Parlare di cancro in maniera libera con sportivi professionisti, conversando sulle loro difficoltà e abitudini nell’agonismo ma ponendo la luce su aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco“, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi raccoglie questa sfida Federico Gaio, tennista italiano del circuito mondiale ATP.
Ciao Federico, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco per parlare di cancro sfruttando le situazioni quotidiane dello sport. È una sfida importante e non facile, ma passo dopo passo riusciremo a farla insieme. Cominciamo però da te, da ciò che non conosciamo di Federico Gaio: raccontaci in poche parole chi sei, presentandoti non come tennista ma come uomo al di fuori dai campi da tennis.
Io sono Federico Gaio, una persona semplice che ama divertirsi con gli amici e stare con la propria famiglia. Abito in un piccola realtà cittadina come Faenza dove, ogni volta che ritorno a casa, ritrovo certezze per me fondamentali: il solito bar, i soliti amici, i punti fermi della mia vita. Amo rilassarmi al mare, particolarmente a Milano Marittima, e i piccoli piaceri della vita, come un aperitivo con gli amici, mangiare un gelato, cose che mi aiutano a staccare la spina e a pensare ad altro che non sia il tennis.
Come puoi immaginare, la dieta è un aspetto molto delicato per chi sta affrontando il cancro perché viene limitata. Durante il trattamento di chemioterapia, può comparire una complicanza chiamata mucosite che complica enormemente la possibilità di bere e mangiare, può cambiare la percezione di rilevare i sapori: il recupero della libertà alimentare è uno dei traguardi importanti da raggiungere. All’interno della vita del tennista, ci sono delle rinunce alimentari a cui vai incontro per poter far parte di un percorso da professionista sportivo?
Noi sportivi dobbiamo rinunciare ad alcuni cibi ma per un obiettivo concreto e volontario, in malattia la causa cambia completamente. Indubbiamente c’è una doverosa correlazione tra la vita sportiva e l’alimentazione sana, anche se pure la predisposizione genetica ad ingrassare ha la sua importanza. Io sono molto goloso di dolci, non è un caso che prima abbia nominato il gelato nella presentazione; però so che non posso lasciarmi andare a mangiarne ogni volta che vorrei, altrimenti credo che ne mangerei cinquanta al giorno. Me ne posso concedere uno ogni tanto, ma lo faccio comunque con gioia, perché poter mangiare cose buone e che piacciono, come spiegavi tu prima, è una libertà importante. Una dieta corretta non è di per sé costellata di rinunce, più che altro è ricca di cibi sani. E sentire che puoi trarre beneficio nel tuo corpo attraverso le tue scelte alimentari, è un aspetto importante per un atleta.
Un malato di cancro si accorge presto che la via verso la guarigione è molto lunga, fatta di alti e bassi ma anche composta da tempi intermedi di terapia, attesa e sopportazione. A volte l’obiettivo sembra vicino, a volte lontanissimo. Tu sei un tennista che sta guadagnano posizioni in classifica ATP, che si gioca chanche importanti nel circuito challenger per entrare poi nei tabelloni principali dei tornei ATP; non sempre però è facile guadagnare posizioni velocemente senza perderne. Come si convive in una stazione intermedia direzionati verso un obiettivo di miglioramento e, allo stesso tempo, con l’attenzione a raccogliere risultati sufficienti per non fare passi indietro?
Io sono in un momento della mia carriera particolare, sto cercando di costruire qualcosa, posando mattone dopo mattone, ma in una linea che non è sempre in progressione, a volte fa anche dei passi indietro. Tutti cercano di passarci il meno tempo possibile in questi stadi, perché sono un po’ come le sabbie mobili, soprattutto nella fase dei circuiti Futures, in cui più tempo ci rimani e più è difficile uscirne. Però è fondamentale riuscire a mantenere un equilibrio mentale sapendo che il percorso può anche durare molto rispetto ai tuoi desideri di traguardo. Quelli che riescono a bruciare le tappe sono veramente pochissimi, come uno Sasha Zverev per intenderci, che è riuscito a bruciare tutte le tappe Futures e Challenger, andando praticamente alla terza fase che sta vivendo da protagonista. La maggior parte di noi tennisti affronta moltissimi tornei, quasi ogni settimana, e quindi è molto facile fare alti e bassi: ci sono settimane in cui raccogli tantissimo, altre nelle quali ti sembra di aver solo fatto passi indietro. In ogni caso, l’obiettivo è sempre e solo uno: migliorare e andare sempre più in alto, sia che avvenga con velocità, sia che ci voglia tempo e costanza.
In Italia ci sono tre milioni di Survivors, ovvero quelle persone che hanno sconfitto il cancro; spesso decidono di diventare attivisti all’interno del mondo dell’oncologia raccontando le loro storie alle persone che stanno ancora affrontando la malattia, per offrire loro l’esempio concreto che di tumore si può guarire. Nel tennis, molti italiani giocatori italiani raggiungono il proprio best ranking in una fase di carriera più matura rispetto a tennisti di altre nazionalità. Quanto può essere incoraggiante per un tennista avere l’esempio di moltissimi altri colleghi con la loro storia che ha scritto le pagine migliori nella parte finale di carriera?
