Qualche giorno fa ho letto un’interessante articolo sul rapporto tra medico e paziente di Vera Martinella pubblicato sullo Sportello Cancro del Corriere della Sera dal titolo “Tumori: non solo farmaci. I malati si curano anche con le parole”.
Sebbene dal titolo si possa erroneamente intuire che farmaci e parole potrebbero essere intercambiabili (ma dell’uso del sensazionalismo nei titoli ne avevamo già parlato in un precedente articolo dal titolo “Il seme della speranza e il seme dell’illusione”), leggendo l’intero scritto si mette in luce quanto sia importante per le persone e le famiglie che affrontano un percorso oncologico poter contare su un medico adeguatamente preparato nella comunicazione, nell’ascolto e nel sostegno emotivo. Non è solo per un necessario e fondamentale supporto nelle dinamiche che una diagnosi di tumore scatena nella mente di un essere umano, ma è anche per un miglioramento dell’adesione e conseguente efficacia della terapia farmacologica.
Su questa base, la preparazione in psiconcologia deve diventare un cardine insostituibile nella formazione dei medici che si relazionano con persone e nuclei familiari in situazioni delicate come il confronto quotidiano con il cancro; questo salto di qualità nell’offerta sanitaria per i pazienti oncologici deve arrivare grazie non solo allo scrupolo del medico che vuole elevare la qualità e l’efficacia del proprio servizio, ma anche dalla possibilità dei pazienti di richiedere operatori sanitari (non solo medici, ma anche infermieri, psicologi, fisioterapisti…) con la preparazione specifica.
Per medico e paziente l’obiettivo è comune ed è uno solo: affrontare una battaglia difficile con un maggior numero di risorse per aumentare le probabilità di successo, ci dobbiamo riuscire volendo fermamente da medici offrire il meglio e da pazienti richiedere il meglio.
Credits cover image:
inspired by Archives of Pearson Scott Foresman image – public domain license