Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà della quotidianità di chi combatte contro un tumore? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Fa parte di questa vasta squadra Mauro Pelaschier, velista medaglia di bronzo agli Europei del 1977 e timoniere dell’imbarcazione Azzurra all’America’s Cup del 1983.
Ciao Mauro, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Parleremo insieme di alcuni aspetti della quotidianità delle persone e famiglie che affrontano un tumore maligno prendendo spunto da situazioni della tua carriera sportiva, delle quali ci racconterai i tuoi personali aspetti emotivi. Per avvicinarci a questi obiettivi, partiamo da una domanda preliminare che ci dia modo di conoscerti meglio in ciò che non riguarda il mondo sportivo: raccontaci qualcosa di più di te, chi è Mauro Pelaschier nella sua quotidianità?
La mia quotidianità è quella di tutte le persone normali, perché in fondo il fatto che uno eccella nello sport non vuol dire che abbia una vita particolare. Alcune volte però lo sport può essere un maestro utile anche per la vita: l’impegno nell’allenamento, la pianificazione, la conoscenza della materia sono fondamentali nella vela e credo che queste caratteristiche si manifestino anche nella mia vita quotidiana. In verità, credo di trasformarmi per lo più in un’altra persona nel momento in cui metto un piede fuori dalla barca, al punto che, scherzando, spesso sostengo che il Mauro-velista e il Mauro-uomo sono in realtà due gemelli, uno buono e uno cattivo, per dire che molte cose che faccio in mare non le farei mai sulla terra ferma. Alla fine prevale l’equilibrio e trovo il punto di unione tra mare e terra dentro di me.
Il giro di boa è un’immagine della vela che viene usata anche dai pazienti in oncologia, quando indicano di aver raggiunto la metà delle terapie previste. Chi vive il cancro accanto ad una persona è utile però che colga il senso di questa metafora quando viene espressa: significa che è stata fatta molta strada, non che sia quindi tutto finito e in discesa. Ci vuole profondo rispetto della durata di un percorso complesso per non ferire con superficialità chi si sta curando. Per un velista, cosa significa aver raggiunto il giro di boa?
Nella vela significa solamente che si è completata la prima metà della gara. La concentrazione non può mai venire meno: nessuno può mai sapere cosa abbia in serbo la seconda parte della regata, se si allenta un po’ la tensione emotiva e l’attenzione, si rischia di commettere un errore o venire sorpresi da una nuova situazione. Il rischio è che, considerandosi già “a buon punto”, poi basti un minimo cambiamento climatico, una variazione del vento e vieni colto impreparato compromettendo l’intera competizione. Il momento in cui si gira la boa non è di per sé più o meno importante di un’altra fase dell’intera regata: va affrontato con impegno perché sarà uno dei vari passaggi che, se ben impostati, potranno costruire la tua vittoria finale.
In oncologia il concetto di previsione è importante ma non determinante: il paziente e i familiari devono sì orientarsi di fronte a miglioramenti e peggioramenti, ma al tempo stesso devono riconoscere ed affrontare ogni singolo passo nei suoi aspetti positivi o negativi. Alcune volte, prevedere troppo in avanti nel tempo è una controindicazione rispetto a ciò che può succedere di inaspettato anche nel quotidiano: per questo la famiglia deve essere ben sincronizzata e compatta nell’attenzione alla qualità della vita di ogni giorno, con gioia per i momenti sfruttabili, con tenacia nelle difficoltà imprevedibili. Quando vi capita di essere sorpresi in regata da un evento atmosferico non previsto, come funziona l’organizzazione di un’intera squadra sulla barca?
Fin da ragazzo mi hanno insegnato a riconoscere l’evoluzione del tempo tramite le nuvole, anche l’odore del mare può indicare un cambiamento del vento. Una volta adulto ho poi imparato a leggere il report meteo, questo mi permetteva di affrontare più serenamente cambiamenti di questo genere. Sta di fatto che, a prescindere dalle epoche in cui ti trovi a navigare, se non sei reattivo e pronto ai cambiamenti non puoi fare questo lavoro. Il mare non è mai uguale a se stesso, cambia ogni giorno. Oggi come oggi, grazie alla ricerca e alla tecnologia, prevedere con un buon margine di sicurezza quello che accadrà a ore di distanza è abbastanza semplice. Ciò permette di affrontare la navigazione con più serenità, ma per essere un campione la concentrazione non può mai mancare: a parità di tecnologie, in una competizione, è quel che ti permette di primeggiare sugli avversari. La reattività è parte del talento di un campione: la scuola, l’esperienza lo mettono in condizione di essere più reattivo degli altri nel realizzare ciò che sta accadendo e di agire di conseguenza.
