La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare la quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire loro la vicinanza degli sportivi professionisti. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psiconcologia. Entra a far parte di questa squadra Giulio Donati, calciatore italiano con più di 100 presenze in BundesLiga, medaglia d’argento agli Europei U21 del 2013 con la maglia azzurra.
Giulio, la tua esperienza calcistica diventa strumento di metafora, per raccontare alcuni dettagli della vita quotidiana delle persone che vivono affrontando una diagnosi di tumore maligno. Partiamo da te: raccontaci chi è Giulio Donati al di fuori del mondo del calcio.
Sono Giulio Donati, un ragazzo molto semplice cresciuto al parco con gli amici. L’amicizia e il rapporto con la famiglia sono per me due cardini importanti, per dare forza e significato alla mia vita. Nel tempo libero, sto spesso a casa con la mia ragazza e, in base a dove sto giocando, mi piace anche passeggiare nel centro della città o del paese. É un legame che si crea, sia con il territorio sia con le persone che lo abitano e lo caratterizzano.
Il dubbio è un nemico insidioso per le persone che vivono un lungo percorso in oncologia. Il linguaggio dei referti è scritto con parole poco comprensibili a chi non ha competenza medica: per questo è fondamentale che i dottori investano molto tempo in una comunicazione comprensibile. Quel tempo dedicato a rispondere a domande e a chiarire dubbi, è parte della cura perché renderà le famiglie più serene nella conoscenza chiara della situazione e consoliderà il rapporto di fiducia medico-paziente. Tu hai giocato molto in Germania: hai mai vissuto il dubbio relativo alla tua salute per un linguaggio non completamente comprensibile?
Mi è capitato spesso, anche con infortuni non gravi come ad esempio degli affaticamenti muscolari: tu vorresti sempre sapere di preciso che cos’hai, a quale muscolo si fa riferimento, quale prognosi precisa ti aspetta… Sono tanti gli aspetti che entrano in gioco quando qualcuno descrive con un linguaggio non comprensibile qualcosa che sta succedendo al tuo corpo, e di conseguenza a te. La lingua che tu non parli nella tua quotidianità è a tutti gli effetti una lingua straniera, sia per la nazione, sia per la materia. È profondamente tranquillizzante quando si incontra un professionista che si impegna a fondo per rendere comprensibile a te quel che lui già sa e capisce anche in un linguaggio tecnico: questa serenità può andare al di là della gravità del contenuto, perché ti fa sentire preso in cura con attenzione e sensibilità. Questo, fa già di per sé del bene a chi si trova in condizioni di salute messe in discussione da una diagnosi.
I familiari di chi riceve una diagnosi di cancro vivono con il paziente il percorso oncologico a tutto tondo. Quando ci si reca da un parente ricoverato, c’è un momento fatto di pochi minuti che racchiude molte emozioni convulse: il percorso dall’ingresso dell’ospedale al letto. Non si ha certezza di come si vedrà il proprio caro, se in recupero o in peggioramento, semplificando linguisticamente, se più bello o più brutto del giorno prima. Fiducia e timore convivono, in un’attesa che può portare notizie incoraggianti o sconfortanti. Tu da calciatore hai fatto diverse presenze in Champions League: raccontaci se nel momento di attesa della gara, quando si sente l’inno della competizione, come convivono le emozioni dentro di te, senza ancora sapere se quella musica sarà legabile quel giorno ad una partita positiva o negativa.
In un certo senso, la prima emozione che ho provato con l’inno della Champions è stata la conferma di un sogno che andava realizzandosi: ogni bambino che gioca a calcio desidera di poter vivere quell’istante prima o poi. Allo stesso tempo però ci si rende conto che, proprio per l’importanza del palcoscenico, si deve mettere sotto controllo la paura di fare male, di marchiare con una figuraccia una gara in cui si sfidano con frequenza i migliori avversari possibili al mondo. Quando l’attesa però è finita, con il fischio dell’arbitro mi ha sempre fatto del bene chiarirmi in testa quali fossero i miei obiettivi, per quale motivo io mi trovassi lì in quel momento. In quel modo, le paure che comunque reputo esistenti, si sono sempre in me ridimensionate, dandomi modo di esprimere il mio valore al servizio della squadra, creando un legame positivo con quell’incontro e con quella competizione tanto ambita, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta.
In oncologia, spesso si assiste ad un’alternanza tra momenti di miglioramento e passi indietro sotto il profilo clinico. Il paziente e la famiglia devono allenare l’equilibrio delle proprie emozioni, per non farsi prendere dallo sconforto quando si verifica un peggioramento o si presenta un effetto collaterale imprevisto. La gestione delle emozioni permette di non finire in balia di paure altrimenti difficilmente controllabili. Da calciatore, come gestisci le delusioni date da una non conferma all’interno della rosa a fine stagione o un periodo da svincolato, come in questo momento?
In queste situazioni viene alla luce l’importanza dei legami con le persone più care, che magari da un punto di vista esterno possono creare uno spunto di riflessione su cui far poggiare l’equilibrio delle emozioni. Mia madre mi ha sempre detto, fin da quando ero un giovane scolaro, di concentrare le mie emozioni e le mie energie su quanto io potessi fare, poi gli aiuti dall’Alto se ci credi arrivano, perché con l’impegno e la perseveranza riesci a scatenare energie positive nell’intero universo in cui vivi. Questo modo di pensare è sempre stato un cardine per me anche nel calcio: quando magari fai panchina perché non ti schierano in campo, o come adesso in cui non ho una squadra in cui poter dimostrare il mio valore, cerco di aiutarmi prendendola come una sfida personale. Mentre il mondo e le cose intorno a te sembrano non girare a tuo favore, vediamo chi è il primo che molla: se sarò io o se saprò tenere duro fin quando l’occasione della svolta si potrà presentare, allenandomi con impegno e serietà in attesa di chi vorrà puntare su di me. Quando giocavo a Grosseto, si presentò una situazione simile: nonostante una stagione difficile, mi impegnai al massimo per guadagnarmi l’Europeo Under 21. Ci riuscii, fu una svolta importante per la mia carriera.
Stabilire la differenza tra obbligo e desiderio di guarire è fondamentale per aiutare i pazienti a non sentirsi in colpa nei confronti dei familiari quando il percorso clinico subisce un peggioramento. Il senso di colpa è un sentimento frequente, ma il carico di responsabilità che genera non aiuta né la qualità della vita nel percorso oncologico, né le probabilità effettive di raggiungere la guarigione. Quando hai indossato la maglia della Nazionale Italiana U21, hai mai vissuto un carico di pressione che ti potesse far pensare che vincere fosse un obbligo?
Non ho mai davvero sentito l’obbligo, inteso come quel carico di tensione e pressione che non richiede alternativa alla vittoria come risultato. Senza dubbio, ho percepito netto dentro di me il desiderio di ripagare sul campo tutto il bene che in quel triennio abbiamo ricevuto dalle nostre figure di riferimento, mister Devis Mangia in primis. C’era sempre una bellissima atmosfera, che portava sorrisi e la sensazione di essere benvoluti, circondati da persone che oltre all’obiettivo sportivo ci facevano sentire importanti, in una fase delicata del nostro percorso di crescita. Però questo sentimento di voler ripagare le nostre guide l’ho vissuto in una direzione positiva, che si è concretizzata sul campo portandoci fino ad una finale contro la Spagna con un percorso intenso e determinato: non lo chiamerei obbligo di vincere, più un profondo desiderio di riconoscenza. Due sentimenti molto diversi, quello che abbiamo vissuto ci ha dato una direzione costruttiva e positiva.