Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità agonistica? Oggi ha raccolto questa grande sfida Andrea Vavassori, tennista italiano impegnato in questi giorni nel torneo di Prequalificazione per gli Internazionali BNL d’Italia al Foro Italico a Roma.
Ciao Andrea, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco. Oggi parleremo di tennis in un modo molto particolare, mettendo la tua esperienza agonistica al servizio di chi sta affrontando un tumore maligno. Racconteremo alcuni aspetti della vita quotidiana di queste persone, che oltre a non essere semplice spesso è anche rivestita di una patina di tabù che va debellata. Prima di tutto però dacci modo di conoscerti meglio, non solo come tennista: raccontaci qualcosa di te e presentati ai lettori di questa iniziativa.
Ciao a tutti, io sono Andrea Vavassori, provo a presentarmi parlando di tutto ciò che non sia tennis. Ho sempre vissuto una vita normale, sono stato uno di quei pochi ragazzi tennisti che ha terminato un percorso di studi tradizionale mentre si costruiva un futuro tennistico: ho frequentato il liceo scientifico pubblico, quindi per cinque anni mi sono dedicato anche all’attività scolastica e poi ho deciso di dare tutte le mie energie al tennis per provare a diventare un giocatore professionista. Sono un ragazzo che si è innamorato di questo sport, di questa passione che è il tennis che mi ha sempre accompagnato, dentro il campo e fuori dal campo. Mio padre è maestro e quindi in casa si parla tanto di attività sportiva. Mio fratello piccolo e mia sorella sono a loro volta coinvolti nel tennis. Sono un ragazzo a cui piace uscire con gli amici, andare in discoteca, suono la chitarra, e mi piace leggere fumetti, in particolare Tex.
Dalle tue parole si capisce quanto sia stato importante il ruolo della tua famiglia nel tuo percorso di avvicinamento e consolidamento tennistico. La famiglia è un elemento fondamentale per ogni persona che sta affrontando un tumore: diventa sia un punto di riferimento ma, al tempo stesso, tutti i componenti della famiglia vivono le difficoltà della malattia. Il cancro proprio per questo viene definita una malattia familiare e bisogna lavorare molto per impedire al tumore di diventare completamente invasivo nei pensieri e negli spazi condivisi. Spostandoci nella tua esperienza agonistica, per te la costante presenza del tennis in casa è stato più un rinforzo positivo o un’invasione di ogni spazio condiviso dedicabile ad altro per permettere di staccare la mente dal campo?
Credo che ogni fratello in casa mia risponderebbe in maniera diversa a questa domanda, proprio come è giusto sia che ogni persona viva in maniera individuale le situazioni in base alle proprie emozioni. Per me questo parlare assiduamente di tennis è stato positivo, certo non è sempre facile avere un rapporto con il proprio padre sia dentro sia fuori dal campo, ma per me credo sia stata una marcia in più. Certo è, come dici tu, fondamentale impedire ad un elemento di invaderti completamente ogni spazio, ma siamo riusciti a ritagliarci degli spazi anche per altro, siamo una famiglia unita e questo è stato sicuramente un elemento a mio vantaggio per la mia crescita, personale e sportiva.
In Italia, ogni giorno ci sono circa mille nuove diagnosi di cancro (fonte dato AIOM), vuol dire circa mille famiglie che, ogni giorno, intraprendono un percorso molto lungo, intenso sotto il profilo fisico ed emotivo, di cui non è sempre possibile prevedere l’esito finale. Quando una persona affronta una diagnosi di tumore, la sensazione primaria è “ho davanti un avversario che non so se batterò, e non so come battere”. Ti è mai capitato di dover affrontare un avversario che, classifica alla mano, fosse più forte di te e di riuscire a sconfiggerlo? E come hai dominato i pensieri di scoramento di fronte al suo presunto potere superiore?
Sì mi è successo due anni fa. Io non avevo mai preso punti ATP che è, diciamo, lo scoglio più importante per un ragazzo che inizia l’attività tennistica professionistica, quindi ero a zero, no ranking si dice; lui era la testa di serie numero 5 del tabellone, numero 320 del mondo, quindi molto più quotato di me. All’inizio non pensavo minimamente di avere le qualità necessarie per poterlo battere, però scendendo in campo sono rimasto concentrato solo su di me, cercando di fare la migliore prestazione possibile per i miei mezzi. Punto dopo punto mi sono accorto che stavamo giocando la stessa gara, e soprattutto ho capito che anche lui aveva di fronte un avversario imprevedibilmente competitivo. Dopo aver perso un primo set molto lottato, sono riuscito a vincere facilmente il secondo set e vincere il terzo. Una partita incredibile! Mi ha fatto crescere per tutto l’anno poi, per le situazioni seguenti, mi ha dato consapevolezza nei miei mezzi e, soprattutto, mi ha fatto capire che se scendi in campo contro un avversario più forte puoi concentrarti su quanto puoi tu essere un avversario tosto per il tuo rivale, questo mi dà grande supporto mentale.
Chi sta affrontando un tumore conosce bene la difficile sensazione di avvicinarsi alla fine delle terapie e sentirsi poi dire che c’è stato un piccolo passo indietro, e bisogna ripetere alcuni cicli. Reagire di fronte al traguardo sfiorato è un aspetto sul quale in psico-oncologia lavoriamo moltissimo, può essere devastante per chi aveva intravisto l’uscita dal tunnel. Come ti sei sentito dopo aver giocato bene ma aver perso il primo set di quella sfida per 7-5? Come hai trovato la lucidità di ripartire per poi vincere comunque la partita?
