Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Andrea Bari, pallavolista, libero della Monini Marconi Spoleto e vincitore della medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra nel 2012 con la nazionale italiana.
Benvenuto nella nostra iniziativa Andrea, dove raccontiamo alcuni aspetti della quotidianità di chi vive il cancro partendo da eventi sportivi. Ti chiederemo di parlarci di alcuni momenti della tua carriera agonistica e di come ne hai guidato le emozioni provate. Prima di tutto, conosciamoci meglio, raccontaci qualcosa di più di te, non tanto come pallavolista ma come uomo: chi è Andrea Bari quando finisce il suo impegno sui campi di volley?
Se mi devo presentare come uomo, di me devo dire che sono un figlio, un fratello, un marito e un papà. Quando poso la borsa a casa, sono una persona che deve organizzare una vita con una famiglia da cui il lavoro mi ha sempre tenuto lontano: loro infatti vivono ad Ostra, in provincia di Ancona, e riesco a tornare una volta alla settimana a casa; poi magari vengono loro a trovarmi in un altro giorno e in questo modo cerchiamo di combattere la distanza. Nel mio tempo libero, mi piace molto andare in bicicletta, soprattutto d’estate; sono appassionato di barca a vela, anche grazie alle mie origini legate al mare.
Ora che ti conosciamo meglio, iniziamo a parlare di cancro. Nel corso della chemioterapia, nell’alternanza dei cicli e delle fasi di recupero, il paziente vive situazioni in cui la tensione per i ricoveri e per lo smaltimento degli effetti collaterali cresce e situazioni in cui può radunare le energie, riposandosi e impiegando il tempo in maniera soddisfacente. Alcune persone, quando le condizioni lo consentono, preferiscono staccare completamente i pensieri, altri prediligono non annullare i sentimenti relativi al percorso di terapia per riavvicinarsi con più equilibrio alla fase successiva. Nel tuo ruolo di libero, ad ogni turno di servizio del centrale, esci dalla partita per accomodarti in panchina: come vivi queste fasi di recupero della tensione? Trovi più fruttuoso per il tuo rientro in campo dedicarti all’abbassamento delle emozioni e al riposo o al mantenimento costante del livello di attenzione?
Quando mi siedo in panchina nei momenti in cui il centrale della mia squadra va in battuta, io cerco di rimanere sempre connesso con la mente a quanto sta succedendo in campo. Farmi scendere la tensione e riconnettermi immediatamente pochi secondi dopo per me sarebbe molto più complicato. Siccome quando rientro in campo dovrò subito essere pronto per ricevere la battuta del mio avversario, mantengo l’attenzione sul giocatore che andrà a servire al mio rientro e riorganizzo i pensieri che ci eravamo detti nella riunione tecnica. Per il ruolo che ricopro sono in qualche modo il responsabile della linea di ricezione e, non essendoci in campo molta possibilità di parlare, sfrutto la mia lucidità fuori dalla gara per prepararmi due parole da dire ai compagni, ad esempio su come avesse battuto in precedenza questo giocatore. Dovendo gestire la tensione in un intervallo così breve, di pochi secondi, se la facessi calare non avrei tempo a sufficienza per farla risalire e probabilmente rimarrei sorpreso dalla nuova situazione di gioco. Lo stress a cui è sottoposta una persona in corso di chemioterapia o radioterapia è ben più elevato, probabilmente in una condizione simile la penserei diversamente nella gestione della tensione emotiva.
Quando si riavvicina però la data per tornare in ospedale per effettuare le terapie, non è facile gestire l’ansia. Esiste addirittura un disturbo chiamato “sindrome anticipatoria da nausea e vomito”, che presenta gli effetti collaterali della chemioterapia nei giorni immediatamente precedenti ad un nuovo ciclo, prima di ricevere i farmaci. Disporre di strumenti psico-oncologici adeguati è fondamentale per mantenere il controllo di un evento importante che si avvicina. Quali sono gli strumenti che usi per mantenere la lucidità e la rilassatezza quando il tuo avversario si appresta a battere e tu, da una situazione statica, devi creare in pochissimi centesimi di secondo un movimento deciso e fluido per offrire al tuo alzatore la miglior palla possibile da distribuire?
Quando io sto aspettando il servizio del battitore avversario, la cosa che cerco sempre di fare è non avere nella testa quella che io chiamo spazzatura, ovvero il pensiero di non farcela, il timore che possa succedere qualcosa di catastrofico di fronte a un mio errore. Questo pensiero porta lontano dalla concentrazione, dalla serenità; bisogna essere attivi nel momento determinato, senza pensare al futuro immediato. Ogni situazione di gioco è formata da diversi momenti di presente che si susseguono l’uno con l’altro, il timore del momento successivo non si può permettere di invadere e limitare la mia operatività sul momento presente. Nel mio ruolo è un aspetto fondamentale, devo sempre cercare di spendere tutte le proprie energie per vivere completamente il momento perché, solo così, mantengo la mente libera dalla spazzatura.
Alcune situazioni però spingono a picchi di tensione estremi: ad esempio, avvicinarsi alla data di un esame di controllo o andare a ritirare un referto è una situazione che esaspera la difficoltà di mantenere a livelli soddisfacenti la lucidità e la calma. Come hai fatto a tenere la testa libera dalla spazzatura quando, ad esempio, contro la Bulgaria stavi giocando per andare a conquistare la medaglia di bronzo olimpica?
