Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia, e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Fanno parte di questa squadra di uomini di sport Eugenio Corini e Salvatore Lanna, allenatore e vice del Brescia Calcio. Questa è la loro testimonianza.
Eugenio Corini e Salvatore Lanna, benvenuti nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Partendo da situazioni vissute nella vostra carriera sportiva, racconteremo alcuni aspetti della quotidianità delle persone che combattono contro un tumore. Raggiungeremo insieme questo obiettivo, concentrandoci sulle vostre componenti che vi fanno uomini prima ancora che sportivi. Dovendo confrontarci sulle situazioni di ogni giorno, ci racconti Eugenio come si svolge la quotidianità di un allenatore di serie B, una volta terminati i propri compiti sul campo, con il proprio nucleo familiare?
È importante avere una quotidianità anche fuori dall’attività di allenatore, perché in questo lavoro l’intensità emotiva ti assorbe molto. Quando allenavo a Verona, la sera rientravo in famiglia ed ero piacevolmente obbligato a sintonizzarmi sullo scambio relazionale con mia moglie e con i miei figli; quando poi ripartivo alla mattina successiva, la mia attenzione era già votata totalmente alla squadra. Per sopperire a questo stato d’animo, si finisce per concentrarsi ancora di più sul proprio lavoro: può guadagnarne l’aspetto professionale, ma è fondamentale mantenere una frequenza minima di relazione, perché quello che si riceve giova alla nostra vita e anche al nostro lavoro.
L’impatto con il ricovero è un momento molto delicato per chi si appresta a rimanere diverso tempo in ospedale per le terapie o per un intervento chirurgico. Molte persone, pazienti e familiari, raccontano che quando si incontra uno staff medico e paramedico in sintonia fra di loro, ci si sente più a proprio agio. È fondamentale che le figure sanitarie lavorino bene ma anche che riescano a mantenere un’intesa e un’armonia elevata all’interno del reparto, per offrirla a chi, trovandosi ricoverato, vive una situazione di disagio. Salvatore, nella tua storia da calciatore al Chievo Verona hai fatto parte di un reparto in qualche modo storico: Moro, D’Anna, D’Angelo, Lanna è un quartetto che si recita a memoria come le migliori difese della storia del calcio italiano. Quanto è stato importante avere un’ottima intesa nel vostro reparto per offrire prestazioni efficaci e raggiungere traguardi superiori alle attese di ogni italiano?
Sicuramente c’era una grandissima stima reciproca, e mi permetto di dire non solo in quel reparto ma in tutta la squadra. L’idea del nostro allenatore Delneri era di dare una forte identità difensiva al nostro gioco e, attraverso il lavoro, noi siamo diventati quattro teste che ragionavano come se fossero una sola, direi anche cinque aggiungendo il portiere che era una parte integrante fondamentale della fase difensiva. Come reparto noi ci muovevamo all’unisono, ma non era in alcun modo una situazione improvvisata: abbiamo lavorato tantissimo insieme per assimilare fino in fondo ogni dettaglio degli schemi difensivi del nostro allenatore. È fondamentale però capire che la fase difensiva non riguarda solo i difensori: senza il coinvolgimento e il lavoro di tutta la squadra non saremmo riusciti a raggiungere i traguardi che abbiamo toccato. Lavoravamo bene dal punto di vista didattico e ci mettevamo tutti grandissimo impegno, rafforzati anche dai risultati che stavamo ottenendo: l’efficacia delle prestazioni è stata una logica conseguenza di tutto questo, ma senza il feeling e la passione che provavamo lavorando insieme non avremmo raggiunto certi obiettivi.
Il percorso clinico di una persona che affronta un tumore è spesso instabile: ad una fase di miglioramento iniziale possono succedere dei peggioramenti e poi di nuovo delle riprese positive. È fondamentale aiutare con la psico-oncologia i pazienti nel momento del peggioramento, permettendo loro di capire che si può raggiungere l’obiettivo finale della guarigione anche attraverso passi indietro parziali. Eugenio, nella tua storia da calciatore ti sei trovato in un momento molto precoce della tua carriera con la maglia della Juventus: come hai vissuto la fase successiva in cui il blasone che indossavi era inferiore, ma che ti è servito per consolidare le tue doti per diventare il grande calciatore che hai mostrato di essere?
Quando si avverte la sensazione di fare un passo indietro, allontanandosi da un traguardo che si prefigurava come già raggiunto, è fondamentale non perdere la fiducia, anche se in quel momento è molto facile smarrirla. Devi andare alla ricerca di risorse dentro di te che nemmeno tu pensi di avere, perché nel momento in cui riesci a superare una difficoltà che ti ha fatto male, ne esci rafforzato e riesci ad affrontare con più facilità situazioni simili che si possano ripresentare sul tuo percorso. Ogni persona, ogni uomo nel proprio percorso umano deve indagare dentro di sé questa grande risorsa: vedere il baratro è un passaggio possibile delle fasi della vita, non solo sportiva, ma se in quell’istante trovi l’appoggio dentro di te e nelle persone che ti sono vicine, sicuramente puoi diventare molto più forte superando quella difficoltà. Se penso alla testa che avevo a 20 anni, quando ho esordito in Serie A con la Juventus, e quella che mi ritrovo oggi, posso dire di essere molto migliorato. Quando si è giovani si tende a credere di avere ragione, sempre e a prescindere, ma con il passare degli anni apprendi il dono della sfumatura, impari ad ascoltare i pareri diverso dal tuo, primariamente per esempio quello dei tuoi genitori. Attraverso questi passaggi affronti una maturazione che ti porta a vivere le situazioni in maniera diversa rispetto a quando eri giovane e in qualche modo immaturo, ma il tutto resta legato alla capacità di non perdere la fiducia in te stesso in relazione agli eventi.
