Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della propria carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Costantino Rocca, leggenda del golf italiano.
Ciao Costantino, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco; in questo progetto, lo sport diventa spunto per raccontare alcuni aspetti della quotidianità delle persone che stanno combattendo contro un tumore maligno. Ci spingeremo insieme a parlare di cancro e di golf, due ambiti molto lontani, ma che si avvicinano in alcune sfumature che ci daranno la possibilità di rompere il tabù dell’argomento tumori, senza lacrime, senza retorica. La prima domanda ci permette di avvicinarci e conoscerci meglio: raccontaci la tua storia personale e sportiva, che ti ha portato a diventare un grande giocatore di golf.
Io ho iniziato a dedicarmi a questo sport da ragazzino perché abito sopra un campo da golf, ad un chilometro e mezzo in linea d’aria. La prima volta che ci sono stato avevo sette anni, mio fratello mi aveva portato a fare il portabastoni, il caddie; poi, verso la quarta elementare, ho iniziato a recarmici con continuità: andavo a scuola in bicicletta e, al termine delle lezioni, correvo al golf per stare lì con tutti gli amici. Purtroppo noi caddie non potevamo giocare sul campo perciò organizzavamo delle partite in mezzo al bosco. Tutto ciò mi ha avvicinato a questo sport che, a quel tempo, era solo per persone “che potevano”, abbastanza ricche. Finite le scuole, ho iniziato a lavorare in fabbrica fino a 24 anni, continuando a fare il caddie e a giocare a calcio alla domenica, con la squadra del paese. Stando a contatto con i giocatori e osservandoli, ho imparato il movimento del golf e mi è scattato lo stimolo di insegnarlo. A venticinque anni quindi, sono stato a Roma e ho preso il patentino per diventare insegnante professionista; nello stesso momento, il direttore della scuola mi ha detto “ma perché non giochi nel tour europeo?”. Io a livello agonistico, non avevo mai fatto gare internazionali, avevo fatto un campionato italiano a squadre, per il resto, giocavo ogni tanto con i soci del circolo. “Vabbè, non sarai Severiano Ballesteros, però un campione lo puoi diventare” mi disse. Io ho creduto in lui, lui mi ha dato questa possibilità, mi ha portato a prendere la carta per giocare nel tour europeo e questo mi ha dato tanta fiducia in me stesso. Per 6-7 anni, ho vinto i campionati italiani, ma giocavo con poco successo a livello europeo, perché l’esperienza devi farla partita dopo partita. Nel 1989, mi sono detto che, prima di finire la mia carriera da giocatore, mi sarebbe piaciuto, per una volta, arrivare nei primi tre in un torneo europeo. Da lì ho iniziato, dal ’90 in poi, a giocare ad altissimi livelli fino al 2000-2005, con grandi soddisfazioni. Devo quindi ringraziare questa persona che mi ha aiutato a capire che potevo farcela. Avrei potuto vincere più tornei, però, da dove ho iniziato, penso di ritenermi molto soddisfatto, anche se poi l’appagamento non è un sentimento che fa parte dell’ambizione nello sport. Si vuole sempre di più, ma giochi contro altri 150 ad ogni torneo, bisogna fare i conti anche con gli avversari, che hanno i tuoi stessi desideri. Comunque ho raggiunto dei risultati molto buoni, sono arrivato n.17 al mondo, ho giocato tre Ryder Cup, che è la gara “America contro Europa”, vincendone due, ho giocato negli Stati Uniti e un po’ in tutto il mondo. Il golf mi ha dato una lezione di vita, perché andare in un altro paese ti porta a vedere culture e abitudini differenti. Ho sempre rispettato tutte le culture degli altri paesi, però il più bel Paese del mondo a mio parere resta l’Italia.
Ci sono due grandi sfide che coinvolgono una persona che sta combattendo contro il cancro: la prima è per la sopravvivenza, ed è prevalentemente in mano all’equipe medico sanitaria; la seconda è per il mantenimento di una qualità della vita accettabile, ed è una battaglia costante che si svolge secondo dopo secondo. La nostra mente è portata a credere che nel corso della terapia ci possa essere solo sofferenza e difficoltà, e nel caso di guarigione tutto questo scompaia. In realtà non è così: in ogni passo quotidiano nel periodo di terapia, bisogna darsi da fare per dare un colore positivo alle proprie giornate, anche le più difficili. Al tempo stesso, anche una volta guariti ci si deve impegnare a fondo per sfruttare appieno la salute riacquisita per metterla al servizio della propria qualità della vita. Il rapporto con la natura, è uno strumento straordinario per sintonizzare la propria esistenza con il mondo interno e il macrocosmo che ci circonda. Che relazione hai sviluppato tu con la natura, dopo anni di lavoro immerso in essa?
Avendo lavorato dieci anni in fabbrica dentro quatto mura, mi sono sempre reso conto di cosa volesse dire svolgere un mestiere piacevole all’aria aperta, è un’altra cosa. Infatti, ho avuto la possibilità di ritornare in fabbrica per lavorare nel polistirolo, per fare le calotte interne dei caschi per il signor Nolan, ma ho gentilmente rifiutato l’offerta, nonostante fosse per certi aspetti allettante. Il mestiere di golfista mi ha fatto girare il mondo, ma non hai sempre la possibilità di godere fino in fondo di questo privilegio. Uno ti chiede “come era Parigi?” e tu puoi parlare solo del Terminal 3, in trent’anni ho visto una sola volta la Tour Eiffel ma proprio perché ci siamo passati sotto. Però poi vai sul campo, e nella natura tu soffri, gioisci, ti fai un’esperienza di vita costante a contatto con lei. Vi svelerò un aneddoto: per riuscire a mantenere il corpo rilassato nel momento dei colpi decisivi, ho sempre pensato ad un’immagine positiva, che mi distogliesse da sensazioni negative, a me in montagna dai miei nonni, quando facevo il pisolino pomeridiano, che guardavo le nuvole bianche che sembravano panna. Penso che la natura sia qualcosa che non rispettiamo mai abbastanza, non riusciamo a metterci in testa che, soprattutto qui in Italia, ne abbiamo di tutti i tipi e non la sfruttiamo davvero a fondo per il nostro benessere.
