La ricerca di un momento di riflessione profondo sulla vita delle persone che ogni giorno combattono il cancro è l’obiettivo dichiarato di “Atleti al tuo fianco”. Guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato Arenbì Onlus, questo progetto coinvolge atleti della storia e del presente dello sport italiano in dialoghi incentrati sulle emozioni, che grazie alla metafora sportiva, si trasferiscono dall’agonismo all’oncologia. Entra a far parte di questa squadra Marco Olmo, ultramaratoneta italiano, vincitore di numerosi ultra trail. A 58 anni è diventato Campione del Mondo di Ultratrail vincendo l’Ultra Trail du Mont Blanc, la gara di resistenza più importante e dura al mondo, 167 Km attraverso tre nazioni. In questa testimonianza approfondiamo alcune tematiche fisiche ed emotive che si possono incontrare all’interno di un percorso di tumore del polmone.
Ciao Marco, la prima è una domanda introduttiva fondamentale: presentati al lettore di questa intervista partendo dal presupposto che lui non sappia nulla di te. Raccontati attraverso le cose che ritieni sia indispensabili sapere su di te per conoscerti meglio.
Mi chiamo Marco Olmo, sono nato nel 1948 e vivo a Robilante, un piccolo paese poco distante da Cuneo. Quando ero giovane la zona in cui abitavo era povera, e la guerra finita pochi anni prima aveva lasciato dietro a sé numerose macerie. In quel periodo nessuno praticava sport nel modo in cui si pratica oggi, e così anche io mi sono cimentato in diversi mestieri. La corsa è arrivata più tardi, prima partecipando alle iniziative presenti nella zona e poi via via portandomi in varie parti del mondo, dalla Libia alla California. Il deserto l’ho amato in modo particolare, forse perché noi tutti tendiamo a cercare ciò che non abbiamo!
Per avvicinarci al tema del tumore polmonare entriamo in un aspetto globale di chi affronta una diagnosi oncologica: il tema della solitudine e incomunicabilità. Queste due sensazioni vengono spesso riportate all’interno delle testimonianze delle persone che ricevono una diagnosi di cancro, come se tutto il mondo intorno a loro improvvisamente non comprendesse più quelle che sono le loro esigenze ed il loro sentire. Quando hai iniziato a correre, la sensibilità della popolazione nei confronti dello sport era molto inferiore a quella che può essere presente oggi, e a questo proposito in diverse occasioni hai dichiarato di esserti sentito un “outsider”. Come hai vissuto questa solitudine ed incomprensione, anche all’interno del tuo paese?
Quando ho iniziato a correre il contesto rurale che mi circondava era caratterizzato dall’opinione comune secondo la quale il compito di un uomo fosse lavorare e pensare alla famiglia, e una persona che nel tempo libero faticava e sudava per il puro piacere di praticare attività fisica era additata come strana ed incomprensibile. Inizialmente questo l’ho vissuto piuttosto male, però devo riconoscere che questa situazione paradossalmente ha contribuito a darmi un’ulteriore carica a migliorarmi. Quando ho iniziato a praticare questo sport infatti le mie prestazioni erano mediocri ed i risultati nelle prime competizioni rispecchiavano le mie condizioni non ottimali. In quegli anni lavoravo come camionista, e il trascorrere ore e ore seduto incideva negativamente sulla mia forma fisica. Quel periodo della mia vita fu poi anche contrassegnato dalla morte prematura di mia mamma a causa di un tumore. Ho incontrato anche io le mie difficoltà, e sicuramente la mia costanza ed il mio essere anche un po’ un ribelle sono venuti in mio soccorso. Quando a 33 anni ho cambiato mestiere, andando a lavorare in cava, i miei orari diventarono più regolari e mi permisero allenamenti più serrati ed intensi: in quel momento la corsa ha cominciato a diventare più di un semplice passatempo!
