Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Prende parte a questa iniziativa Alessandro De Rose, tuffatore italiano medaglia di bronzo ai Mondiali di nuoto di Budapest 2015 nei tuffi grandi altezze.
Alessandro, la tua esperienza da tuffatore con Atleti al tuo fianco diventa spunto per riflettere sulla quotidianità delle persone che affrontano un tumore. Partiamo dalla tua abituale vita quotidiana: come ci si prepara ogni giorno per essere ai vertici mondiali di uno sport come i tuffi grandi altezze?
La mia vita di tutti i giorni è una routine abbastanza ripetitiva, nel senso che mi sveglio presto la mattina verso le 7:30 e la prima cosa che faccio è accompagnare fuori il cane. Dopo la colazione, vado in piscina per la prima sessione di allenamento, seguita dalla parte di palestra e pesi di circa un’ora e mezza. Fino a mezzogiorno rientro in piscina per poi fermarmi, mangiare qualcosa prima di rituffarmi nuovamente in acqua per un paio d’ore. Nel Tardo pomeriggio invece l’allenamento è dedicato al tappeto elastico, fino alle 20:30. Così si svolge la mia giornata tipo in quel di Trieste, dove vivo e mi alleno.
Aiutare le persone ad allenare il proprio equilibrio di emozioni in oncologia è molto importante: il percorso è spesso ad andamento molto vario, con miglioramenti e peggioramenti che, se si impossessano totalmente delle emozioni, fanno vivere intere famiglie in condizioni di emozione estrema. Alessandro, raccontaci quale sia il valore dell’equilibrio nella tua disciplina, sia sulla piattaforma, sia in volo.
L’equilibrio essenzialmente è la chiave perché un tuffo ben fatto si capisce già dalla partenza dalla piattaforma. Nel momento in cui stacchi bene da ciò che ti sostiene, andrai a fare un buon tuffo nello spazio senza sostegno: tutto questo è dato da un equilibrio fisico e mentale già sulla piattaforma. Quando si sale a 27 metri si è presi da un turbine di emozioni perché si è pieni di adrenalina, si ha voglia di dimostrare quello che si sa fare e anche perché si ha una dose di paura. Hai voglia di vincere ma allo stesso tempo sei frenato dalla paura di sbagliare e quindi di farti male. In quel momento bisogna provare un equilibrio figlio della razionalità, quindi bisogna cercare di trovare il proprio piccolo eden mentale prima di fare quel tuffo. Questo nasce grazie all’allenamento ma anche all’esperienza: la prima volta che sali su una piattaforma così alta non saprai gestire bene l’azione come dopo otto anni che lo fai; ciò non significa che dopo otto anni la paura ti lascerà, semplicemente avrai più strumenti per vivere la situazione gestendola con equilibrio.
Raccontare le emozioni di chi affronta un tumore significa anche permettere a persone di confrontarsi, conoscendo le diverse realtà per trovare una relazione migliore. Spesso si crede che il timore più diffuso in chi riceve una diagnosi sia la paura di morire: sicuramente esistono molti pensieri diversi a riguardo, ma valutando dall’esterno questa come emozione dominante si rischia di trascurare un sentimento molto frequente che è l’angoscia di stare male, di avere giornate con dolore di varia natura. Per questo è importante dedicare attenzione e comprensione a questo aspetto, che ha una variabilità molto più frequente e destabilizzante da giornata a giornata. Tu Alessandro ti tuffi da una pedana di 27 metri: pensi mai che un errore di esecuzione ti possa costare infortuni dolorosissimi o addirittura la tua stessa vita?
Come imparare ad affrontare la paura è un cardine del nostro sport: io penso che esista un circolo fatto di obiettivi, di motivazioni e necessità. Di conseguenza la prima volta che io ho deciso di tuffarmi da 27 metri avevo un obiettivo chiaro: volevo dimostrare a chi per anni aveva pensato che non fossi all’altezza di fare una determinata cosa, che io in realtà invece ero capace di farlo. Dimostravo qualcosa agli altri ma soprattutto a me stesso, questo era il mio obiettivo; la necessità di soldi per pagarmi le bollette, le spese della vita quotidiana era indissolubilmente legata alla capacità di fare quel tuffo, e questa era l’esigenza. Quando hai motivazioni ed esigenze molto grandi, guardi in faccia la paura e la affronti: puoi pensare alle conseguenze, al timore di farti male e anche di morire, all’incertezza di un possibile fallimento, ma la affronti. È in questo modo che ognuno di noi può superare e vincere la paura, mettendole d’innanzi motivazioni ed esigenze: saranno esse stesse a guidare il tuo animo verso l’azione.