Non è facile per un paziente percepire la chemioterapia e la radioterapia come alleati. Certamente sotto il profilo clinico sono strumenti indispensabili, ma avere a che fare con gli effetti collaterali è difficile, sebbene nel corso dei decenni si stiano riducendo. Le persone che vi si sottopongono non possono avere una valutazione immediata dei benefici che queste terapie producono, mentre gli effetti collaterali si riversano nella loro quotidianità istantaneamente. Raccontaci un aspetto del golf: noi poco esperti sappiamo che per ogni buca esiste un PAR, ovvero un’indicazione dei colpi necessari per mandare la palla in buca. Ma per il golfista, il PAR è un alleato che dà indicazioni o un nemico che mette pressione?
Nel golf, il PAR è la regola del gioco. Noi non giochiamo contro il par: in tante gare, finisci anche sopra il par e vinci lo stesso; noi giochiamo contro il campo. Infatti, se ad una buca il par è 5 e tu fai 3, dici “In questa l’ho battuto!”. Se però il giorno dopo c’è bufera e fai 6, è buono ugualmente. Questo è il concetto, un golfista cerca sempre di combattere contro il campo, però deve farlo diventare amico perché deve saperlo capire nelle diverse situazioni di tempo, nelle più varie condizioni atmosferiche.
Quando una persona riceve una diagnosi di tumore, il primo impatto è scioccante. Il rischio, che spesso si concretizza, è che ci si senta di fronte ad un avversario imbattibile e che non si disponga di strumenti sufficienti per sconfiggerlo. Tu hai affrontato il numero uno per antonomasia del mondo del golf, Tiger Woods, e lo hai sconfitto nell’uno contro uno della Ryder Cup del 1997. In quella sfida, hai mai avuto la sensazione di non avere strumenti a sufficienza per riuscire a batterlo?
In quell’anno, io avevo giocato con lui il Master di Augusta all’ultimo giro, mi aveva fatto veramente impressione: non avevo mai visto un giocatore colpire la palla in quel modo, sapeva giocare tutti i colpi. Mi sono detto che si trattava di un mostro, non di una persona normale. Però io stavo giocando bene e nel match play vince non chi la tira più lontano, ma chi riesce a metterti in difficoltà. Il mio capitano, Severiano, mi ha detto “tu non devi guardarlo, non devi fare il suo gioco ma il tuo”. Mi aveva giustamente detto che il secondo colpo l’avrei sempre tirato io per primo perché ero più corto di lui, ed io avrei potuto metterlo in difficoltà cercando di far arrivare la palla il più vicino possibile alla bandiera con quel secondo colpo, spingendolo sotto pressione. È quello che ho fatto: sono stato molto calmo, l’ho guardato quando giocava, perché mi piaceva, però ero concentrato sul mio gioco. La chiave è stata proprio nell’averlo conosciuto prima e poi essere riuscito a controllare la voglia di copiare una persona del genere. Io posso copiare la grinta di Tiger, ma non il suo movimento, è riuscendo ad essere me stesso che sono riuscito a batterlo.
Il sovrappeso e l’obesità sono tra le prime cause di tumore al mondo: la sedentarietà è un nemico della salute anche in oncologia. Tuttavia, il contrario di sedentarietà non è per forza l’attività sportiva agonistica: per esempio, mezz’ora di camminata al giorno per cinque giorni alla settimana, riduce il rischio di cancro al colon di 3-4 punti percentuale (fonte: AIRC). Secondo te il golf potrebbe aiutare le persone a vivere una vita meno sedentaria, contribuendo a migliorare la propria salute?
Gli italiani sono troppo agonisti, in tutti gli sport, anche a livello amatoriale e forse è questo il motivo dell’incomprensione di certe cose. Il golf è uno sport molto completo perché richiede concentrazione, rispetto, movimento, ma siamo arrivati ad una fase in cui ci sono gare tutti i giorni e quindi, appena uno può, va a competere. Non è bella la competizione tutte le volte che tu vai, perché non è il tuo mestiere: tu fai un altro lavoro, tu fai l’impiegato, la casalinga, l’avvocato, il dottore. La questione importante, nel golf, è il fatto di creare dei campi dove uno vada a giocare senza, per forza, partecipare ad una competizione. Ti fai la partita con l’amico, ci si paga il caffè, cammini, giochi, ti rilassi. Se uno ti dicesse “vai a camminare per dieci km”, ti sembra un’infinità; invece giocando diciotto buche di golf, tu fai dieci chilometri senza correre, muovendoti per circa quattro ore. Nello stesso momento, tu impari il rispetto della persona che hai di fronte, il rispetto delle regole, il rispetto del campo nella natura, perché se lo spacchi devi rimettere a posto la zolla. Sono quindi tanti i motivi per i quali giocare a golf può migliorare la vita: personali, relazionali e anche di tutela e miglioramento della propria salute e serenità.