Atleti al tuo fianco: Giusi Malato

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Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psiconcologia, e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Fa parte di questa speciale squadra Giusi Malato, pallanuotista italiana vincitrice della medaglia d’oro con il Setterosa alle Olimpiadi di Atene 2004, prima donna a vincere la “Calottina d’oro”, premio assegnato ogni anno al più forte giocatore di pallanuoto del mondo.

Ciao Giusi, benvenuta nella squadra di Atleti al tuo fianco; la tua storia sportiva e la pallanuoto diventano spunto per parlare di cancro e per raccontare alcuni aspetti delle giornate delle persone che stanno affrontando un tumore. Per iniziare, aiutaci a conoscere meglio chi sei oggi, a distanza di 14 anni dalla medaglia d’oro ad Atene: raccontaci come si svolge la tua vita personale, lo sport fa ancora parte della tua quotidianità?

Ciao a tutti, sono felice di partecipare a questa iniziativa. In realtà la mia vita oggi non è molto diversa da quella che avevo prima perché, anche a 46 anni, continuo a giocare. L’unica cosa che ha offerto un vero cambiamento alla mia esistenza è lo splendido dono dei miei figli, che prima non avevo e ora riempiono il mio tempo libero. Anche sotto il profilo lavorativo, sono rimasta nell’ambito acquatico: la mia occupazione adesso è di responsabile delle piscine di Torre del Grifo, che è il centro sportivo del Catania Calcio; è una grande fortuna fare un lavoro che amo, in un ambiente in cui sto bene e in un posto che reputo casa mia.  

Spostarsi da casa, per chi deve curare il cancro, è spesso un esigenza; oltre alle difficoltà più intuibili, alcune volte si possono sentire delle profonde nostalgie inaspettate, come per la morbidezza del proprio cuscino o la compagnia del proprio cane. Sono dettagli, ma affettivamente hanno un grandissimo valore. Catania ha segnato totalmente la tua carriera e la tua vita: hai sempre infatti giocato per l’Orizzonte, squadra della città in cui sei anche nata. Quanto è stato importante per la tua carriera poter vivere le sfide determinanti in un ambiente che ti facesse sentire a casa tua?

Non muovermi mai da Catania nel corso della mia carriera è stata una scelta non solo di cuore ma anche di sport, perché l’Orizzonte era la squadra più forte in cui si potesse sognare di giocare. Il fatto che fosse la società della città in cui sono nata e ho vissuto, è stato un fattore aggiunto, di grande appartenenza e importanza. Quando ho giocato fuori da Catania, non ho provato la stessa emozione, non ho avuto la stessa determinazione né le stesse motivazioni rispetto a quando giocavo in casa per la squadra della mia città, dove ci sono tutti i parenti, gli amici, i conoscenti, tutti i cittadini che ti guardano. Non so se fuori da Catania avrei potuto raggiungere i risultati che ho raggiunto, perché poter affrontare le sfide in un contesto che ti fa sentire a casa tua è stata una forza in più. 

La sopravvivenza ad un tumore è l’obiettivo primario, ad oggi in Italia la raggiunge circa il 70% delle persone a cui viene diagnosticato. Eppure, ridurre il tutto all’aspetto della sopravvivenza, è limitante rispetto a quanti piccoli obiettivi si debbano costantemente raggiungere per mantenere alta la qualità della vita nel corso delle terapie, giorno dopo giorno. C’è un mondo sommerso di difficoltà quotidiane, come la carenza di energia, le difficoltà di concentrazione, l’alterazione della percezione dei sapori, che hanno grandissima importanza, anche se sono meno visibili. Nella pallanuoto, quanta importanza riveste quello che succede sotto il pelo dell’acqua e che noi non è visibile, per esprimere tutto quello che si osserva al di sopra?

Quello che noi facciamo là sotto equivale alla costruzione delle fondamenta di un palazzo: senza quel lavoro, il palazzo crollerebbe. C’è un enorme e costante allenamento per le gambe, indispensabile per raggiungere una certa elevazione fuori dall’acqua; la freschezza che dovresti avere anche quando lo stai facendo ininterrottamente da quattro quarti e c’è una situazione particolare che può decidere una sfida, è figlia dell’allenamento di settimane che prepara il tuo fisico nella parte inferiore. Il movimento per mantenere la stabilità nella pallanuoto si chiama “bicicletta” e il suo allenamento è fondamentale per trovare una posizione di equilibrio. Possiamo paragonarlo alla forza interiore che ci fa poi superare i momenti difficili: non la si può improvvisare, va allenata bene nel tempo perché sia efficace nelle situazioni determinanti. Anche il contatto fisico poi è importantissimo, perché ti dà l’appoggio per fare i gol, per marcare o per attaccare in un certo modo. Se io fossi sola, non potrei fare niente, ma se io ho un leva, sulla quale posso appoggiarmi, è sicuro che io possa fare di più. Esattamente come mi posso appoggiare alle persone vicine nei momenti di difficoltà. Prima di scoprire questo sport, io facevo pallavolo, fino alla prima media, ma la rete che mi separava dagli avversari era per me un impedimento: per questo ho deciso di cambiare e di dedicarmi alla pallanuoto.

