La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare la quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire loro la vicinanza degli sportivi professionisti. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psiconcologia. Entra a far parte di questa squadra Fabio Scozzoli, capitano della nazionale italiana di nuoto e tre volte medaglia d’oro nei campionati europei.
Fabio, il nuoto con Atleti la tuo fianco diventa spunto per approfondire le emozioni delle famiglie coinvolte in un percorso oncologico. La prima domanda è introduttiva e ci permette di avvicinarci facendo una conoscenza migliore: quali sono le caratteristiche di Fabio Scozzoli, dentro e fuori dalla vasca, che danno valore alla tua quotidianità?
Vivo la mia quotidianità con la mia fidanzata Martina, anch’essa nuotatrice: così insieme a lei mi alleno e trascorro la maggior parte della giornata. La quotidianità di lavoro per un nuotatore prevede allenamenti al mattino e al pomeriggio, quindi è senza dubbio in vasca che trascorro la maggior parte del tempo. Oltre allo sport, mi interessa tutto ciò che riguarda il benessere fisico a 360°: dedico molto tempo a fare la spesa con attenzione e a cucinare bene. Ho un cane, Clara, a cui sono molto legato e che io e Martina adoriamo far giocare. Il tempo libero amo spenderlo in famiglia, e tutte le volte che mi è possibile raggiungo mia sorella a Ravenna, che ha due figli meravigliosi con cui è sempre una gioia stare, o i miei genitori a Forlì. Proprio attraverso mia mamma ho conosciuto la realtà della malattia oncologica. Quando avevo tre anni le è stato diagnosticato un tumore al seno: è stata operata due volte ed è stata sottoposta a diversi cicli di chemio: è stata un’esperienza piuttosto dura, ma ringraziando il cielo è riuscita ad uscirne.
Una situazione poco conosciuta e molto sottovalutata in ambito medico è quella della sala d’attesa. Rappresenta un elemento delicatissimo perché l’angoscia trova un terreno molto fertile in questi momenti. Forse come medici dovremmo ricordarci che, nel momento in cui il paziente si trova in sala d’attesa, il nostro compito è già cominciato, e la psiconcologia ha il dovere di fornire alle persone degli strumenti per avere il controllo anche di queste situazioni. Nel nuoto esiste la camera di chiamata, durante il quale siete radunati in attesa della vostra competizione. Raccontaci come gestisci la tensione di un momento come questo, in cui attendi di entrare in vasca e di dover dare un senso in una manciata di secondi a tutto il lavoro che hai fatto in allenamento.
Sicuramente con il passare degli anni sono diventato più abile a gestire questo tipo di situazione. È importante essere concentrato su te stesso: in quei momenti non puoi controllare cosa faranno gli altri, ma puoi impegnarti affinché le tue emozioni non prendano il sopravvento su di te. Nella nostra specifica condizione può essere d’aiuto eseguire una serie di esercizi fisici, stretching e meditazione, con cui tu prepari corpo e mente ad essere sintonizzati e a dare il massimo in quel breve tempo a tua disposizione. Soprattutto le prime volte è facile farsi distrarre da qualcun altro o da altri pensieri, ma con l’allenamento anche questi aspetti possono migliorare molto: devi cercare il controllo dei tuoi pensieri e molto spesso è necessario impegnare il tuo cervello in azioni e in gesti che richiedono impegno fisico e mentale.
Durante un percorso oncologico il paziente si trova spesso a percorrere a ritroso la storia della sua malattia, talvolta colpevolizzandosi se i suoi comportamenti non sono stati ineccepibili sotto il profilo della prevenzione. Il compito della psiconcologia è non solo porre le persone in pace con il loro percorso, ma anche di mettere a frutto il tempo a disposizione presente per vivere le varie situazioni con la maggiore determinazione possibile, non condizionata da pensieri inutilmente dannosi. Come nuotatori avete due riferimenti principali in gara: il cronometro e gli avversari. Come ti rapporti a questi? Quali sono i pensieri che passano nella tua mente durante il breve tempo in cui gareggi?
Dipende dal tipo di competizione. Nella maggior parte delle competizioni, il tempo non conta molto: quello che conta è arrivare davanti agli altri, perché è la posizione che porta le medaglie. È importante avere il controllo di te stesso, cioè riuscire a dare il massimo rispetto alla tua preparazione. Poi ovviamente durante la gara possono succedere degli imprevisti ai quali devi reagire, e questa reazione consiste talvolta paradossalmente nel non farti influenzare da quello che ti succede intorno. Personalmente ricordo con un po’ di amarezza le Olimpiadi del 2012: lottavo per la medaglia ma poi mi sono lasciato influenzare dagli atleti nelle corsie al mio fianco e, invece di rimanere fedele al mio ritmo, ho inseguito loro, bruciando così troppe energie nella fase iniziale della competizione per poi arrivare troppo stanco al momento decisivo.
