profilo dei pensieri legati alle responsabilità: io all’inizio non mi rendevo conto che i miei comportamenti alimentari stavano mettendo a repentaglio tutti gli sforzi fatti fino a quel momento, è stata un’illuminazione divina ad aiutarmi a prendere coscienza e di conseguenza trovare la strada per fermare lo spreco di tutto il percorso compiuto precedentemente.
Le frasi fatte in oncologia sono molto frequenti ma non aiutano le persone ad esprimere le proprie emozioni uniche ed individuali: espressioni come “devo essere un guerriero” o “devo pensare positivo” di cui si riempiono i manuali in realtà non sempre si adattano a ciò che si sente dentro di sé. È importante esternare il proprio intimo pensiero, anche se magari può spaventare o essere contraddittorio, ma la chiave è la sintonizzazione fra ciò che si prova e ciò che si è chiamati a vivere. Ti è mai successo di avere dentro di te emozioni che non sei riuscita ad esternare?
Solitamente io odio le frasi motivazionali tipo “pensa positivo e le cose andranno bene”. Una sensazione deve nascere perché io lo sento dentro di me, non perché qualcuno mi deve spronare o imporre di farlo. Anche per questo io cerco sempre di esternare ciò che sento e penso: riconosco di essere una ragazza che si lamenta spesso, ma questo mi aiuta sia a chiarire a me stessa il mio pensiero, sia per essere sicura di farmi capire da chi mi sta intorno su come io la pensi. Per il mio percorso di nuotatrice, devo riconoscere che un ruolo importante lo hanno avuto le mie amiche fidate: tanti atleti trovano il modo di comunicare con lo psicologo dello sport o con l’allenatore di tutto, io ho sempre avuto una preziosa risorsa nell’ascolto delle mie amiche, che mi conoscono bene e mi aiutano a tirare fuori tutto ciò che io ho dentro. Non mi piace venire contraddetta sulle emozioni, perché penso che le emozioni non possano essere contestate: se si provano, un motivo c’è. Per questo alcune volte, invece, riconosco magari di non aver esternato il mio stato d’animo rimandando il dialogo alla possibilità di farlo con le amiche: la sensazione di essere contraddetta nelle emozioni mi avrebbe generato ulteriore disagio.
Dobbiamo sfatare un tabù: la vita dopo la guarigione da un tumore non è semplice. Sebbene il traguardo raggiunto della salute ritrovata sia motivo di profonda gioia, anche nel sincero rispetto di tutte quelle persone che avrebbero voluto guarire e non hanno potuto vedere concretizzarsi questo desiderio, le difficoltà di riprendersi in mano la vita dopo il cancro esistono e non sono da sottovalutare. In tutto questo spesso gli ex-pazienti si sentono dire “Di cosa ti lamenti, sei pure guarito.”, con un grado di incomprensione che aumenta ed enfatizza la situazione di difficoltà. Ci vuole pazienza, verso se stessi e verso chi sta vicino, perché il percorso è lungo anche dopo una guarigione, che resta una meravigliosa opportunità per continuare a scrivere pagine nel libro della propria vita. Nelle tue difficoltà personali hai mai vissuto la condizione di sentirti dire “Nuota e stai zitta, che hai il privilegio di fare di lavoro una tua passione”?
Quest’ultima frase è stata purtroppo emblema del pensiero di molte persone, che pensano che fare uno sport ai massimi livelli sia comunque una situazione agevole in ogni sua sfaccettatura. Tutti gli sport fatti ai livelli più elevati sono duri ed impegnativi, il nuoto si conferma tale: gli allenamenti sono un ripetersi di ore ed ore di attività. Ovviamente, con questo non si vuole togliere nulla alla fatica che ogni persona possa fare all’interno del proprio lavoro anche al di fuori dello sport; però ricondurre tutto al privilegio di fare uno sport dalla mattina alla sera non può essere la chiave per pensare che, quindi, non debbano esistere dei problemi nella vita dentro o fuori dalla vasca. Il mio vero e grande privilegio è poter fare una cosa che mi piace, e questo lo devo onestamente riconoscere; ma non è d’aiuto nelle difficoltà presentare la situazione altrui come più complessa, questo non evita che in certi momenti ci si possa trovare in profondo disagio anche nel contesto di una condizione che solitamente piace.
Il tumore mammario ha aperto gli occhi alla medicina perché ci si rendesse conto che oltre alla cura vi è anche un’importante relazione delle pazienti con il proprio corpo: per questo negli anni si è migliorati nelle tecniche di asportazione chirurgica e nelle ricostruzioni dopo gli interventi, che sono demolitivi solo nei casi più gravi. Per una donna mostrare il proprio corpo dopo un intervento l seno è una situazione di non immediata facilità, è necessario comprenderlo e agevolare i percorsi di convivenza con la propria identità non solo mentale ma anche corporea. Tu fai uno sport nel quale il proprio corpo è sempre visibile agli occhi di tutti: ti sei mai sentita a disagio per questo?
Ho sempre avuto un buon rapporto col mio corpo, fin da piccola mi sono sempre vista bene, il problema è arrivato quando mi sono dovuta confrontare con altri atleti del mio calibro. Non ho mai avuto la sensazione di imbarazzo nel mostrarmi agli altri, ma era più un disagio verso me stessa. A me il mio fisico piace, ma non mi reputavo mai abbastanza rispetto agli altri: a volte volevo vedermi più magra, altre più muscolosa, in questo modo non mi sentivo mai al cento per cento. È in seguito a questo stato d’animo che hanno iniziato a comparire i miei disturbi alimentari: ho chiesto aiuto alla federazione e mi hanno messo a contatto con un nutrizionista, che mi ha reso consapevole dei danni che potenzialmente avrei potuto generare. Adesso sono lucida nel riconoscere che le regole sono importanti, ma se mi succede di fare una piccola trasgressione so che il mio corpo non ne risentirà, né il mio giudizio verso di lui: io mi piaccio così e così posso piacere agli altri, forse questa è la chiave di tutto.