La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare la quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire loro la vicinanza degli sportivi professionisti. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psiconcologia. Entra a far parte di questa squadra Armin Zöggeler, leggenda mondiale dello slittino, atleta capace di regalare all’Italia sei medaglie in sei diverse edizioni dei Giochi Olimpici.
Ciao Armin, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco: in questa iniziativa di sensibilizzazione oncologica, la tua esperienza sportiva diventa spunto per conoscere situazioni della vita quotidiana delle persone che affrontano un tumore. Il nostro obiettivo è aiutare la società civile a comprendere che combattere il cancro non è solo curare una malattia, ma avere una vita fatta di emozioni molto varie e non sempre conosciute e quindi capite. Per avvicinarci a questo tema però, partiamo dalla tua vita di ogni giorno: raccontaci come è oggi la tua esistenza dopo aver terminato la tua carriera da campione dello slittino.
La vita dell’atleta è diversa da quella attuale che conduco ogni giorno. Io ho avuto il privilegio di fare di lavoro quello che per me avrebbe anche potuto essere un hobby, questo ha fatto sì che ogni sforzo richiesto non sia stato per me faticoso. Da atleta, i periodi di allenamento comprendevano anche quattro ore al mattino e tre al pomeriggio, ma qualsiasi attività per me era sempre un piacere. Adesso sono sceso dallo slittino e devo considerarmi un uomo molto fortunato perché anche in questo caso ho potuto continuare con un lavoro che riguarda questo sport in maniera molto diretta: sono rimasto nell’ambiente della Federazione continuando ad occuparmi di sport invernali, concentrandomi sullo sviluppo di nuovi materiali. In questo modo ho potuto portare le mie conoscenze e la mia esperienza ad un progetto importante. Adesso ricopro con grande gioia un ruolo di direzione tecnica: di fatto sono sceso dallo slittino senza mai smettere di occuparmene, questo fa di me un uomo fortunato e felice.
Nel nostro lavoro quotidiano di medici in oncologia e psiconcologia, cerchiamo di aiutare i pazienti ad occuparsi non solo della malattia, ma di se stessi a 360 gradi: spiritualità, relazione, piccole gioie di ogni giorno sono importanti per evolvere e scoprire nuove risorse per affrontare un tumore. Armin, possiamo immaginare quanto tu ti sia allenato per raggiungere i tuoi traguardi, ma la domanda è un po’ diversa da questo: quanto è stata importante la tua vita oltre allo slittino perché tu fossi una persona con la serenità e gli strumenti interiori necessari per scrivere la storia di questo sport?
È senza dubbio molto importante il percorso che io ho potuto fare anche al di fuori dello slittino: come sportivo nella gara sei concentratissimo, ma non ti devi focalizzare solo su quello per pensare di poter tagliare traguardi importanti. C’è tutta una parte intorno alla gara che è importante: i tuoi comportamenti, la tua relazione con giornalisti, tecnici, tifosi e familiari. È importante poi curare quegli aspetti di positività nel tuo carattere, per essere pronto a passare da una competizione ad un’altra, a raggiungere un altro obiettivo. Mi ricordo che quando io mi trovavo sul podio, i miei pensieri erano già orientati verso l’altra settimana a venire: come posso avvicinarmi con serenità ai miei impegni, limitando lo stress che è un avversario per i miei obiettivi ad esempio. Ci sono quindi delle attenzioni necessarie subito dopo le gare, altre che invece vanno curate anche nei tempi di scarico tra una competizione e l’altra, l’attenzione quindi non deve essere totalmente dedicata al 100% alla discesa ma anche a te stesso, che nella discesa sei una parte determinante del tutto. Ognuno deve trovare una sua passione che possa permettere di scaricare le tensioni e ricaricare le energie: io ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un maso e ancora oggi a Foiana, vicino a Lana nella zona di Merano, quando sento il bisogno di rigenerare le mie positività mi piace entrare in relazione con i cavalli, passione ereditata dal mio papà. Questo è un dettaglio che può sembrare poco inerente la mia attività con lo slittino, ma devo riconoscere che i cavalli mi hanno dato tantissima serenità necessaria per raggiungere l’equilibrio necessario per affrontare le mie competizioni e vincere i titoli che ho raggiunto nella mia carriera.
