Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità, le sfide e gli avversari difficili dentro e fuori dal campo? Ha raccolto la sfida Francesco Magnanelli, centrocampista e capitano del Sassuolo Calcio, squadra con la quale ha totalizzato più di 450 presenze in varie categorie, dalla serie C2 fino all’Europa League.
Ciao Francesco, benvenuto in questa iniziativa. Parleremo di calcio e della tua storia in una maniera molto particolare, raccontando sia aspetti della vita sportiva, sia dettagli della quotidianità mentre si affronta un tumore. Ci caleremo nell’atmosfera necessaria, iniziando dalla possibilità di presentarti ai lettori di questa iniziativa, parlandoci di te al di fuori dai campi: chi è Francesco Magnanelli in tutto ciò che non riguarda il calcio?
“Mi chiamo Francesco Magnanelli, sono un ragazzo di 34 anni, per carattere sono una persona molto molto tranquilla; ho la fortuna di essere cresciuto con alle spalle una famiglia con valori solidi e che mi ha dato tutto. Ora sono riuscito a costruire anche una famiglia mia, nella quale cerco in ogni modo di trasmettere gli stessi valori che ho ricevuto con molta naturalezza insieme con mia moglie, con la quale condivido gli stessi principi educativi.”
Entriamo ora insieme in alcuni dettagli dell’oncologia. Affrontare un tumore è una sfida intensa sin dall’inizio, quando nell’impatto con la diagnosi ci si confronta con il timore di non essere pronti, di non essere all’altezza del percorso da affrontare. L’aspetto mentale deve essere aiutato passo dopo passo, in parallelo con l’aspetto clinico. Nella tua carriera sportiva, hai vissuto tappa dopo tappa un crescendo di sfide da affrontare, partendo dalla serie C2, accompagnando il Sassuolo in ogni categoria fino a guidarlo ai gironi dell’Europa League: c’è mai stato un momento in cui, da calciatore, non ti sentissi all’altezza della sfida che eri chiamato a vivere?
“Sì, in alcuni momenti sì, ma devo cercare di spiegarmi bene. Per me la tensione della partita, contestualizzando bene il riferimento alla partita di calcio, è una situazione positiva: se un giorno mi trovassi ad affrontare una gara senza sentire dentro di me la tensione, la voglia di primeggiare, la sfida prima di tutto con me stesso con le mie doti e i miei limiti, penso che quel giorno farei meglio a smettere di giocare. Quindi anche quando il livello delle sfide sul campo cresceva, sentire la mia tensione aumentare in realtà mi dava la certificazione del mio essere dentro alle sfide che stavano crescendo di valore. Ci sono stati invece momenti di situazioni circostanti ai 90 minuti sul campo che invece mi hanno messo alla prova in maniera anche più intensa di una gara sul campo: dover affrontare discorsi intensi faccia a faccia in certi momenti della stagione, in cui la tensione si impadronisce anche delle situazioni che vanno oltre alla durata della gara, allora sì mi sono sentito a disagio. Ritengo di aver comunque affrontato le situazioni nei modi necessari per superarli, e per crescere io per primo mentre le incontravo, ma bisogna fare molta attenzione quando i pensieri si infiltrano nella mente occupando anche gli spazi quotidiani dedicati all’ambito per cui nascono, nel mio caso i 90 minuti della partita. Se non si è pronti a questo, si può venire sorpresi e rischiare di non sentirsi all’altezza immediatamente; al contrario, se ti ci misuri con il giusto atteggiamento, ne vieni fuori rafforzato.”
La mente di chi affronta dei cicli di chemioterapia o radioterapia, con un’adeguata preparazione, si rivela capace di sopportare l’intensità emotiva cui le terapie sottopongono; alcune volte però può capitare che il percorso si debba prolungare in maniera non prevedibile: questo è un aspetto delicatissimo per chi presagiva la possibilità di vedere completata una tappa importante del percorso ed invece deve riprepararsi per lo step imprevisto, con contraccolpi emotivi pericolosi. Il percorso calcistico fatto da te con il Sassuolo calcio è stato particolare, perché quando avete fallito un obiettivo, successivamente lo avete raggiunto: ad esempio, le promozioni in B e in A sono arrivate dopo aver perso i playoff la stagione precedente. In serie A avete perso anche 7-0 prima di riuscire a raggiungere la salvezza. Come ti sei approcciato in quelle situazioni sportive in cui ti sembrava di aver raggiunto un obiettivo importante attraverso il sudore di piccole tappe e invece ti sei dovuto rendere conto che la strada per ottenerlo fosse ancora molta?