Questo è stato ancora più difficile, anche se devo dire che da atleta ho sempre avuto grandissimo rispetto sia per la prima amichevole giocata in stagione, sia per gli ultimi palloni nei quali ti giochi la medaglia olimpica. È chiaro che l’importanza di un trofeo diventa un ulteriore elemento che aumenta la tensione, però proprio per questo motivo è ancor più importante rimanere concentrati sullo stesso principio. Non posso pensare che sto giocando per coronare il sogno della mia vita, perché questo condiziona il mio agire aumentando la tensione in quel che sto facendo. Per quanto l’evento sia importante, tu puoi decidere dove e come incanalare la tua energia: se essa va alla medaglia, non la starai indirizzando sul gesto che può portarti alla medaglia. Io in quel determinato momento sono lì per ricevere quella determinata palla, non devo avere altro a cui dedicarmi. Se però mentre sono in campo ho trovato questa contromisura, devo dire sia molto più difficile per me il momento prima della partita importante, quando hai mille pensieri per la testa e non puoi ancora concentrarti sull’azione.
La notte precedente alla conquista del bronzo olimpico sei riuscito a dormire?
Pochissimo, siamo andati a letto dopo mezzanotte preparando ogni cosa, la sveglia era puntata prestissimo perché giocavamo a due ore di distanza dal villaggio olimpico. Io ero in camera con Birarelli e quella notte devo dire che mi sono girato spesso nel letto e la tensione era altissima. C’è stato un momento in cui la mia mente si è addirittura ribellata al tutto, portandomi a pensare “Ma chi te l’ha fatto fare?”. Poi, una volta finito tutto, cinque minuti dopo il termine della partita, quelle sensazioni già ti mancano, ne diventi in qualche modo dipendente, a prescindere dall’esito delle sfide. Con il passare degli anni, riesco a riconoscere quella sensazione mentre la sto vivendo: l’ansia pre-gara, l’appetito che manca ma devi comunque mangiare per avere energia, i pensieri nel letto, sono la certificazione della mia esistenza, con il suo sapore da conoscere fino in fondo. In questo modo, riesco a limitarne le potenzialità dannose facendola diventare una situazione bella.
Il cancro è insidioso per chi, nella vita, viene considerato una persona forte: esso è infatti un’enorme nuova difficoltà, e sentirsi dire “Vedrai che ce la farai, tu che sei forte” non aiuta a sentirsi capiti fino in fondo. Spesso con la psico-oncologia bisogna aiutare i pazienti ad essere anche deboli, ad avere giornate di umana debolezza, dalle quali ripartire per costruire la propria sempre rinnovata forza. Tu hai contribuito a scrivere la storia di una società di pallavolo, Trentino Volley, vincendo ripetutamente scudetti, Champions League e Mondiali per club. Hai mai provato dentro di te la sensazione di “dover vincere” semplicemente perché eravate considerati i più forti, senza che si cogliessero le difficoltà di ogni sfida affrontata per raggiungere un traguardo?
A Trento dopo il primo anno, in cui vincemmo uno scudetto in cui probabilmente non eravamo i favoriti dal pronostico, è cambiato tutto: vincere era quasi diventato un dovere. Non intendo nei confronti della società, che è sempre stata molto rispettosa verso giocatori e staff, però dentro di noi sapevamo essere la squadra più forte, quella da battere. Gli altri contro di noi giocavano sempre con il coltello fra i denti, e ci trovavamo sempre a dover dimostrare di essere i più forti. Questo si avvertiva, a volte ce lo dicevamo, io senza dubbio lo percepivo. Ancora una volta, devi rimanere lucido capendo che non puoi cambiare un elemento esterno che ti aumenta la pressione; tuttavia, puoi imparare a mantenere il controllo dei tuoi pensieri, convogliando la tua mente verso la creazione di immagini positive che possano mitigare il tuo stato d’ansia. Devi metterti in una campana e capire cosa ti vuoi portare dentro e cosa è meglio resti al di fuori: a quel punto ti devi porre piccoli obiettivi, come “devo ricevere questa palla”, “devo posizionarmi in questo modo”. Il raggiungimento di questi micro-obiettivi ti dà possibilità di contrastare la sensazione di inadeguatezza rispetto alla portata dell’obiettivo che viene visto come obbligatorio, da raggiungere. Spesso noi sportivi veniamo percepiti come persone forti, di carattere, senza paure e ansie: dopotutto stiamo solo affrontando una partita di pallavolo. Però in quel momento per noi è una cosa molto seria, ed è proprio questo che ci dà la possibilità di poter parlare oggi di cancro mentre discutiamo di volley. Potrebbe sembrare irriverente, vista la distanza del valore della posta in palio, ma è la serietà con cui affronti la sfida che ti porta a conoscere emozioni, paure e ansie da poter condividere con questo progetto. Nessuno è sempre forte, ogni tanto tutti noi siamo deboli, ed è il momento più adatto per offrire la possibilità a chi ci sta accanto di offrire aiuto: sia nello sport di squadra, sia negli affetti nella malattia. Ed insieme poi si riprende a combattere.