Il tempo in oncologia non è un alleato: sta all’uomo trasformarlo in strumento per evolvere nelle possibilità che la malattia ti lascia. Il modo in cui si riuscirà ad usare il tempo concesso può dare significato anche alle situazioni più difficili da accettare: l’attenzione non è sul tempo ma su se stessi nel tempo a disposizione. Armin, nel tuo sport la relazione con il tempo è costante e giocata sul filo dei millesimi: la tua concentrazione mentre ti trovavi in azione era dedicata al tempo da ridurre o alla cura di ogni singolo dettaglio della discesa, mentre il tempo misurava tutto senza che tu potessi controllarlo?
Può sembrare un paradosso, ma è fondamentale non porsi l’obiettivo di fissare sempre il tempo, di stare con la mente proiettata già al momento in cui all’arrivo il cronometro darà un responso, tutto questo può essere deleterio per il raggiungimento dell’obiettivo di un ottimo tempo. Da quando sei alla partenza a quando arrivi alla fine, tu devi essere concentrato sul tuo lavoro, su quanto hai studiato e preparato per svolgere la gara al meglio. Se tu pensi mentre sei in percorso a fare qualsiasi cosa non per il momento che stai vivendo ma per il risultato dell’arrivo, quello è l’istante in cui fai gli errori che comprometteranno il riscontro finale al cronometro. Non devi fare il risultato per avere il risultato: tu devi fare il compito, alla fine otterrai il risultato.
Per chi riceve una diagnosi di tumore, la guarigione è sempre comprensibilmente nella testa, ma spesso è un traguardo lontano e incerto, da costruire giorno per giorno: concentrarsi solo su quella rischia di spaventare, perché ti fa sentire impotente rispetto alle difficoltà da superare. Non è un obbligo, è un percorso. Armin, se ti avessero detto a Lillehammer ’94 “da oggi devi vincere una medaglia in ogni olimpiade per 6 giochi olimpici consecutivi”, pensi che ti saresti spaventato o ulteriormente motivato per realizzare questo incredibile record dello sport che tu solo hai concretizzato nella storia?
Io penso che se una persona mi avesse detto nel 1994 che avrei vinto medaglie per le successive 6 olimpiadi, non solo non avrei mai creduto a questa profezia ma mi sarei persino molto spaventato. Io ho iniziato il lavoro di base piano, cioè stagione dopo stagione, semplicemente svolgendo i compiti che mi venissero proposti. D’estate mi sono concentrato sulla preparazione estiva, poi ho fatto una buona preparazione invernale sul ghiaccio in maniera conseguente per portare me stesso ad un buon livello, ma senza avere l’obiettivo di vincere tutte quelle medaglie. Dopo sono arrivate le gare, ho iniziato nel 1994 con la prima medaglia olimpica a Lillehammer, un traguardo che già preso singolarmente era per me un’enorme sorpresa, perché ero veramente giovane e nessuno si sarebbe aspettato questo bronzo a 20 anni. Da lì sono cresciuto, ho sempre cercato di migliorare e ho studiato diverse tecniche di preparazione; è stato un percorso, può sembrare banale dirlo ora ma non si possono sintetizzare 20 anni di lavoro, di sfide in poche parole: la medaglia di Nagano nel ’98, il raggiungimento del vertice a Salt Lake City nel 2002, la conferma quattro anni dopo a Torino con la seconda medaglia d’oro… Devo essere attento a non trasformarlo in un elenco, perché verrebbe meno il riconoscimento di un lungo lavoro di ogni giorno. Non mi riferisco solo a me stesso, ma anche al team che con me ha lavorato per portarmi a raggiungere questi traguardi: dietro ai grandi risultati di un atleta c’è sempre una grande squadra. Io sono stato fortunato di averla non solo nei trionfi ma anche nei momenti più difficili, con confronti e chiarimenti che mi hanno permesso poi di migliorare nelle mie prestazioni: è stato l’insieme di tutte queste cose che mi ha concesso di vivere ciò che oggi posso definire una bella carriera.