Di fronte ad un cattivo piazzamento, un tuo buon tempo ti permette in qualche modo di sentirti in pace con te e con tutto il lavoro alle tue spalle?
Assolutamente sì! Ovviamente bisogna essere oggettivi e riconoscere i propri limiti: se ho fatto tutto quanto fosse in mio potere e sono arrivato per esempio solo ottavo, allora devo accettare il responso serenamente.
Noi esseri umani siamo portati inevitabilmente a vivere nel presente pensando continuamente al futuro. Quando siamo in salute proiettiamo tutto il nostro futuro annullando le componenti imprevedibili; quando però subentra una diagnosi di tumore ci troviamo davanti agli occhi una sorta di lente che scurisce tutto, compresa la previsione del futuro. Una parte importante del lavoro con pazienti e famiglie è dedicata a non concentrarsi esclusivamente sulla previsione di ciò che sarà, coinvolgendo elementi che ancora non possediamo. Le persone vanno aiutate a comprendere che come stiamo affrontando questa realtà presente e certa, affronteremo anche quello che si presenterà nel futuro e che ora non possiamo ancora conoscere.
Nel nuoto non c’è una situazione di incertezza così realmente spaventosa, perché comunque stiamo parlando di uno sport e di sfide che concedono sempre rivincite. Una delle incertezze maggiori in vasca è legata alla nostra preparazione dell’evento: noi non possiamo sapere come sarà il risultato finale ma la psicologia dello sport ci aiuta e ci permette di rimanere focalizzati sul presente e sugli obiettivi a brevissimo termine. Io so che l’allenatore ci invia gli allenamenti settimanali, li guardo e scopro che oggi pomeriggio ho un certo tipo di allenamento sul quale devo essere concentrato al 100%; quello che succederà tra tre mesi non mi riguarda. È fondamentale essere focalizzati sul presente!
Come ti sei sentito il giorno che ti hanno detto che avevi il legamento crociato rotto? Sei riuscito ad evitare di proiettarti in un futuro poco rassicurante per un atleta di fronte ad una diagnosi come quella?
Fortunatamente sì, e un po’ anche per inesperienza, dal momento che prima di me non c’erano stati casi simili in acqua, per cui si andava un po’ alla cieca speranza. La riabilitazione di per sé era precisa e chiara, ma quello che non era chiaro era quanto tempo avrebbe richiesto e se mai sarei tornato competitivo ai miei livelli. Col senno di poi riconosco che di tempo ce n’è voluto tantissimo! I miglioramenti sono lenti e quindi inizi a farti delle domande, però fortunatamente, anche grazie all’aiuto della mia famiglia e di tutte le persone che mi sono state vicine, sono riuscito a restare focalizzato sul presente. Penso che sia stato proprio questo a fare la differenza.
Esiste un concetto in oncologia che porta le persone a definirsi guarite quando sono trascorsi 5 anni dalla conclusione delle terapie senza che vi sia stata una ricomparsa della malattia. In questa sorta di calendario in cui vengono eseguiti esami a scadenza stabilita, le persone e le famiglie vivono un’attesa fibrillante per poter dire “sono guarito”, anche se in realtà bisogna aiutarle a comprendere che sicuramente queste scadenze sono importanti, ma è altrettanto importante vivere nel presente senza relegare la propria serenità ad un ipotetico e più o meno lontano futuro. Per te come sportivo una scadenza molto importante è quella delle Olimpiadi, che ricorrono ogni 4 anni. Cosa ha rappresentato per te questa scadenza quadriennale e come ha influenzato la tua motivazione durante gli allenamenti?
Con le Olimpiadi ho un rapporto un po’ particolare. La mia prima è stata Londra 2012: in quel momento ero al top della carriera e, con un secondo posto ai mondiali, ero presentato come uno dei favoriti. L’ho vissuta nel modo più sereno possibile e ho disputato un’ottima semifinale, anche se poi durante la finale è successo quello che raccontavo prima. Il pensiero è ovviamente stato “ci riproverò tra 4 anni”, ma in 4 anni possono succedere un sacco di cose che non mettiamo in conto, come per esempio l’infortunio al ginocchio, che non mi ha permesso di classificarmi alle Olimpiadi di Rio 2016. Quello, a posteriori, è stato il momento più brutto della mia carriera. Per quanto riguarda le Olimpiadi di Tokyo, beh, staremo a vedere: per ora rimaniamo concentrati sul presente, il futuro ne sarà una diretta conseguenza.