Parlare di cancro in maniera libera con sportivi professionisti, conversando sulle loro abitudini e difficoltà nell’agonismo ma ponendo la luce su aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco“, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. La sfida è stata raccolta da Andrea Paroni, portiere della Virtus Entella, squadra di calcio di serie B in cui milita dal 2008.
Ciao Andrea, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco; oggi parleremo di calcio in un modo un po’ diverso dal solito: l’aspetto sportivo servirà infatti per raccontare alcuni aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore. Ti verranno poste domande speciali, per darti l’opportunità di far sentire la tua vicinanza e il tuo sostegno ai pazienti e alle loro famiglie impegnate in questa battaglia quotidiana molto importante. Per avvicinarci a questo obiettivo insieme è importante però che tu ci parli un po’ di te: presentati ai lettori di questo progetto, raccontaci chi è Andrea Paroni, come sportivo ma soprattutto come uomo.
Ciao a tutti, mi chiamo Andrea Paroni, sono un ragazzo di quasi 28 anni, sono sposato con Arianna, una moglie bellissima, e insieme ad ottobre avremo una bambina. Potrei fermarmi qui per presentarmi perché penso che nella mia vita non mi sia successo niente di più bello che riuscire a formare una famiglia, prima in due e tra poco in tre. Il mio lavoro è il calciatore, ho iniziato a coltivare questo sogno sin da piccolo, il mio ruolo è il portiere; da giovane ho giocato quattro anni nell’Udinese per poi passare alla Virtus Entella e con i colori biancocelesti ho fatto tutto il percorso di scalata dalla serie D, poi C2, C1 fino all’attuale serie B.
Una caratteristica che presenta e rafforza l’identità di una persona è come spende il tempo libero: anche nel corso di un tumore è fondamentale cercare di preservare, quando possibile, le attività e gli hobby che migliorano la propria vita. In che modo tu riempi gli spazi lasciati dalla tua attività calcistica?
Oltre all’attività sul campo e in famiglia, gran parte del mio tempo libero è dedicato ad un’associazione formata da alcuni amici di Chiavari, l’Entella Club Mondo Piccolo Andrea Paroni, un gruppo di persone che da tre anni si dedica a progetti di beneficenza. Questa attività mi ha insegnato che il tempo impiegato a fare del bene è un grandissimo investimento, perché le energie che si mettono in progetti di solidarietà vengono ripagate in maniera profondamente amplificata rispetto all’impegno che ti hanno richiesto. È una cosa a cui tengo molto perché in questi anni siamo riusciti a far sentire la nostra vicinanza a situazioni bisognose, sia legate ad alcuni percorsi di malattia, sia a famiglie in difficoltà.
Dalle tue parole si capisce quanto sia per te importante il concetto di famiglia; il cancro è l’unica patologia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito come “malattia familiare” perché, con una singola diagnosi, coinvolge in un percorso emotivamente intenso non solo il paziente, ma insieme con lui anche tutti gli elementi del suo nucleo familiare. Tu sei alla tua decima stagione con la maglia della Virtus Entella: quanto è importante per te sentirti inserito, grazie a questa maglia, in una famiglia sportiva per rendere al meglio sotto il profilo mentale e agonistico?
