La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare le difficoltà della quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire a queste persone la vicinanza degli sportivi professionisti parlando di aspetti dell’agonismo legati alle emozioni. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psico-oncologia. Questa è la testimonianza di Flavio Cipolla, tennista italiano nato a Roma nel 1983, capace di entrare nella top 75 mondiale sia nella classifica di singolare sia in quella di doppio.
Ciao Flavio, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco, nel quale parleremo insieme di tennis in un modo diverso dal solito: le tue situazioni agonistiche quotidiane saranno infatti pretesto e spunto per raccontare la quotidianità di chi combatte contro un tumore maligno. Per iniziare ad avvicinarci a questo obiettivo da raggiungere insieme, raccontaci qualcosa di te che ci possa dar modo di conoscerti meglio: presentati a noi lettori di questa rubrica.
Ciao a tutti, mi chiamo Flavio e per prima cosa vorrei dire che mi fa molto piacere prendere parte a questa iniziativa. Se mi devo presentare per il mio carattere, penso di essere un ragazzo molto semplice, alla mano con tutti. La mia passione è sempre stata il tennis fin da quando ero piccolo quindi non ho mai sviluppato un’attività collaterale o un hobby; però mi piace molto leggere e giocare a paddle, che si può considerare a metà tra uno sport e un hobby. Indubbiamente questo completamento con altre attività si sta verificando solo con il passare degli anni, a ben pensarci la mia vita è stata praticamente sempre dominata dalla passione per il tennis che, soprattutto da giovane, ha riempito le mie giornate, passo dopo passo per costruire e raggiungere i miei obiettivi agonistici.
Raggiungere obiettivi è anche ciò che si presenta sulla strada di una persona che si vede diagnosticare un tumore: giorno dopo giorno deve impegnarsi per scrivere una storia nuova, che possa poggiare sulle certezze della medicina e alcune volte anche sfidare e vincere pronostici negativi. Tu fai parte di una generazione di tennisti in cui si è sviluppata una grande attenzione per la potenza fisica all’interno del circuito maschile e sei riuscito a diventare top 70 al mondo pur essendo alto 1,73 cm, molto meno rispetto alla media dei tuoi colleghi. Hai mai dovuto sfidare pronostici di scetticismo, magari sentendoti dire: “Sì, Flavio Cipolla è bravo, però è troppo piccolo, non diventerà mai un tennista”?
Io ho vissuto tutta la mia vita professionistica contro pronostico: nessuno avrebbe puntato 100 lire su di me, a parte mio padre probabilmente. Ogni volta che facevo risultati, che miglioravo il mio tennis e la mia posizione in classifica, era una sorpresa per tutti. Un po’ tutto il circuito tennistico pensava o che ero troppo leggero, o troppo piccolo, o troppo poco potente, o che tiravo piano. Ho dovuto sempre spingermi ai limiti, cercando di superarli e di sopperire determinate mancanze con altre qualità: il trucco è lì, perché tutti abbiamo carenze ma dobbiamo imparare a compensarle con le caratteristiche pregevoli che ci rendono unici.
Sentirti dare per sfavorito è stato un avversario in più da sconfiggere o uno stimolo maggiore per mostrare che tu potevi essere un’eccezione?
Si trattava di qualcosa con cui ho convissuto fin da piccolo, senza mai pensarci particolarmente. Né mi infastidiva, né mi stimolava. La mia caratteristica migliore credo sia entrare in campo con un grandissimo spirito di sacrificio, con delle qualità ed una carica mentale molto buone e questo mi ha aiutato molto. Certo, ora che mi poni questa domanda mi fai riflettere sulla questione ma, come ti ho già detto, si trattava di una cosa con la quale convivevo senza pensarci. Io avevo un obiettivo da perseguire, volevo vincere, volevo farcela: forse loro mi confrontavano con tutti quelli che prima di me, con queste caratteristiche fisiche, non ce l’avevano fatta, ma la mia storia era ancora tutta da scrivere e io potevo fare molto per diventare un’eccezione.
Dati AIOM alla mano, in Italia più del 60% dei pazienti oncologici arriva alla guarigione. Nonostante ci sia tantissima strada ancora da fare per rendere questo dato davvero soddisfacente, attualmente la maggioranza dal cancro guarisce; eppure è naturale che ogni paziente, ricevuta la diagnosi, viva una sensazione di choc immediato, come se pensasse “Io non sono all’altezza di questa sfida perché è un avversario per me troppo forte”. Sotto l’aspetto agonistico, nella tua carriera hai sconfitto gente come Wawrinka, Nishikori, Roddick: come si vince la sfida con un avversario nei cui confronti in partenza ti puoi sentire più debole, non all’altezza?