Anche una persona che sta affrontando il cancro si trova ad affrontare giorno dopo giorno un mare che presenta delle piccole o grandi diversità, è fondamentale imparare a distinguere gli elementi stabili da quelli mutevoli, per riconoscere dove poggiare le proprie certezze del presente. Quanto è importante per un velista avere degli elementi di terraferma da poter stabilire come fissi, per programmare tempi e destinazioni?
Per natura uno sportivo non pensa mai al futuro, ma solo al presente e a risolvere i problemi che il momento presenta. L’istante che si sta vivendo, sia una frazione di secondo, sia di minuti, è la porzione di tempo su cui si può concretamente agire. A mano a mano che si presentano i problemi, un velista cerca di risolverli nell’azione del presente, senza angosciarsi per l’ipotetico futuro. L’esperienza sportiva mi ha insegnato che le difficoltà, affrontate una alla volta, si risolvono. Perfino le burrasche più spaventose, come sono iniziate, finiscono.
La famiglia di una persona che sta affrontando il cancro e il paziente stesso devono ricevere una comunicazione efficace: fare sentire il nucleo familiare coinvolto non significa sovvertire le regole decisionali dei ruoli dell’equipe medica, al contrario è un modo per creare chiarezza di ruoli e fiducia nell’operato. Su un’imbarcazione, come funziona il regime che coordina le decisioni e la comunicazione delle stesse?
L’equipaggio è una piccola comunità dentro la quale ogni singolo elemento ha una prerogativa ben precisa. È democrazia nel momento in cui tu scegli il tuo equipaggio e magari diventa l’equipaggio della tua vita, io per esempio ancora oggi vado in barca con gli stessi di quarant’anni fa: ci siamo scelti a vicenda, conosciamo perfettamente le qualità e i limiti gli uni degli altri e, lavorando insieme, riusciamo ad ottenere risultati eccellenti. Per altri aspetti invece la vita a bordo è da considerarsi una sana dittatura, nel senso che comanda uno solo, altrimenti si creerebbe confusione. Tanti equipaggi si sciolgono perché accade che qualcuno non sia d’accordo con chi ha preso una determinata decisione, nonostante quest’ultimo si trovasse nella situazione preposta a farlo. Tutti possiamo sbagliare, anche chi comanda, sta alla capacità di chi comanda il saper relazionarsi con il proprio equipaggio, consapevole del fatto che dietro ad ogni scelta può celarsi un errore. Quando si sbaglia è importante immediatamente attrezzarsi per trovare una soluzione: rimuginare sull’errore compiuto, oltre ad essere totalmente inutile, è anche dannoso.
Con Atleti al tuo fianco, insieme ci poniamo l’obiettivo di raccontare, far conoscere la quotidianità di chi vive e si sta curando per una diagnosi di tumore maligno. La finalità è che il lettore possa rendersi conto che si può assumere un atteggiamento migliore nei confronti del cancro, ma soprattutto delle persone che ricevono una diagnosi di cancro, che ancora oggi subiscono gli effetti di un passato in cui il cancro era considerato un tabù. Tu hai in corso una campagna di tutela del mare: raccontaci come fai a stimolare la gente a uno sforzo che la porti ad un comportamento migliore e che la farà stare meglio.
La nostra civiltà ci ha portato a vivere molto al di fuori della natura, spesso se non sempre in contrasto con essa. Ai miei ascoltatori io racconto una cosa semplice: essendo io nato prima della diffusione così massiccia della plastica, ho potuto vedere con i miei occhi quali effetti questa ha avuto sulla qualità dei mari e della terra. Il mare è stato per secoli la pattumiera dell’umanità, ma la grossa differenza è che nei tempi passati l’umanità non produceva le porcherie che produciamo adesso, nelle quantità in cui le produciamo adesso: si è in un certo senso sempre rispettato un determinato equilibrio che ci permetteva di vivere in armonia con la natura. L’inversione di tendenza è possibile e necessaria. Può iniziare da piccoli gesti, come l’andare a fare la spesa con una borsa di tela. Come per gradi la plastica è arrivata nella nostra vita, per gradi dobbiamo cercare di eliminarla. Quando porto i bambini a pulire una spiaggia, loro comprendono la gravità della situazione in cui ci troviamo e, dal momento che la mente dei bambini è una spugna, assorbono questi insegnamenti e saranno portati a comportarsi bene. È un problema di educazione e riguarda tutto il mondo che ci circonda. La condizione in cui ci troviamo ricorda quella che si verifica a bordo: non abbiamo una corrente illimitata, non abbiamo acqua illimitata, non abbiamo cibo illimitato, non abbiamo gasolio illimitato; se vogliamo sopravvivere bisogna cercare di far durare il più possibile le risorse limitate che abbiamo. Questa attitudine nei confronti del vivere sarebbe già molto, sarebbe un passo avanti per tutti, per il mare, per il pianeta e per noi.