In psiconcologia è fondamentale fornire al paziente e ai suoi familiari gli strumenti per dominare la deriva emotiva cui rischia di esporti costantemente il cancro. Avere una mente allenata e forte è un aspetto decisivo nei momenti più delicati del percorso oncologico. Nella pallanuoto, e nella tua personale storia sportiva, quanto è stata importante la capacità di mantenere il dominio della mente sulle emozioni?

La testa è quella che ti fare andare avanti, quella che ti fa superare ogni difficoltà. Anche oggi, che ho quasi 47 anni e gioco da 35 in acqua, la mente mi fa superare ogni tipo di malessere. Io sono stata molte volte infortunata, anche in maniera importante e continuo ad esserlo, perché i traumi che mi ha portato l’agonismo puro, si trascinano oggi nella mia vita quotidiana. Per esempio, prima della finale dei Mondiali a Barcellona 2003, io avevo una spalla lussata, un timpano rotto ed uno strappo al bicipite femorale: tutto questo concentrato in una finale da affrontare. Se non avessi avuto una forza mentale ed un’enorme voglia di reagire a quello che mi stava succedendo, non avrei saputo affrontare quel momento e sicuramente non sarei potuta scendere in vasca. Se ce l’ho fatta, è stato solo merito della mia testa e dell’adrenalina che ha saputo mettere in circolo.

La lucidità in oncologia è uno strumento importantissimo, perché spesso il percorso verso la guarigione è fluttuante, fatto di miglioramenti e passi indietro: per questo è fondamentale non lasciarsi consumare dalle emozioni che ogni variazione può creare, in un senso e nell’altro. Raccontaci come nella finale olimpica di Atene, contro la Grecia padrona di casa, hai saputo mantenere la lucidità nonostante l’andamento della partita sia stato in certi momenti anche molto negativo per noi. Hai mai avuto paura che quella sfida fosse persa?

Nella storia del Setterosa, abbiamo sempre sudato profondamente quello che abbiamo vinto, non abbiamo mai trionfato in maniera netta o facile. Siamo sempre andate ai supplementari, un gol sopra, un gol sotto. Ogni nostra comquista è arrivata grazie alla nostra grande fame di vittorie. Sapevamo che le Olimpiadi fossero l’unico e l’ultimo ostacolo da superare per renderci veramente una leggenda del nostro sport in Italia; paradossalmente, nel girone avevamo vinto con la Grecia in modo facile, per cui avrebbe dovuto essere una finale semplicissima. Al contrario fu una partita tiratissima: due gol sopra loro, pareggio, di nuovo in svantaggio, le raggiungiamo e si va ai supplementari, fino a quei tre secondi finali in cui, con un gol di vantaggio, abbiamo difeso e mi sono trovata in mano la palla che significava medaglia d’oro. La nostra determinazione è stata l’elemento fondamentale: nonostante fossimo sotto di due gol, non abbiamo mai pensato di perdere quella sfida. La nostra mente è sempre stata finalizzata alla vittoria, all’attenzione ad ogni dettaglio per raggiungerla, quale fosse in quel momento il risultato parziale era solo un dettaglio orientativo: la nostra direzione era il risultato finale. E così è stato, siamo andate a prenderci una medaglia d’oro straordinaria, storica, lottando e sudando fino all’ultimo secondo.

Giusi, hai condiviso con noi la tua storia per parlare di cancro e contribuire alla consapevolezza che, prima ancora che argomento medico, la lotta contro i tumori è una tematica sociale, che riguarda tutti noi: obiettivo raggiunto. Ora, hai a tua disposizione questo spazio perché tu possa fare uno spot per promuovere la pallanuoto: perché un genitore dovrebbe portare oggi i propri figli a scoprire questo sport?

Io faccio lo spot per lo sport, perché è l’unica àncora di salvezza di questa società malata. Adesso tutti i ragazzini hanno il cellulare in mano, il computer a casa, la Playstation, l’X-Box, e non vogliono uscire da casa. Si parla di cyberbullismo, ma sono molte le situazioni incontrollate a cui vengono esposti da noi stessi adulti. Io faccio uno spot per qualsiasi sport: portateli in piscina, al campo, in palestra, al campo sportivo. L’importante è che li leviate dal telefonino e dai modelli fittizi che può dare la televisione o una pubblicità. Valori come il rispetto delle regole, delle persone, della libertà altrui: lo sport ti aiuta a scoprirli, a coltivarli, ad amarli. Scegliete un ambiente sano e uno sport che piaccia a loro, e poi portateceli. È importante.

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