Giorno dopo giorno, chi affronta il cancro si accorge che ci possono essere giornate profondamente difficili e altri giorni molto più affrontabili; la variabilità può presentarsi anche in maniera repentina. È fondamentale mantenere la guida delle proprie emozioni a riguardo: lasciarsi abbattere da una giornata difficile è pericolosissimo, così come farsi esaltare da una giornata positiva. La posizione di comando emotivo deve essere sempre mantenuta con equilibrio e decisione, vivendo in maniera serena le giornate piacevoli e affrontando con coraggio quelle difficili. Salvatore, il campionato di serie B è molto lungo, ben 42 giornate, e tradizionalmente equilibrato: come si mantiene la stabilità emotiva della squadra quando si vivono sconfitte inattese o vittorie a sorpresa, che possono far variare la posizione in classifica di diverse unità?
Noi siamo uno staff fortunato, perché sotto questo aspetto Eugenio dispone lui in primis di un grande equilibrio mentre svolge il ruolo di capo allenatore: possedere la capacità di gestire tutti i momenti nella loro variabilità emotiva è una dote importante, di conseguenza riesce a trasmettere questa condizione sia alla squadra sia a tutti noi componenti del suo staff tecnico. La squadra deve sempre percepire da parte dello staff una grande professionalità, a prescindere dalle emozioni che si possono provare in seguito ad una vittoria o una sconfitta, mentre spetta a lui decidere quando alzare o stemperare la tensione e i toni. Possedendo lui per primo la dote dell’equilibrio, esercita questa pratica in maniera efficace e questa trovo sia una risorsa fondamentale per la gestione emotiva della nostra squadra nel corso di un campionato lungo ed equilibrato come la Serie B. In tutto questo è poi basilare avere fiducia nel lavoro e concentrarsi in maniera proficua su di esso, a prescindere dal risultato precedente: sapevamo di essere in un campionato molto equilibrato e i fatti lo stanno dimostrando ben oltre ogni aspettativa. L’abbinamento di una guida salda ed equilibrata ad una proficua cultura del lavoro è ciò che ci deve condurre nel corso di questo percorso lungo 42 giornate.
Attraverso il dominio delle emozioni si riesce a mantenere il controllo della lucidità, che è un obiettivo fondamentale. Una persona a cui viene fatta una diagnosi di tumore maligno si trova infatti a dover prendere delle decisioni importanti in breve tempo, sia sotto il profilo clinico sia nell’organizzazione delle dinamiche quotidiane, nelle quali si ha meno possibilità di essere presenti e operativi rispetto a prima. La sensazione immediata è di non essere più in grado di decidere, di compiere scelte lucide; per questo è fondamentale attraverso la psico-oncologia riacquisire gli strumenti determinanti per prendere decisioni in serenità e sicurezza nonostante la pressione indotta da un elemento esterno ingombrante come il cancro. Nell’ambito calcistico, il ruolo di allenatore richiede di compiere molte scelte: a quali strumenti si affida mister Corini per mantenere la lucidità nelle decisioni quando elementi esterni, come ad esempio la pressione data da una posizione in classifica lontana dagli obiettivi, rischiano di farla venire meno?
Siamo persone umane, soggette ad emozioni; quando fai questo mestiere ne vivi di molto forti, nel bene e nel male. In un mio personale percorso di crescita, ho trovato grande aiuto nella fede: sentirsi parte del mondo ma rendersi conto che non sei tu che lo puoi guidare è un passaggio per me molto importante. Affidarsi a qualcosa di più grande di te a cui poter dire “Aiutami Tu a trovare la soluzione giusta” significa rimanere in equilibrio con se stessi, identificando meglio su cosa noi possiamo davvero incidere. All’inizio della mia carriera ero più interventista, sentivo l’esigenza di voler risolvere immediatamente il problema; poi con il tempo ho capito che spesso le difficoltà hanno bisogno di tempo per essere metabolizzate e meglio comprese. Riferisco questo al calcio, ma non solo: in tutta la mia vita la fede è stato uno strumento straordinario per aiutarmi a capire cosa potessi fare e come agire di fronte ad un problema. Nello specifico della mia professione, quando sento che la pressione raggiunge livelli tali da levarmi la lucidità per compiere una scelta, mi affido alla preghiera per invocare supporto ed illuminazione. Questo mi ha aiutato profondamente ad essere più riflessivo, riempiendomi di calma ed evitando di prendere decisioni avventate, che spesso si rivelano poi le più sbagliate. Per me la fede è stata ed è determinante: sentirsi nel mondo ma percepire l’esistenza di un’entità superiore, ti fa sentire più piccolo e più umile, aiutandoti a ridimensionare la tua responsabilità e facendoti sentire che nelle tue decisioni non sei solo. Trovo questo molto importante, per me senza dubbio lo è stato e lo è.