“Quando sei un atleta, dentro di te sei preparato ad affrontare alcune sconfitte, ma ambisci sempre alla vittoria. Dover affrontare sconfitte in finale a un passo dalla promozione o umiliazioni come un 7-0 non è facile, perché mette a confronto te stesso con quanto a volte la realtà possa rivelarsi diversa da aspettative ed auspici. In questi casi ciò che personalmente mi aiuta è cercare di focalizzare la mia attenzione e le mie emozioni su eventi già vissuti che sono stati positivi. Dopo una sconfitta in finale ovviamente non sono felice, sentire con la punta delle dita la consistenza di un obiettivo e vederselo sfilare di mano è una sensazione molto brutta. Dopo aver ammortizzato la delusione, e possono servire pochi giorni o più tempo, cerco di focalizzarmi sul percorso: se sono arrivato con i miei compagni a giocare una finale, è perché abbiamo le capacità e possibilità di scrivere e concretizzare quel percorso. Dover completamente ripetere le tappe della strada che ci aveva portato a sfiorare l’obiettivo significa sì non averlo conquistato, ma anche certificare la propria possibilità di compierlo. Il calcio ti allena a questa situazione perché ti offre partite ogni settimana o addirittura ogni tre giorni, diventare capaci di scrollarsi di dosso le sensazioni negative di un obiettivo non raggiunto diventa un’esigenza fondamentale per concentrarsi completamente sulle possibilità che offre la nuova sfida che si è chiamati a giocare. Questo non è un aspetto sportivamente facile, tutt’altro, ma se la realtà non è governabile dalle nostre intenzioni, noi possiamo governare noi stessi nelle sfide difficili, e sfida dopo sfida aumentiamo gli aspetti positivi su cui confidare successivamente. ”
In oncologia spesso vengono enunciate ai pazienti percentuali di sopravvivenza in base alla stadiazione del tumore, ma è un’operazione audace perché i numeri raccontano la storia di altri pazienti e non di quello che si ha davanti. Parlando della tua storia da calciatore, secondo te quante persone esperte del settore calcio quando tu eri calciatore della Sangiovannese e del Sassuolo in C2, avrebbero detto che saresti diventato il capitano di una squadra di Europa League?
“Pochissime, credo neanche il 2% delle persone, perché si trattava di circostanze lontanissime e imprevedibili, da realizzare in un arco di tempo lungo ma comunque non infinito.”
Qual è stato quindi secondo te l’elemento determinante per concretizzare nella realtà dei fatti la situazione non prevedibile di diventare capitano del Sassuolo in Europa League?
“Credo che alla base di tutto questo ci sia una caratteristica mia, ma comunque alla portata di tutti, che è la perseveranza, ovvero non mollare mai di fronte a ogni situazione apparentemente avversa. Il fatto di passare da giovane dalla serie A alla C2 poteva essere segno inequivocabile di retrocessione del mio livello calcistico, però ho continuato ad allenarmi con la stessa intensità, ad amare ogni giorno il mio lavoro, a credere sempre che avrei potuto costruire io la mia storia. Quello è stato il mio obiettivo, fare il massimo possibile per rendere migliore la mia storia calcistica, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, al netto di sconfitte e vittorie. Quando ero in C2 io guardavo le partite di serie A e mi dicevo <A me un giorno piacerebbe stare lì, da protagonista>. Non era un sogno, era un obiettivo, la cosa è diversa perché riconoscerlo come tale mi ha dato la forza di insistere tappa dopo tappa per poterlo raggiungere e rendere concreto. Anche la fortuna ha avuto la sua componente importante, perché si devono incastrare determinate situazioni, ad esempio ti devi trovare nella squadra giusta, come mi è successo; però non sono cose che succedono solo per caso, ognuno fa la propria parte di lavoro perché tutto questo si possa concretizzare.”
Ci stiamo battendo molto perché in oncologia si riesca a mantenere alta la qualità della vita dei pazienti, non solo ponendo attenzione all’ambito clinico ma portando il discorso a 360° riguardo alla dimensione della vita quotidiana: l’ambiente stesso in cui un paziente vive la malattia, per esempio, influenza la sua predisposizione alla reazione alla stessa. Quanto è stato determinante per la tua carriera poterti esprimere in un ambiente, in una squadra e in una società come il Sassuolo?
“Sono gli incastri a cui alludevo prima, senza i quali le situazioni non si concretizzano. Ho avuto la fortuna, perché la ritengo tale, di allenarmi, cambiarmi, preparare le partite e giocare in ambienti non sempre all’altezza delle situazioni che si creavano, per cui una volta arrivato a Sassuolo ho potuto riconoscere fosse la società giusta, con la quale arrivare a giocare a S.Siro per esempio. Io so da dove provengo, quale è stato il mio punto di partenza, so come si sta in determinati ambienti: devo riconoscere che quello che Sassuolo ha messo a disposizione è stato determinante. L’ambiente e le strutture in cui una squadra svolge la propria quotidianità sono in grado di influenzare positivamente l’attitudine ai propri compiti; ciò non significa che chi ha dieci campi, giochi a calcio meglio di chi ne ha uno solo, però è assolutamente vero che un’organizzazione di alto profilo, la cura per i particolari e l’attenzione per il senso di appartenenza e accoglienza del calciatore aiutano ad esprimersi al meglio. A Sassuolo questo si è verificato completamente: è importante battersi perché ogni ambiente possa aiutare le persone a vivere meglio le proprie battaglie.”