In Italia sono davvero moltissimi gli esempi di tennisti che hanno raggiunto il loro best ranking in un momento avanzato della propria carriera: basti guardare Paolo Lorenzi, che ne è uno splendido esempio, ma anche Luca Vanni o ai risultati che Francesca Schiavone e Roberta Vinci hanno raccolto nel circuito femminile, ma anche in passato gli esempi sono moltissimi. La mia impressione è che alcune volte noi tennisti italiani non comprendiamo fino in fondo le nostre caratteristiche buone e ci facciamo più condizionare da ciò che ci piacerebbe essere e avere senza riuscire a mettere a fuoco bene tutte le nostre grandi risorse. Avanzando con gli anni, la maturità ci porta invece a migliorare sotto questo aspetto e a raccogliere risultati che altri hanno raccolto prima, focalizzando meglio le doti su cui puntare e senza lasciarsi scoraggiare dalle lacune. Per certi aspetti è un limite perché è importante da giovani scalare posizioni anche per la possibilità di condurre una vita da professionista che in posizione basse di classifica non è realizzabile, per altri versi è un punto di forza perché ti fa pensare che a 30-32 anni si possa ancora scrivere le migliori storie della propria vita sportiva.
Il cancro cerca di impadronirsi anche del dominio della persona verso gesti abituali come dormire, uscire serenamente di casa, relazionarsi con gli altri. È molto importante riuscire a controllare questo tentativo di invasione mentale per mantenere un certo dominio nella gestione della quotidianità. Ti è mai capitato di vivere sul campo esperienze per le quali le emozioni vissute ti condizionassero i gesti tennistici abituali?
Noi tennisti ci alleniamo praticamente da quando siamo bambini su cinque-sei colpi che ripetiamo all’infinito, cercando di realizzare quel colpo il più uguale possibile affinché questi sia automatizzato in un modo completamente personale. Ma poi, ogni partita è una condizione a se stante e quel gesto viene effettuato in maniera diversa in ogni situazione di gioco e se non sei preparato a controllare le emozioni in maniera positiva, possono diventare tue nemiche. Mi ricordo della mia vera e propria volta ATP, in qualificazione, nel 2010 a Roma, contro Juan Ignazio Chela in cui persi 6-0 6-4. Avevo 18 anni e, fisicamente, al primo set tremavo. Entrato in campo, mi sentivo fuori posto, anche se tutto era a favore mio, anche se tutti tifavano per me perché eravamo al Foro Italico. Il condizionamento esterno è molto importante, molto forte. In alcuni casi, quello che ti circonda può aiutarti ma in altri casi, il peso diventa quasi insopportabile anche se pensato a tuo favore, vorresti essere lì da solo, almeno per qualche minuto. Quello che credo sia importante, è di circondarsi di persone positive e che ti possano aiutare, mentre tu stesso costruisci un’attitudine positiva nei confronti della sfida, che altrimenti rischia di schiacciarti completamente portandoti ad avere difficoltà per situazioni mai pensate prima, come ad esempio controllare il respiro.
Il tumore è, per definizione, una malattia familiare, poiché non coinvolge solo la persona che è colpita dalla malattia, ma tutto il suo nucleo di affetti. Ad esempio nelle coppie dove spesso il supporto si esprime in maniera alternata tra i coniugi: quando uno accusa un momento di difficoltà, l’altro sostiene e viceversa. Tu sei un tennista che pratica anche la disciplina del doppio: come vivi la possibilità, all’interno di una sfida, di poterti appoggiare, magari in un momento di difficoltà, alle capacità di un compagno e, allo stesso tempo, di sopperire alle sue difficoltà offrendo lui le tue qualità in quel momento?
Il doppio è qualcosa che mi piace moltissimo tanto a livello tennistico quanto per il semplice divertimento. Ho sempre avuto la fortuna di giocare in coppia con persone con le quali vado d’accordo anche fuori dal campo e quindi nasce un’amicizia forte all’interno dell’ambito professionistico: ad esempio ho condiviso esperienze anche con altri testimonial di questa iniziativa, come Salvatore Caruso e Laurynas Grigelis. E’ molto importante capirsi, supportarsi, accettare le difficoltà del proprio compagno ma anche accettare di averne di proprie, perché la coppia deve andare avanti di pari passo. È una cosa molto diversa dalle partite di singolo, dove il nucleo sei tu: qui il nucleo diventa un noi. Sicuramente non è semplice ma quello che ti dà il doppio è molto bello.
E’ necessario limare le proprie doti da singolarista per creare una buona coppia di doppio?
A livello maschile è molto difficile. Prendiamo il caso di due ottimi singolaristi. Ognuno ha dei colpi di base che sono migliori di quelli dei doppisti. Se due ottimi singolaristi vanno a formare una coppia di doppio, saranno sicuramente superiori ad una coppia di due ottimi doppisti, senza nulla togliere ai doppisti. Ma il doppio è una vera e propria disciplina. Pensiamo a Federer e a Wawrinka quando hanno giocato la coppa Davis: hanno preso l’allenatore dei Bryan e hanno giocato da numeri uno, nonostante giocassero due doppi l’anno, al massimo! A volte conta di più la sintonia tra i due che le capacità tecniche dei singoli. La forza di volontà, di migliorarsi, porta molto di più del semplice aspetto tecnico. E la stessa modalità di funzionamento la possiamo vedere in una coppia marito e moglie, dove ci si supporta e ci sopporta. Penso che forse, e parlo della mia attività, è più facile se entrambi possiedono la stessa difficoltà, poiché tutti e due lavorano in quella direzione, spendendosi nella comprensione e nella risoluzione del problema. Ma il bello delle coppie è anche nel non potersi scegliere i difetti e i pregi.