Il progetto “Atleti al tuo fianco” è guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia, e lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità agonistica? Con il patrocinio dalla associazione Arenbì Onlus, dal 2017 è testimonial di Atleti al tuo fianco Matteo Berrettini, tennista italiano top 40 della classifica mondiale. Queste le sue parole quando, poco più che ventenne, si affacciava al mondo del professionismo.
Ciao Matteo, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco, iniziativa che ci darà modo di parlare di tennis in un modo diverso dal solito. Metteremo infatti in luce gli aspetti della quotidianità di chi sta lottando contro un tumore e per fare ciò sfrutteremo la tua esperienza tennistica. Prima di tutto però presentati ai lettori di questa iniziativa parlandoci di te in tutto ciò che non riguarda il tennis: chi sei tu Matteo lontano dai campi di gioco?
Ciao a tutti, sono Matteo Berrettini, proverò a parlare di me al di fuori dal campo da tennis, cosa non facile perché rappresenta gran parte della mia vita. Sono un ragazzo a cui non piace molto uscire per frequentare feste, preferisco passare le serate con amici o con la fidanzata. Amo seguire l’NBA e, per quanto possa sembrare strano, non guardo molto il tennis in televisione: controllo solo i risultati, mi bastano le sessioni di allenamento e le mie gare per riempirmi di questo sport. Sono molto appassionato di cinema e serie TV e mi piace condividere il tempo libero con la mia famiglia, a cui sono molto legato.
Per chi sta affrontando un tumore, la famiglia è la casa delle condivisioni: paure, speranze, traguardi vengono vissuti in maniera intensa non solo da chi ha ricevuto la diagnosi ma da tutti coloro che convivono nello stesso nucleo familiare. Quanto è importante per il tuo percorso da tennista la possibilità di poter vivere in maniera profonda la tua famiglia?
Per me questa cosa è fondamentale, partendo da mio fratello Jacopo, che è a sua volta tennista ed ha due anni meno di me: con lui condivido allenamenti, consigli, opinioni, osservazioni e speranze. Ma anche i miei genitori, i miei nonni, la mia ragazza: sentire di avere una base di condivisione di tante emozioni e di molte sfide, sentire il loro supporto è per me fondamentale, mi dà la possibilità di gestire al meglio le mie emozioni e il mio percorso umano e agonistico. Poter contare su una parola importante detta da persone con le quali hai un legame speciale, è un aspetto determinante in certi momenti quando il coinvolgimento emotivo è massimo.
La gestione dell’equilibrio emotivo è una capacità che è necessario venga appresa da chi combatte contro il cancro. Segnali positivi e negativi si alternano nel percorso oncologico ed è necessario non farsi dominare dalle emozioni sia nei momenti difficili sia nelle situazioni di parziale miglioramento. Tu sei in un momento di carriera in ascesa, hai anche da poco fatto il tuo esordio sul campo centrale del Foro Italico contro Fabio Fognini: come convivi con le emozioni positive dei grandi risultati e le delusioni delle sconfitte brucianti?
L’equilibrio delle emozioni è fondamentale, nella vita come nel tennis: questo infatti non è uno sport di squadra che ti dà la possibilità di trovare negli altri la carica, se ci sono momenti di difficoltà in una partita o in un periodo, devi essere in grado di reagire dentro di te. Certo, giocare sul campo centrale del Foro Italico è stato un sogno, ma so che non è il mio livello attualmente. Sono entrato nel tabellone principale con una Wild Card, farne parte grazie alla mia classifica è un obiettivo ancora molto lontano. Però le emozioni sono secondo me comunque importanti: la soluzione non sta nel non provarle, ma nel gestirne l’impatto. Se le sensazioni sono profonde, sentite e ricercate, possono solo dare una mano a formarsi e identificarsi, anche quando sono sentimenti negativi.
Hai mai dovuto convivere con sentimenti negativi nella tua esperienza sportiva?
Sì: ad esempio, io sono dovuto restare fermo per sei mesi a causa di un serio infortunio al ginocchio nel 2016. Chiaramente non è neanche paragonabile a ciò che vive chi affronta un tumore, però credo di conoscere la sensazione di essere spostati dalla realtà, come parcheggiati in attesa di riprendersi la vita. Io avevo l’impressione di stare indietro rispetto agli altri, che nel frattempo portavano avanti le loro carriere: per certi aspetti scalpitavo, per altri mi sentivo ingabbiato. Però conoscere e provare quell’emozione è stato determinante per andare alla ricerca di altri stimoli, anche extra tennistici, e grazie a quelli costruire la mia reazione.
