Atleti al tuo fianco: Lorenzo Sonego

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Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà della quotidianità di chi combatte contro un tumore? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Oggi prende parte a questa sfida Lorenzo Sonego, tennista italiano impegnato in questi giorni nelle qualificazioni agli Internazionali BNL d’Italia a Roma.

Ciao Lorenzo, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco. Oggi ti chiederemo di parlare di te in un’ottica molto particolare: sfrutteremo il tennis e la tua esperienza agonistica per dare spazio alle difficoltà che chi affronta un tumore maligno incontra nella sua vita quotidiana. Per avvicinarci a questo obiettivo, dacci modo di conoscerti un po’ meglio: raccontaci qualcosa di te.

Ciao a tutti, sono Lorenzo Sonego, un ragazzo di 22 anni di Torino. Fino a 19 anni, rispetto a molti coetanei che si sono dedicati al tennis professionistico, ho avuto la possibilità di crescere e vivere in casa con la mia famiglia, negli ultimi due-tre anni ho iniziato a viaggiare per tornei. Oltre al tennis, posso dire di essere un normale ragazzo di 22 anni, mi piace uscire con gli amici per divertirmi, ho davvero tantissimi amici con cui sto bene; in più vivo ancora la vita della mia famiglia, a cui sono molto

Tu sai che, anche chi affronta, in età pediatrica quindi, magari, verso i 14-15 anni, una malattia, molto spesso deve vivere il ricovero prolungato. E quando hai una malattia rara, non sempre puoi viverlo vicino a casa, quindi non hai sempre la possibilità di avere la famiglia con te e in certi momenti delicati del tuo percorso. Tu adesso che stai affrontando questa novità nella tua vita sportiva, ti chiedo questo: come convivi con la necessità di avere vicino qualcuno, un amico, un parente, un qualcuno che per te è importante con una parola, uno sguardo o una pacca sulla spalla, e magari non ce l’hai vicino?

Eh, certo, non è facile, perché ci sono momenti particolari della propria vita in cui le emozioni che si vivono sono così uniche e preziose da sentire il bisogno profondo di condividerle solo con chi sai che ti capisce profondamente e ti ama incondizionatamente come un elemento della tua famiglia. Quando mi capita di sentirmi così e sono via nei tornei, cerco di aggrapparmi alla vita stessa, agli obiettivi che voglio raggiungere e alla sensazione di provarci anche da solo, partendo da dentro di me e cercando lì in fondo sia la mia voce sia quella delle persone che mi vogliono bene.

In Italia, dati AIOM, attualmente la sopravvivenza alla diagnosi di cancro è superiore al 60%; eppure nel momento in cui si riceve la diagnosi, spesso la prima sensazione è quella di avere un avversario troppo difficile da sconfiggere. Tu lo scorso anno sei entrato nel tabellone principale degli Internazionali di Roma con una wild-card che ti sei guadagnato con un percorso lungo e sei arrivato ad affrontare Joao Sousa, top30 mondiale in quel momento. Come sei sceso in campo per la prima volta in un torneo ATP contro un avversario che, dati alla mano, si presentava come molto più forte di te?

Pensare al valore del mio avversario non mi aiuta a raggiungere l’obiettivo di sconfiggerlo, in alcun modo. Che sia Joao Sousa nel tabellone principale agli Internazionali a Roma, o una wild card di un giovane in un torneo challenger, io mi devo focalizzare su me stesso, sulle mie capacità da sfruttare, sui miei limiti da contenere. Certo che tutto questo diventa più difficile quando magari la partita non manda segnali positivi per me sotto i termini di risultato parziale, però in quel caso cambia la difficoltà ma non il concetto. Di nuovo, io devo pensare a me, a non farmi influenzare dal risultato parziale, a mettere a frutto le mie qualità. Io devo pensare a me e basta, chiunque mi trovi al di là della rete.

In psico-oncologia lavoriamo molto sulla valorizzazione delle doti individuali, del paziente e della famiglia, nella battaglia contro il cancro, perché il tumore tende ad annientare la personalità, sia fisicamente, togliendo i soliti tratti somatici che rappresentano ognuno di noi, sia mentalmente, portando i pazienti a credere di non potersi opporre alla sua potenzialità distruttiva attraverso le proprie caratteristiche emotive, qualità e anche passioni. Quali sono le tue doti peculiari che ti hanno permesso di diventare un tennista professionista di fronte alle difficoltà che hai incontrato nel tuo percorso agonistico?

Credo di poter dire la grinta e la voglia di vincere. Io quando sono in campo, lotto come un pazzo; ma questo mi capita anche se mi metti in un campo da calcio a giocare con gli amici cinque minuti, è la stessa cosa. Mi piace la competizione, anche con me stesso, mettere in gioco le mie caratteristiche e le mie doti fino in fondo, come dicevi prima. Il mio obiettivo è ottenere il massimo possibile nella vita, e credo che questa sia la strada per riuscirci, in ogni momento in cui ti alleni o sei in campo. Poi, le doti personali secondo me non bastano, soprattutto mentalmente devi avere una guida, uno psicologo che ti segue perché anche nella testa, come fisicamente sul campo, sei chiamato ad affrontare nuove sfide costantemente nelle quali devi migliorare.

Una persona ammalata di tumore ha un percorso molto lungo che va affrontato tappa per tappa e l’obiettivo è sempre uno solo, il sentirsi dire “sei guarito, il tuo percorso è finito, non devi più fare terapie”. In realtà, le tappe non sono sempre positive anche se poi guarisci, ci possono essere dei passi indietro, dei peggioramenti e poi migliorare e poi guarire. Per quella che è la tua esperienza tennistica fino ad oggi, come si convive all’interno di un circuito in cui magari, l’obbiettivo tuo finale è quello di sollevare trofei, arrivare a posizioni molto alte del ranking, ma attraverso il passaggio comunque di uscite consecutive al primo turno, magari di partite di periodi fatti male e di traguardi che sono comunque soddisfacenti ma che magari si fermano a semifinali raggiunte?

Io penso di dover fare esperienze e poi si vedrà tra un po’ di anni, perché non è sempre necessario porsi obiettivi di lunga scadenza, possono essere una trappola quando ti misuri con le giornate storte. Alcune volte ci devono essere dei micro obiettivi da raggiungere che sono tanto importanti quanto i tornei vinti, perché anche piccoli traguardi ti danno modo di crescere. Non è tanto l’obiettivo da stabilire, ma la direzione: io so che voglio arrivare più in alto possibile in questa vita, personale e sportiva. Per questo so che la ricetta prevede solo che io dia il massimo in ogni torneo, in ogni gara, in ogni colpo. Poi, il risultato sarà la somma e la sintesi di quel che avrò saputo metterci e raccogliere.

Grazie Lorenzo per le tue parole, chiare e dirette, ci hai saputo offrire un esempio di orientamento molto importante. Da oggi fai parte della squadra di Atleti al tuo fianco, ogni volta che scenderai in campo rappresenterai molte persone che faranno il tifo per te e che, dal tuo esempio, si sentiranno aiutate.

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