Secondo me la cosa più importante, quando si scende in campo, non è valutare il peso dell’avversario che ti trovi dall’altra parte della rete, bensì riuscire a dare fondo ad ogni mezzo e ad ogni strumento che tu hai a disposizione per affrontarlo: è ciò che viene detto “dare il massimo”, senza avere rimpianti, dare il 150% di quello che tu hai. Se poi ne esci sconfitto, hai perso una partita che non era vincibile per i mezzi che avevi a disposizione. Ma se vinci, ce l’hai fatta soltanto perché hai saputo sfruttare ogni piccola possibilità che ti veniva concessa. Il mio primo obiettivo quando sono sul campo è che a fine gara non devo avere rimpianti, non mi piace affatto uscire dal campo da tennis dicendomi che avrei potuto dare e crederci di più. Per competere ad altissimi livelli, con avversari più forti di te, secondo me questo è l’elemento cardine.
Una delle caratteristiche dei tumori maligni è l’invasività: sono cellule che continuano a riprodursi in maniera incontrollata andando ad attaccare gli organi vicini o, usando il circolo sanguigno e linfatico, a distanza formando le cosiddette “metastasi”. L’invasività del cancro non è solo fisica ma anche mentale: esso può impadronirsi a tal punto della tua mente che ti porta a non essere più capace di fare cose che hai sempre saputo fare, azioni e gesti banali, come uscire di casa, dormire, pensare con lucidità. Tu hai fatto un percorso sportivo particolare, arrivando fino alla posizione 70 del mondo, dopodiché sei uscito dalla top 100 e hai avuto un periodo nel quale non riuscivi a raccogliere risultati come in precedenza. Come ci si sente e come si reagisce quando si prova a fare cose che si sono sempre fatte ma non riescono più?
Nello sport questa è una legge: è inevitabile che ci siano momenti duri e non è scontato che ci siano momenti di gratificazione. Questo è lo sport professionistico. Bisogna sempre dar tutto, allenarsi meglio, far il possibile per tornare ad esprimere un livello che hai già mostrato essere alla tua portata. Nel tennis ci sono tante componenti, quella mentale, quella tecnica, il coach, la componente fisica: ci sono tante tessere di un mosaico che è necessario unire per comporre un disegno apprezzabile. Ma la ricetta non cambia, bisogna sempre dar tutto per non avere mai rimpianti. I momenti di difficoltà ci sono e se ne esce solamente con il lavoro duro, con la determinazione, con la pazienza e la perseveranza.
L’andamento altalenante è caratteristico in oncologia, con miglioramenti e passi indietro che si alternano costantemente, anche se i pazienti e le loro famiglie sono portati a vivere i peggioramenti momentanei con molto pessimismo. Ti ha mai sfiorato il dubbio che la tua storia tennistica fosse stata una favola illusoria e che la realtà fosse definitivamente ben più amara?
Ho avuto effettivamente dei momenti molto bui, come nel 2015 per esempio, quando non pensavo più di rientrare nei primi 130, perché non avevo più le motivazioni di prima, mi sembrava di giocare peggio, mi sentivo davvero male nonostante sia uno che si allena moltissimo e che reagisce a queste situazioni. È anche un fatto mentale: non basta andare in campo per cinque ore, bisogna essere “bravi di testa”, reagendo, superando la fatica fisica e mentale. Per un anno non ho giocato e nei primi mesi del 2017 ho avuto paura di non poter tornare in campo poiché ero quasi convinto che riuscissi più a fare sport a livello decente. Poi o si molla tutto oppure si cerca una soluzione. Io ora passo dopo passo sto ricostruendo tutto, partendo quasi da capo, credo che nessuno scommetterebbe un euro su me.
Tu lo scommetteresti?
Io so che ho delle motivazioni più forti di due anni fa. Allora non mi sentivo così bene psicologicamente, ora mi sento molto meglio ed è per questo che sono qui, anche se sono tennisticamente vecchio e con qualche dolore fisico. Da qui ricomincio ed il mio obiettivo è quello di tornare. Sto sudando tantissimo per riuscirci ma, se raggiungerò il mio obiettivo, sarà una delle più grandi soddisfazioni della mia vita. L’unica cosa che voglio portare via da questa esperienza sarà essere sicuro di aver fatto tutto il possibile per raggiungerlo, senza alcun rimpianto. Questo è sempre il mio ingrediente base.
Grazie Flavio, sei un atleta al fianco di chi combatte con il cancro non solo con le tue parole, ma anche con il tuo esempio. Noi facciamo tutti il tifo per te e per i tuoi obiettivi.