La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare le difficoltà della quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire loro la vicinanza degli sportivi professionisti. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psico-oncologia. Questa è la testimonianza di Luca Margaroli, tennista svizzero, doppista della squadra elvetica di Coppa Davis.
Ciao Luca, benvenuto nella squadra di Atleti al tuo fianco. Oggi uniremo le forze perché, attraverso i tuoi racconti sul tennis, si possa parlare di lotta contro il cancro e di alcuni aspetti di essa nella quotidianità delle persone ammalate di tumore. Per iniziare, presentati ai lettori di questo progetto raccontandoci la tua storia, di come hai scelto di diventare un tennista.
Buongiorno a tutti, sono Luca Margaroli, sono di Lugano, della Svizzera Italiana, ma sono nato in Italia, a Brescia città. Ho vissuto a Passirano, poco fuori Brescia, per sei anni, ma non ho molti ricordi di questo periodo perché ero abbastanza piccolo. I miei genitori sono liguri ma hanno vissuto metà della propria vita a Brescia, poi ci siamo trasferiti a Lugano dove ho iniziato le scuole ed il tennis. Ho fatto anche cinque anni di calcio dai 7 ai 12 anni, ma poi ho dovuto scegliere uno sport e la scelta è ricaduta sul tennis. Mi è sempre piaciuto il calcio ed ogni tanto gioco con i miei amici, anche tennisti. Nonostante io sia svizzero, seguo il campionato di calcio italiano e sono un tifoso della Juve, a differenza di mio papà che è interista.
Dalle tue parole emerge l’importanza nella tua vita della famiglia e degli spostamenti. Parliamo della vita quotidiana di chi combatte il cancro focalizzandoci su un aspetto materiale che riveste però una grande importanza affettiva: il rapporto con la propria casa, in particolare il proprio letto. Dover affrontare molti ricoveri obbliga infatti a dormire in letti d’ospedale non comodissimi, in stanze a volte condivise con altre persone, con i loro parenti, con ritmi e stimoli completamente diversi dalle proprie abitudini. Alla fine di ogni ciclo di degenza, potersi sdraiare nel proprio letto di casa, appoggiando la testa al proprio cuscino, è una sensazione di pace di cui la persona ammalata ha bisogno. Tu hai vissuto spostandoti anche una volta cresciuto, perché un tennista gioca costantemente lontano da casa: come vivi il rapporto di distanza con i tuoi affetti e, soprattutto, con il tuo letto?
Noi tennisti siamo dei giramondo e, settimana dopo settimana, ci abituiamo ad avere delle routine diverse rispetto alle persone che stanno a casa. Noi passiamo più di 30 settimane via da casa facendo però una cosa bella come giocare a tennis, quindi è vero che il tempo trascorso distanti è molto e a volte possiamo considerarci dei senza fissa dimora, ma lo facciamo comunque svolgendo un lavoro bellissimo, fortunato. Detto questo, anche per me il piacere di ritrovare il mio letto, anche se solo per due o tre giorni, è una cosa meravigliosa. Quando sei lontano da casa, cerchi di ricrearti delle routine che sono tue, ma non sempre ne hai la possibilità. Provi in qualche modo a personalizzare la situazione, compiendo azioni che ti diano familiarità, magari prima della partita, ma che al tempo stesso ti permettono di rimanere nell’ambito del torneo. Ad esempio agli Internazionali città di Brescia, sono venuti i miei genitori a vedermi, siamo usciti a cena, con loro c’erano degli amici. Creare situazioni in cui le proprie radici possano alimentarsi di familiarità è fondamentale ma non sempre possibile. Proprio per questo forse, il tuo cuscino e il tuo letto rappresentano la sede sicura in cui poter ricaricare le energie e la serenità che si disperdono quando si è obbligati a lunghi percorsi lontani da casa.
In Italia, oltre il 70% delle persone che ricevono una diagnosi oncologica, sopravvivono al tumore (fonte dato: AIOM). Molti fra loro raccontano come, una volta terminati i percorsi di terapia, il ritorno alla vita quotidiana senza il cancro sia molto particolare. Per certi aspetti, tante cose si rivalutano e riequilibrano di fronte alla sensazione di una seconda opportunità di vita; per certi altri aspetti, ci si trova comunque davanti a difficoltà inattese, paure inaspettate e un avversario da combattere come il terrore della recidiva. Proprio a Brescia tu da tennista hai vissuto l’esperienza da lucky loser, ovvero il giocatore eliminato nell’ultimo turno di qualificazione ma che viene ammesso comunque al tabellone per sostituire un tennista infortunato. In quel frangente, hai poi vinto la partita del primo turno contro un avversario di ottimo livello. Come va in campo la tua mente nel momento in cui tu giochi una sfida che hai avuto paura di non poter giocare?