Non sapere se e come si potrà raggiungere il traguardo della guarigione mette in difficoltà la mente di molti pazienti, soprattutto nei giorni più grigi. Alcune volte non è necessario aiutare a reagire: anche una silenziosa compagnia nella tristezza può aiutare a sentirsi capiti, soprattutto per le grandi difficoltà che nell’incertezza si prosegue ad affrontare. Guardando il tuo percorso sportivo a ritroso, quale pensi sia stato il momento nel quale aver affrontato l’incertezza ti ha permesso di scrivere la storia del tuo sport vincendo una medaglia ai mondiali?
Nel 2017 la mia vita è cambiata quando ho incominciato a lavorare con il supporto di una psicologa. Io ho perso mio padre da adolescente, in seguito a questo in famiglia abbiamo avuto gravi problemi economici che mi hanno portato via dalla piscina, perché non potevamo più pagare la retta. Nel 2017 avevo 25 anni ed ero convinto che io avessi elaborato ed accettato il lutto di mio padre, ma non era così. Ho detto alla mia società da quel momento non avrei più fatto l’allenatore ma il tuffatore, corrispondeva quindi a rinunciare ad avere un lavoro in acqua. Così per poter sostenere le spese quotidiane, ho trovato da lavorare come cameriere, un mese prima dei mondiali di nuoto, con un grande, enorme obiettivo in testa e una realtà che non aiutava, perché nel frattempo la piscina di Trieste non era più usabile per gli allenamenti. Così io e mia moglie Nicole prendevamo il treno alle 7 della mattina per arrivare a Monfalcone, adattarci ad una piscina di un parco acquatico per allenarci tra i bambini, alle 12 rientravamo a Trieste per lavorare da cameriere fino a mezzanotte: ogni giorno, senza turno di riposo, per poter usufruire dei giorni necessari di pausa per andare al Mondiale. Ogni lavoro ha le sue difficoltà, ma devo dire che fare dodici ore consecutive da cameriere mi sfiancava le gambe, ogni sera più stanche. Ma avevo un obiettivo da raggiungere, e quella era l’unica strada possibile per avvicinarmi e concretizzarlo: l’incertezza era comunque conferma che una possibilità, per quanto remota, ci fosse. Tutto questo mi ha portato ad accettare qualsiasi condizione per realizzare ciò che avevo in testa, e mi ha condotto a vincere il bronzo mondiale a Budapest nei giorni che il mio stesso datore di lavoro mi ha concesso in piena alta stagione estiva.
Una forma di relazione che può aiutare chi si trova nei momenti di difficoltà emotiva mentre affronta un tumore è scambiare messaggi ed energia con qualcosa di più grande di sé: per alcuni può essere un aspetto religioso con Dio, per altri uno scambio intenso con la grandezza dell’universo rispetto alla piccola ma fondamentale unicità di ognuno di noi. Quali sono le emozioni che si provano da soli a 27 metri di altezza prima di compiere il tuo gesto sportivo?
Tutto va suddiviso considerando se si tratti di un tuffo da una piattaforma o da una roccia. Quando stai per salire sulla piattaforma sei in un turbine di emozioni, però nel momento in cui fai l’ultimo passo per posizionarti prima del tuffo, sei già in azione perché i giudici già in quel momento ti stanno guardando. Noi tuffatori siamo un po’ narcisisti, ci amiamo e ci piace vederci: quando sono lì sinceramente è il momento che mi piace di più perché penso “adesso vi faccio vedere cosa so fare e ve lo faccio vedere nel miglior modo possibile”. In quel momento sei libero, ed è proprio questo che crea la dipendenza dei tuffi dalle grandi altezze: tutto quello che ti circonda in quel momento sparisce perché tu devi pensare solo a un dettaglio che ti aiuterà a fare il tuffo bene, perché se tu non sei concentrato su quel dettaglio ti fai male. ,In quel momento non esistono problemi, sei solo tu e la tua mente con il tuo corpo, che diventano una cosa unica. Senti ogni singolo muscolo che si muove in aria, è una sensazione di libertà unica, per tre secondi tu sei padrone del volo verso l’acqua 100 km orari. A tutto questo, quando ti tuffi da una roccia si devi aggiungere alcuni meravigliosi elementi di scambio con la natura: l’irregolarità della superficie su cui poggi ti fa capire come alcune volte sia tu a dovere adattare il tuo equilibrio alle condizioni che la vita ti impone. Però la bellezza che ti circonda è semplicemente unica e lì senti potente l’energia come scambio con il pianeta che ti circonda e per certi aspetti ti sovrasta. Per certi aspetti quando noi facciamo un tuffo siamo degli artisti che dipingono un quadro, difficile da creare nei suoi dettagli; ma nessun quadro è perfetto senza una bella cornice: non ne esiste una migliore della natura più pura, per i tuffi e per la vita.