Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando un tumore: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari (BS) con diploma d’alta formazione in Psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un cancro. Oggi partecipa a questa sfida Andrea Arnaboldi, tennista italiano di 28 anni, che nella sua carriera ha toccato la posizione 153 nel ranking mondiale giocando il secondo turno al Roland Garros e che ha collezionato vittorie contro giocatori di livello come Nicolas Mahut, Mikhail Youzhny, David Goffin e Grigor Dimitrov.
Ciao Andrea, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi parleremo di tennis in un modo completamente diverso dal solito, perché attraverso l’analisi di sfide che tu da tennista vivi ogni giorno ti ritroverai a parlare a lettori che stanno giocando una partita molto importante, quella contro un tumore. Prima di tutto però vorrei che tutti ti conoscessero meglio, come uomo prima ancora che come sportivo: chi sei tu, Andrea, in tutto ciò che non riguarda il tennis?
Ciao a tutti, sono felice e onorato di partecipare a questa iniziativa. Per presentarmi meglio, parto dalle basi: mi chiamo Andrea, vengo da Cantù, un paese vicino a Como. Amo la mia famiglia, e mi piace passare tempo con i miei genitori cercando di trasmettere loro qualcosa delle tante esperienze che ho la fortuna di fare viaggiando molto per giocare a tennis. Sono spesso alla ricerca di elementi che migliorano la qualità della vita, mia e di chi mi sta intorno, trovo che questo tipo di esplorazione sia fondamentale per affrontare ogni passo della nostra esistenza. Al di fuori del tennis, che è il mio lavoro, ho due passioni principalmente: mi piace giocare a golf e amo molto la musica, ascoltarla ma anche suonare la chitarra, strumento di cui sono fortemente appassionato.
Hai nominato delle passioni in cui la ricerca dell’equilibrio interiore è molto importante per potersi esprimere al meglio. Chi affronta un tumore, vive quotidianamente la messa in discussione dell’equilibrio interiore, perché ogni giorno si misura con le difficoltà cliniche, fisiche ed emotive a cui obbliga la malattia. Tu riesci ad avere un valido equilibrio interiore quando affronti le tue gare sui campi da tennis?
Anche se dalle mie passioni si potrebbe evincere che sia così, in realtà sul campo da tennis non mi ritengo per nulla un atleta equilibrato. Sicuramente è un aspetto su cui lavoro tantissimo con il mio staff, proprio perché sono alla continua ricerca di un miglioramento di questa mia caratteristica.
La mente è un aspetto fondamentale, per chi lotta contro un cancro non solo in prima persona ma anche al fianco di un parente, perché in alcuni momenti se si spegne la luce bisogna saper riaccendere l’interruttore nel modo migliore per non farsi completamente schiacciare dalle paure che nel buio il disorientamento può creare. Nelle tue partite, quando la tua testa da alleato diventa il primo avversario, quali sono i tuoi punti fermi per riuscire a recuperare la lucidità ed essere comunque efficiente per raggiungere l’obiettivo di vincere la sfida?
Mi fai una domanda molto particolare perché è esattamente uno dei miei punti su cui vorrei evolvere. Io ho dei punti fermi dentro di me, sui quali ho lavoro e ho lavorato per tanto tempo, ma alcune volte mi accade che all’interno di una partita io mi possa disorientare al punto da non sapere esattamente come ripartire da questi punti. Le partite sono spesso strane, ci sono momenti in cui è necessario “fermare le bocce” per cercare di riprendere il filo della sfida, ma devo riconoscere che la parola “certezze” io non la possa veramente usare, perché alcune volte mi accade di perdere anche quelle, e a quel punto la partita diventa davvero difficile.
Tu detieni il record del match più lungo a tre set giocato nelle qualificazioni del Roland Garros, quando vincesti contro Herbert 6-4 3-6 27-25. Tu puoi capire benissimo che un percorso oncologico è composto da una lunga serie di tappe, di eventi positivi e altri avversi, di progressioni e regressioni; mentre vivi la tappa del presente, non hai alcuna garanzia che la tappa successiva sia un miglioramento che porterà al raggiungimento dell’obiettivo guarigione, ma l’allenamento della resilienza (ovvero la capacità di trasformare un evento negativo in energia positiva per un miglioramento) è fondamentale per cercare di volgere gli eventi a favore. Raccontaci come hai fatto quel giorno a vincere quella interminabile partita nonostante stesse diventando un’impresa mai vissuta prima.