Diciamo che è molto difficile aggrapparsi alla lucidità in queste situazioni, ma al tempo stesso penso che non sia minimamente difficile quanto lo possa essere per chi sta lottando all’interno di una terapia. Ciò che può aiutare è rimanere concentrati sull’obiettivo finale: tu stai scrivendo una storia, non sai ancora come sarà, una volta finita la sfida, l’intero racconto. Non è il risultato parziale che deve influenzarti, devi rimanere orientato sul risultato finale, perché l’unica cosa che conta davvero è quella. Se il traguardo lo hai sfiorato, significa che fino a lì ci sai arrivare, ora serve nuova energia per tagliarlo. In quell’occasione particolare un po’ di amaro in bocca a fine primo set lo avevo, ma ho liberato la mente e ho giocato sciolto, perché avevo capito che il mio tennis e io stesso eravamo competitivi a sufficienza per quella difficile sfida.
Quando seguiamo le famiglie che vivono il cancro di un figlio, guidiamo i genitori ad essere risorsa l’uno per l’altro, nelle proprie caratteristiche differenti e uniche. Spesso, quando uno accusa un momento di crollo emotivo, l’altro sostiene la situazione, e viceversa poi. Imparare a fidarsi delle caratteristiche del proprio partner è uno dei cardini del lavoro di psico-oncologia in questi casi delicatissimi. Tu stai sviluppando una carriera da doppista, oltre che da giocatore di singolo: come vivi sul campo da tennis l’integrazione delle tue caratteristiche di gioco con quelle di un compagno con un gioco differente? E come vivi i diversi momenti in cui devi sostenere con il gioco un momento difficoltà del tuo compagno o in cui ti devi aggrappare a lui in una tua difficoltà?
A me piace molto giocare il doppio e ci sto puntando parecchio, nel 2016 avrò giocato una cinquantina di partite e questo mi ha fatto migliorare molto anche in singolo perché alleni la risposta, il servizio, la discesa a rete in maniera più intensa. Avere un compagno a fianco è una condizione positiva perché puoi aiutarti nei momenti più difficili della partita, il doppio è proprio un’altalena di momenti positivi e negativi, sia singoli sia di coppia. Quindi è fondamentale la coesione, avere un rapporto molto forte. Per questo è molto difficile giocare con un compagno che non conosci perché, magari, le abitudini sono diverse, quindi è difficile anche sostenersi perché non sai come può reagire ai tuoi segnali. Io mi trovo molto bene quando gioco con i miei amici perché abbiamo un rapporto anche fuori dal campo e questo ti aiuta molto nel corso di una sfida. Gioco molto bene ad esempio con Jacopo Stefanini, perché conoscendoci bene anche fuori dal campo, a volte basta poi uno sguardo o una parola di incoraggiamento per mantenere alta la concentrazione di un traguardo che non si può raggiungere da soli, bisogna per forza farlo insieme. Questa è la grande meraviglia del doppio in uno sport individuale come il tennis.
Ho un’ultima domanda per te Andrea. Chi sta combattendo il cancro sa quanto sia delicato il momento dell’avvicinamento degli esami di controllo. Per raggiungere l’obiettivo della guarigione non si passa solo attraverso miglioramenti ed esami positivi, la strada è spesso tortuosa; quando però ancora non sei guarito, sentirti dire che gli sforzi e i disagi non hanno portato ad un miglioramento clinico manda la testa dei pazienti in enorme difficoltà, ad alcuni può venire anche la tentazione di mollare tutto, arrivano a dire: “io non ci sto più a giocare questa partita perché sto male per niente”, anche se in realtà clinicamente i miglioramenti saranno successivi ma ancora questo il paziente non lo può sapere. Ti è mai capitato di affrontare una sconfitta così grande da aver voglia di prendere le racchette e buttarle dalla finestra e di mollare, rinunciando a vedere il frutto degli sforzi fatti fino ad allora?
Tre anni fa avevo fatto un anno buono, ma non così positivo; ero andato a fare una trasferta in Grecia per tre settimane, avevo perso la partita al primo turno per tre settimane consecutive e l’ultima in particolare avevo perso una partita abbastanza facile con un giocatore che ritenevo molto alla mia portata. Per due o tre giorni mi ricordo ero stato lì lì per dire “basta, non gioco più”. Però in realtà è una reazione umana, ma poi ci pensi bene, pensi a quali obiettivi hai, anche a quali alternative hai per raggiungere i tuoi obiettivi. Lo scoramento è una cosa umana, ma se trovi il tuo perché poi sei chiamato a ripartire. Ho ripreso ad allenarmi con più intensità, alla prima partita successiva sono entrato in campo con una grinta mai vista e ho vinto la partita. Non è facile reagire, ma proprio perché si chiama re-azione, è normale che ci possa essere un momento di sconforto. Sono gli obiettivi che fanno la differenza, insieme alle motivazioni che li accompagnano.
Grazie Andrea per le tue parole, hai saputo trasformare il tennis non solo in uno sport individuale e di coppia, ma anche di squadra: da oggi sei un atleta al fianco della grande squadra di persone che sta affrontando il cancro, siamo orgogliosi e felici che tu possa esserne rappresentante nelle tue sfide sportive grazie a questa tua testimonianza.