Diciamo che il mio percorso è un po’ diverso dal classico giocatore che resta qualche stagione in una squadra e dopo cambia casacca per ripartire in un nuovo contesto, conoscendo così diverse realtà sportive. La domanda che mi poni è stata per me fondamentale in questo periodo perché quest’anno io andavo in scadenza di contratto e, dopo due stagioni nelle quali non ho quasi raccolto presenze in campo, mi sono trovato di fronte ad un bivio: cambio o continuo su questa strada? So chi sono all’interno di questa squadra e di questo gruppo, certe cose che ho vissuto con questa maglia fanno parte della storia della mia vita e contemporaneamente di questa società; so anche quel che io sono e che ancora posso dare a questo insieme, a questo ambiente, a questi tifosi. Così ho scelto di vivere ancora all’interno di questa squadra e di rinnovare il contratto, perché sono convinto di avere ancora pagine belle da scrivere con indosso questa maglia, so di poter essere utile a questa bellissima storia chiamata Virtus Entella. L’ambiente intorno a me è stato quindi fondamentale per prendere questa decisione, ma sentirsi come in una famiglia non è frutto di un caso, perché bisogna anche contribuire attivamente alla creazione di un ambiente giusto: in questi anni ho coltivato tanti rapporti umani, nella squadra e anche al di fuori della squadra, per esempio al mio matrimonio c’erano moltissime persone di Chiavari. Sentirsi bene in un posto, come se fossi in una famiglia, fa sì che poi quando hai finito la tua attività quotidiana sul campo, rientri in un posto che ti senti di poter chiamare casa, anche se sei a centinaia di chilometri da dove hai avuto origine, perché hai dentro le mura la tua famiglia e oltre la porta persone che puoi davvero chiamare amici. Per un calciatore scegliere di restare con una casacca tanti anni non è solo una scelta di squadra, ma anche di ambiente globale intorno alla squadra e alla città in cui vivi: se alla fine ho scelto di proseguire qui, nonostante il campo giocato mi manchi, e di vivere a Chiavari questo momento così particolare ed importante della mia vita personale, è la risposta più grande, evidente e sincera che io possa dare alla domanda che mi hai posto.
Le tue parole sono costellate di emozioni; sotto il profilo emotivo molte persone in percorso oncologico raccontano di vivere una vera e propria catapulta: da una vita normale, con le sue gioie e le sue difficoltà, si ritrovano improvvisamente catapultate da una diagnosi nel mondo del cancro, fatto in ogni secondo da nuove battaglie, nuove difficoltà e anche, con impegno, nuove gioie. Bisogna imparare a gestire questi sbalzi emotivi che, altrimenti, rischiano di condizionare pesantemente il percorso giorno dopo giorno, soprattutto nello shock dell’impatto improvviso con la malattia. Da due stagioni tu ricopri il delicato ruolo del secondo portiere: vivi le gare seduto in panchina ma, improvvisamente e senza alcun riscaldamento, potresti essere chiamato ad andare in campo, con necessità di essere immediatamente determinante. Raccontaci come gestisci tu le emozioni di questa catapulta emotiva in ambito agonistico.
Io sono una persona che vive sempre le emozioni molto profondamente, spesso amplificate rispetto ad altri compagni o colleghi di ruolo, e nel mio percorso da portiere ho avuto la fortuna di giocare molto, maturando una certa esperienza. I primissimi tempi infatti vivevo i pre-partita con una certa tensione di fondo, mal di pancia, un po’ come quando magari hai un esame importante a scuola per capirci. Però più giochi, più acquisisci esperienza: non è che il mal di pancia sparisca, semplicemente si attenua un po’ e impari a conviverci e a gestirlo come una naturale reazione di tensione del tuo corpo: sapevo valutarle, non mi spaventavano, le sapevo in qualche modo leggere. Poi nel ruolo di secondo portiere le cose sono un po’ cambiate: all’inizio le vivevo allo stesso modo, arrivavo al campo come se dovessi giocare, ma a livello mentale ero troppo carico rispetto alla possibilità di trasformare questa tensione in azione. Ciò mi causava paradossalmente un nervosismo eccessivo non scaricabile che mi consumava energie che sarebbero dovute servire ad un potenziale ingresso in campo. Anche qui, con il tempo e un po’ di esperienza in più in questo ruolo ho maturato la soluzione: vivo la settimana e gli allenamenti come se dovessi veramente giocare la domenica, mettendo negli allenamenti e nelle partitelle il massimo dell’impegno possibile curando ogni singolo aspetto; poi la domenica, partendo dal buon lavoro fatto durante la settimana, posso lievemente allentare il carico emotivo nel pre-partita, sapendo che in caso di necessità i frutti del lavoro settimanale sono a disposizione. In questo modo riesco a non bruciarmi le energie nervose prima dell’eventuale necessità di scendere in campo: la differenza sta in come lavori, in come ti prepari, in come alleni il tuo corpo e la tua mente, perché a quel punto hai dalla tua parte l’arma della consapevolezza del lavoro fatto che ti sostiene quando hai la prova da affrontare. Certo, questa è per me una ricetta applicabile all’ambito sportivo, però pur nella diversa proporzione della difficoltà, credo sia un’indicazione valida anche in ambiti della vita ben più intensi di una partita di calcio.