Quel giorno io sono stato capace di mantenere la lucidità per un tempo davvero lunghissimo, e anche se questo può valere anche per il mio avversario, io ci sono riuscito in maniera migliore e più efficace; magari, una settimana dopo, dopo mezz’ora di gara la mia mente crolla, non è una certezza, è semplicemente una sfida. Questo mi fa capire che ho il potenziale per fare cose grandi, ma oltre alla consapevolezza serve anche l’allenamento e la preparazione per far comandare la mente anche quando capitano le cosiddette giornate no. La vera bravura sta proprio nel sapere modificare quelle negative: io penso che dipenda da noi, dalla nostra mente, dalla capacità di modificare e ottimizzare tutto ciò sul quale abbiamo potere di modifica e ottimizzazione.
In una battaglia contro il cancro, ci sono giorni in cui si sta bene, in cui ci si sente persone normale, e giorni in cui la difficoltà sembra così grande da aver voglia di mollare e smettere di lottare e crederci. C’è mai stato un giorno della tua vita in cui hai pensato di mollare tutto quello che stavi facendo nel tennis?
Vuoi che ti dica la verità? È successo di recente, dopo aver giocato la partita decisiva per entrare nel tabellone principale degli Internazionali Bnl 2016 a Roma. Ho perso una brutta partita, sono arrivato a pensare di mollare tutto non perché avessi perso, ma per non aver fatto bene il mio lavoro e soprattutto quelle cose su cui mi ero preparato bene, sulle quali devo essere disciplinato e diligente. Quella sconfitta non fu tanto contro il mio avversario ma con me stesso. Ne ho parlato anche con il mio coach, così non volevo proprio continuare, ma in realtà non ho mollato e ho continuato.
E cosa ti ha portato quindi in campo nelle successive partita?
Ho troppa voglia di raggiungere il mio obiettivo, che è quello di entrare nei primi cento tennisti della classifica mondiale; voglio raggiungerlo, voglio stare lì dentro, non è solo un sogno, è un obiettivo reale. Non ci sono lontano, ma se non faccio quel che devo fare ci sono lontanissimo.
Alcune volte nei tumori i momenti di recupero e di svolta positiva arrivano quando le proprie condizioni fisiche non sono per nulla buone, ma non sempre l’aspetto clinico e la sensazione di star bene corrispondono. Ti è mai successo nella tua carriera di raggiungere un traguardo in un momento inaspettato, perché magari non ti sentivi bene mentalmente o fisicamente?
Sì, mi è successo per esempio l’anno scorso a Parigi, arrivavo da un periodo di due mesi precedenti disastrosi. Sono venuto a Roma, mi sono ritrovato improvvisamente in un match che stavo perdendo con troppa facilità, è scattato un qualcosa dentro di me ed ho fatto il mese più bello della mia carriera fino ad oggi.
Quanto è importante per te essere sempre pronto a credere nelle occasioni che si possono verificare anche quando gli eventi non si stanno mettendo bene?
È fondamentale. Diverse volte mi è capitato di vincere una partita che da fuori poteva sembrare a tutti fosse già persa, e queste piccole imprese avvengono solo se ti fai trovare pronto nel momento in cui la situazione può presentare una possibilità di inversione. La tenacia è la qualità indispensabile per riuscire a sovvertire la direzione di un percorso partito male, perché spesso ci confrontiamo con il risultato momentaneo, ma l’unica cosa che davvero conta è il risultato finale e anche quando le cose sembrano andare male, è fondamentale ripetersi “ce la posso fare, ce la posso fare”. Io per carattere preferisco le situazioni in cui devo rimontare il mio avversario, anche se molto spesso non è conveniente perché giochi molto con il rischio, ma a me piace cercare di recuperare situazioni in cui le cose sembrano non andare per il meglio. È in quei casi che si vede quanto la mente possa essere determinante per sentirsi pienamente attori della propria sfida, qualsiasi sfida si sia chiamati a giocare.
Grazie Andrea per esserti messo a nudo come uomo e come tennista, hai avuto coraggio nell’affrontare le domande che ti sono state poste senza il timore di esporre i tuoi lati deboli, attraverso i quali però ci hai dato modo di conoscere un uomo grande, un esploratore della profondità dell’animo umano. Da oggi tu sei un Atleta al fianco di chi lotta contro il cancro, i tuoi spunti di riflessione saranno utili a persone che stanno lottando ogni giorno per alzare le braccia vincitrici al termine della propria grande sfida.