È il concetto di seconda possibilità, che però può nascere solo quando ti viene messa in discussione la prima possibilità. Sicuramente una seconda chance, nello sport come in altri campi della vita, non sempre la si ha; quando te ne viene offerta una, rivaluti molte cose nella tua mente. Da una parte sei sicuramente più libero: per esempio, in quel torneo, la mia chance l’avevo già avuta perdendo all’ultimo turno di qualificazione una partita molto lottata. Ripresentarmi sul campo per giocare quando nella mia mente avevo già la certezza di essere stato eliminato, mi ha aiutato molto: sono sceso in campo più tranquillo e più libero. Ciò non toglie che anche nella seconda opportunità tu ti devi giocare tutto per cercare di raggiungere l’obiettivo, non hai alcuna garanzia superiore di vittoria. Per questo, se è vero che alcuni aspetti li puoi affrontare a mente più sgombra, devi fare attenzione che le difficoltà non ti si ritorcano contro con un peso doppio. È un nuovo equilibrio che va ricercato, trovato ed elaborato bene.
In un percorso psico-oncologico che coinvolga un paziente e i suoi familiari, molti pensano che il compito dei parenti sia avere la lucidità che chi ha ricevuto la diagnosi non può avere. In realtà non è così: il cancro è una malattia familiare, nel senso che grava su tutte le persone del nucleo familiare. L’andamento emotivo comune trova un punto di equilibrio con la collaborazione di tutti, che a volte si trovano in pesante difficoltà individuale, altre volte aiutano gli altri a reagire e a raggiungere gli obiettivi posti. Tu sei un giocatore di doppio di altissimo livello, nonché attuale titolare della squadra di coppa Davis della Svizzera post Federer-Wawrinka. Ti capita mai, all’interno della tua coppia di doppio, di essere il tennista che sostiene emotivamente l’equilibrio della squadra perché il tuo compagno ha un momento di difficoltà?
Questa è una cosa che mi riesce abbastanza bene all’interno della coppia poiché mi rendo conte dei momenti positivi sia miei sia dei miei compagni durante tutto il match. In questo mi aiutano senza dubbio i corsi di psicologia dell’indirizzo di Scienze motorie che sto seguendo. Però serve sicuramente anche dell’altro: non è solo questione di nozioni, ma anche di empatia, la capacità di percepire lo stato emotivo di una persona che sta condividendo con te un percorso. L’obiettivo va raggiunto insieme, in certi momenti ti devi caricare sulle spalle i passaggi a vuoto del tuo compagno e guidarlo verso la reazione.
E come convivi in quelle situazioni in cui ti accorgi si essere tu l’anello debole della coppia perché commetti improvvisamente degli errori dai quali non riesci a risalire emotivamente?
Questa è certamente una delle dinamiche più interessanti del doppio. Penso che sia lo stesso grande lavoro: trovare un equilibrio all’interno della coppia, una buona energia e sinergia. Sia all’interno della singola partita che all’interno di una serie di match, non può sempre andare tutto bene e quindi l’equilibrio che si crea con il compagno è veramente una cosa molto importante. Devi accettare che possa essere tu in un momento di difficoltà, anche se in realtà non sei tu ma la coppia nel suo insieme: gli errori arrivano da te ma la squadra è un’unità singola e unica, come la famiglia. In questo modo si stabilisce intesa e si risale insieme, sempre, a prescindere da chi dei due abbia commesso l’errore.
I Survivors, ovvero le persone che hanno sconfitto il cancro, raccontano di come il tumore sia un’esperienza in certi momenti devastante ma che, al tempo stesso, ti offre chiavi per evolvere all’interno della tua vita. Uno sport come il tennis, che è un’esperienza interessante ma sicuramente meno intensa di una sfida contro il cancro, riesce ad insegnarti qualcosa che tu possa usare nella tua vita al di fuori dai campi?
Con le doverose proporzioni rispetto ad un percorso intenso e profondamente legato alla vita come un tumore, sicuramente sia il tennis singolo sia il doppio insegnano tanto. La grandissima fortuna di un tennista è che ogni settimana ha un torneo diverso, questo ti insegna ad essere veloce nel mettere da parte sia gli insuccessi sia i trionfi della settimana precedente: diventi bravo a focalizzarti sul momento. E, per quanto riguarda in particolar modo il doppio, mi porto fuori dai campi la positività, la capacità di aiutarsi a vicenda, cercare di dare il massimo in ogni momento della partita non solo per te stesso. Questo nella mia vita, mi sta dando un grande impulso di evoluzione personale.