All’interno di un percorso di cura oncologico spesso a fianco di chemioterapia, radioterapia, immunoterapia e chirurgia vengono associati degli esercizi volti ad ottenere un recupero funzionale mirato ad un determinato organo o tessuto. Nel caso del tumore al polmone un sintomo spesso invalidante è il cosiddetto respiro corto: la sensazione può spaventare i pazienti non preparati a gestirlo, ma l’ansia conseguente alla sua comparsa può essere un nemico che complica ulteriormente il quadro. Allenamenti mirati alla gestione della respirazione e al dominio della situazione con la mente diventano essenziali in questo frangente. Tu, dal punto di vista atletico, come hai strutturato negli anni i tuoi allenamenti?
Anche da questo punto di vista sono sempre stato un atleta forse un po’ anomalo, nel senso che i miei allenamenti sono sempre stati poco strutturati e basati unicamente sulla corsa. Certo, quando sapevo che una determinata gara aveva un numero maggiore di salite cercavo di impostare dei tragitti che potessero ricreare quelle condizioni, focalizzando l’allenamento maggiormente sui quadricipiti. Sono però sempre stato un autodidatta: la corsa per me è sempre stata un piacere e se volevo prendere ordini da qualcuno mi bastava andare al lavoro! Il fatto poi di non avere grandi sponsor alle spalle, se non qualche azienda che magari mi pagava le iscrizioni alle gare e mi forniva del materiale, mi ha sempre concesso la libertà di non dovere per forza ottenere determinati risultati. Poi certo, quando inizi a vincere le prime competizioni avverti che non corri più solo per te stesso, ma anche per tutte quelle persone che credono in te. In linea di massima però, torno a dire, sono sempre stato un po’ ribelle e da questo punto di vista ho sempre cercato di tutelare la mia libertà ed autonomia. Spesso vorrei dire a molti ragazzi di evitare l’ossessione del cronometro, e di pensare innanzitutto a divertirsi! Ovvio, un discorso diverso va fatto per i professionisti, i quali per lavoro devono limare quel secondo di troppo…
Quando si parla di prevenzione individuale relativamente al tumore al polmone si insiste spesso sui vantaggi che provengono dalla cessazione del fumo di sigaretta. Si calcola infatti che dopo dieci anni dall’abbandono di tale abitudine il rischio di tumore al polmone diventi la metà di quello di un fumatore e che bastino poche settimane senza sigarette per assistere ad un miglioramento della funzionalità polmonare. Ci sono scelte nella tua vita che pensi ti stiano offrendo una protezione individuale?
Da molti anni ho adottato un’alimentazione vegetariana. Inizialmente come risposta ad alcuni problemi di salute che avevo avuto, ed in seguito perché mi sono accorto che qualcosa per me era cambiato. A chi mi chiede se e quanto questa scelta mi abbia aiutato io dico sempre che, per rispondere correttamente, bisognerebbe prendere due copie esatte di me e fornire a uno una dieta vegetariana e all’altro una dieta comprendente carne: dal momento che questo ovviamente non si può fare io non voglio dare pareri scientifici ma unicamente una mia personale impressione. Per quanto mi riguarda l’aver tolto dalla mia dieta quelli che a tutti gli effetti sono cadaveri mi fa sentire meglio. Mi sento più in armonia con il mio corpo e con ciò che mi circonda. Consiglierei comunque a tutti di non esagerare con la carne, o come si sente spesso dire “se vuoi mangiare la carne abbi il coraggio di macellartela”. Se oggi la scelta vegetariana può comunque essere considerata in un certo senso alla moda, quando ho iniziato io era uno stile di vita difficile da mantenere, specialmente quando capitava di andare a mangiare al ristorante: la gente non capiva, e diversi camerieri mi hanno guardato come un morto di fame quando magari ordinavo due piatti di pasta, oppure quando chiedevo solo il contorno senza il secondo. Anche su questi temi la sensibilità collettiva è mutata molto in poco tempo.