In certi momenti chi affronta il cancro si confronta con la paura di non riuscire a guarire: molte persone che hanno sconfitto il tumore raccontano questa sensazione, dalle potenzialità profondamente nocive. Pur legato solo all’ambito sportivo, hai mai avuto paura che quell’infortunio mettesse la parola fine al tuo percorso tennistico?
Ci ho pensato spesso, alcune volte ho avuto il timore sia di non guarire dall’infortunio, sia di non tornare nella piena efficienza una volta guarito: avevo la sensazione che la salita del percorso di ripresa non terminasse mai. Temevo di non esserne all’altezza, sentivo la pressione di dover fare risultati in breve tempo. Ho pensato anche di riprendere gli studi per questo, perché ciò che prima era una certezza ora non lo era più. Poi però, grazie anche e soprattutto allo staff che mi ha guidato nel fisico e nella mente, ho saputo alimentare bene anche ciò che sentivo dentro, che dalle paure era solamente offuscato, ovvero la sensazione di potermi riprendere tutto ciò che amo. È stato fondamentale dare forza a questa emozione, perché quando piangi e quando soffri questa propensione positiva rischia di scomparire. Oggi, terminato il mio percorso di recupero, posso addirittura dire che questo infortunio mi ha allungato la carriera, perché anche grazie a lui sono un uomo nuovo, ho nuovi strumenti da usare sul campo e un fisico ricostruito in maniera efficace da mettere al lavoro.
Il mantenimento della propria identità di pensiero ed azione è un aspetto molto importante nella battaglia contro il cancro: il tumore infatti manifesta la sua invasività non solo nel corpo ma anche nella personalità, cercando di contagiarci con sentimenti e pensieri che non ci appartengono. Quanto è influente nel tennis riuscire a mantenere la propria identità anche quando gli elementi di situazione di gioco la mettono in discussione?
Secondo me è uno degli aspetti basilari di questo sport. Nel tennis un atleta si allena per perfezionare un gesto tecnico nel modo più preciso possibile. Però ci si può preparare, colpire milioni di palle in allenamento uguali o diverse, ma ciò che senti dentro nel momento in cui sei in campo, davanti al tuo avversario, in un momento delicato della partita, è una cosa che senti solo tu e solo tu puoi vivere, e solo in quell’istante. Fa parte del lato bello delle emozioni, che sono uniche e irripetibili ogni volta. Se devo pensare ad esempio alla gara con Fabio Fognini, ci sono stati momenti in cui ho temuto che scappasse via troppo velocemente, che non riuscissi nemmeno a partecipare, a cacciare un urlo, a sentire la carica del pubblico. Ho chiesto di andare in bagno, c’era uno specchio e mi sono guardato. Mi sono detto che sarei dovuto tornare in campo perché volevo tornarci, dovevo stare in campo perché volevo starci, capire che quella è un’esperienza che dovevo andare a vivermi fino in fondo. Mi è scappato anche un sorriso, perché mi è venuto in mente che l’anno prima ero lì al Foro Italico con le stampelle, ricevendo pacche di incoraggiamento sulle spalle, ed ora ero sul campo centrale a giocare contro un top 30 mondiale: come potevo avere paura di questo? Sono uscito e sono andato a giocarmi la mia partita: certo, a posteriori analizzandola avrei potuto fare certe cose in maniera più efficace, ma sono certo che me la sono giocata, non mi è scappata via tra le dita come la sabbia in spiaggia. Ho giocato, ho partecipato fino in fondo, era il motivo per cui ero lì ed era tutto ciò che dovevo fare trovandomi lì. È determinante non farsi schiacciare dal peso degli eventi, perché per quanto essi possano essere pesanti, sotto ci sei comunque tu, e devi mantenere la tua identità, la tua forza, il tuo essere persona unica, un insieme di pensieri, emozioni ed azioni. Ed è importante capire che in qualsiasi momento, in qualsiasi sfida e contro qualsiasi avversario, questa opportunità non ti viene tolta: semplicemente sotto il peso della difficoltà, diventa più arduo realizzarla. Per questo ogni tanto è importante fermarci davanti ad uno specchio, guardare chi siamo e capire che dobbiamo accettare la sfida, nella quale offrire tutto quel che siamo dentro: questo è ciò che significa mantenere la propria identità contro ogni avversario.