Tra le prove più intense vi è quella degli effetti collaterali delle terapie, ambito in cui l’aspetto fisico e l’aspetto emotivo trovano un punto di incontro molto pericoloso; se è vero che rispetto ai decenni scorsi essi si siano enormemente ridotti, è altrettanto vero siano tra gli aspetti raccontati con maggior timore da chi li ha vissuti. Con l’aiuto della psico-oncologia si affrontano soprattutto quei momenti di anticipazione del dolore, quando cioè l’avvicinarsi di un ciclo di terapia porta il paziente a vivere una sensazione di ansia per il timore del dolore che condiziona un momento presente in cui questo dolore ancora non c’è. L’obiettivo diventa la valorizzazione del momento istantaneo, con le sue difficoltà ma anche le sue concessioni, isolando le scorie del dolore superato e la paura del dolore non ancora incontrato. Tu sei un portiere: quanto è importante per te la valorizzazione del momento istantaneo per offrire prestazioni sportive di livello elevato, isolando il trascorso e il futuro?
Credo che questa domanda andrebbe posta ad ogni estremo difensore: tante volte in un portiere si trova qualità fisica, doti tecniche, talento; poi la differenza invece risiede nell’affrontare l’errore e la parata decisiva con la stessa capacità di metterseli alle spalle e rapportarsi immediatamente con quel che si presenta successivamente. Su questa caratteristica ho iniziato a lavorare quando ho cominciato a fare il portiere e ci sto lavorando tutt’ora, perché è così determinante e complessa che non si ha mai finito di poterla migliorare. Noi siamo soli in campo, tutti gli altri giocatori sono sempre coinvolti in qualche modo nell’azione, noi portieri siamo chiamati in causa in un minutaggio molto ridotto, quindi c’è tantissimo lavoro di concentrazione da svolgere in maniera costante per essere sempre agganciati al momento dell’attualità, senza residui di quanto già compiuto o anticipazioni di altri momenti di gara. Non si tratta solo di dimenticare gli errori: tante volte è fondamentale mettersi alle spalle anche un’ottima parata, proprio perché essa si compie nel momento in cui la si effettua, e la parata successiva è tutta un’altra storia, un nuovo gesto che a sua volta diventa storia della partita, che è la somma di gesti singoli in singoli momenti. Anche qui secondo me il segreto sta nell’allenamento: ogni singolo momento durante l’allenamento deve essere valorizzato non tanto perché anticipa la partita del sabato, quanto perché in quel determinato secondo stai compiendo un gesto, o meglio ancora se vuoi, stai vivendo un istante che non si ripeterà mai più. Se ti alleni ogni minuto, ogni pallone, ogni tiro, ad essere pronto ad affrontarlo per quel che ti si presenta in quell’istante, le ripercussioni residue o anticipatorie si riducono e tu diventi capace di vivere l’istante, affrontando ciò per cui vieni chiamato in causa senza influenze di altri momenti di gara e di vita.
Grazie Andrea per la tua testimonianza e la tua sensibilità, ora fai parte di un’ulteriore grande squadra, quella degli atleti al fianco di chi sta affrontando un tumore.