Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari (BS) con diploma d’alta formazione in Psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Oggi partecipa a questa sfida Michele Pellizzer, difensore della Virtus Entella, con più di 200 presenze in serie B con le maglie del Cittadella e proprio dell’Entella di Chiavari.
Ciao Michele, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi parleremo di calcio in un modo completamente diverso dal solito, perché attraverso l’analisi di situazioni che tu da atleta vivi ogni giorno ti ritroverai a parlare a lettori che stanno vivendo una sfida molto importante, quella contro un tumore. Prima di tutto però vorrei che tu ti presentassi a tutti, come uomo prima ancora che come sportivo: parlaci di te in tutto ciò che non riguarda il calcio.
Ciao a tutti, mi chiamo Michele Pellizzer, sono un semplice ragazzo di 28 anni di Bassano del Grappa. Convivo con la mia ragazza da tantissimi anni e, quando finisco gli allenamenti e poso la borsa del calcio, mi piace staccare dal mondo del pallone. Coltivo alcuni hobby, mi piace tenermi informato sulle cose che succedono nel mondo, amo stare in mezzo alla gente e in particolare vivere la città in cui abito, che da due anni è Chiavari. Mi piace sentire il calore della gente e scoprire le tradizioni della città che essendo 400 km distante da dove io provengo, presenta costumi e abitudini diverse che mi piace scoprire. La vita del calciatore professionista concede poi degli spazi di tempo da poter utilizzare per coltivare le passioni e io li uso soprattutto per conoscere le persone che circondano la mia realtà sportiva ed extrasportiva.
Essere distanti da casa quando si è nel percorso terapeutico di un tumore complica la possibilità di sentire l’affetto delle persone che ti vogliono bene: le vorresti vicine da abbracciare, spesso sono a decine o centinaia di chilometri di distanza. Quanto è importante per te da calciatore vivere e giocare in una cittadina come Chiavari, 28.000 abitanti con un fortissimo legame con la propria squadra, riuscendo a percepire l’affetto per la Virtus Entella da tutte le persone che non sono solo tifosi ma anche semplicemente abitanti?
Si in effetti io a Chiavari mi sono trovato da subito benissimo e questa sensazione di cui parli c’è ed è determinante. Bisogna pensare che un calciatore ha spesso la valigia pronta e può succedere che, di sei mesi in sei mesi, si ritrovi a dover completamente cambiare ambiente, squadra, persone che si frequentano. Dare il meglio in queste situazioni non è sempre immediatamente facile, io a Chiavari e da Chiavari sto ricevendo un calore enorme che effettivamente mi sostiene e mi rinforza, soprattutto quando umanamente posso avere delle necessità di affetto come quello che si percepisce a casa propria.
Nel momento della ricezione di una diagnosi di cancro, una delle prime sensazioni, che si accompagna a uno stato di choc immediato, è il timore di non avere mezzi e strumenti sufficienti per affrontare e superare la battaglia che aspetta. Ci vuole tempo e preparazione mentale per comprendere che è una battaglia che si può affrontare. Tu giochi nel ruolo di difensore: c’è mai stato nel tuo percorso di crescita un momento nel quale tu possa aver sentito che le tue doti potessero essere non sufficienti per raggiungere gli obiettivi che ti trovavi davanti? E come hai affrontato questo stato d’animo?
Sì, sportivamente ho incontrato la sensazione di cui parli più e più volte, già nel settore giovanile da ragazzino, in cui mi è anche capitato di venire un po’ messo da parte e poco considerato. Ricordo benissimo che a 14 anni c’erano diversi compagni di squadra più forti di me per i quali circolavano nomi di squadre di serie A, mentre sinceramente io non ero minimamente notato da nessuno. La difficoltà secondo me è maggiore quando devi portare avanti anche la scuola ma non riesci al massimo in entrambe le cose per cui, quando nel calcio non va proprio benissimo, anche la famiglia giustamente ti pone qualche dubbio cercando magari di convincerti a puntare di più sulla scuola che sul futuro da calciatore professionista. Devi tirar fuori tutta la tua forza di volontà per contare sui tuoi mezzi, anche se è necessario che ti arrivi qualche spiraglio di luce per alimentare la speranza, magari verso i 16-17 anni una convocazione in prima squadra o in primavera. Io prima di accedere al campionato di serie B ho fatto quattro anni di serie C: era già un buon livello ma ci vuole pazienza perché con il tempo si possa migliorare per fare dei passi avanti. Il buio di certi periodi è normale per tutti gli uomini, qualsiasi professione o situazione affrontino, perché avviene quando i sogni, le aspettative e i desideri non trovano riscontro nella realtà che ci si trova a vivere; è determinante riuscire a reagire sotto il profilo umano ed emotivo per arrivare ad una fase successiva in cui le cose possono migliorare, e tu devi essere pronto a prendere l’occasione che si può presentare.
Qual è stata secondo te la tua dote che ti ha permesso di resistere nel momento di difficoltà e riuscire a mettere a frutto questo percorso?
Ripensandoci bene, direi che la chiave è stata rispettare alcune regole del calciatore professionista anche quando professionista ancora non ero: rinunciare alle uscite con gli amici coetanei quando c’erano partite da affrontare la domenica, avere un comportamento regolare anche fuori dal campo, con il supporto della famiglia. Io dentro di me ci ho sempre creduto anche quando le cose andavano male: attenermi a delle regole di comportamento serio è stato ciò che secondo me ha dato la possibilità che si creasse un’opportunità più avanti anche per me, che oggi posso dire di aver colto.
La diagnosi istologica di un tumore maligno è un esame che può paralizzare una persona nella sua attesa e nella sua rivelazione: essa infatti contiene tutte le caratteristiche specifiche della malattia, nella sua dimensione, aggressività e diffusione. È importante avere strumenti emotivi allenati per affrontare i momenti in cui si aspetta il referto istologico. Nel tuo ruolo di difensore, come ti avvicini emotivamente alle sfide in cui dovrai confrontarti con avversari diretti molto forti che ti potrebbero incutere soggezione solo a sentirli nominare?
Può capitare di avvicinarsi ad un appuntamento importante e sentire la pressione dell’evento in maniera maggiore o per il nome della squadra che si affronta o per l’avversario che con il reparto difensivo dobbiamo contenere. Durante la settimana facciamo un lavoro di approfondimento visionando filmati relativi agli avversari, in modo da arrivare preparati all’appuntamento ed essere pronti a quel che potrà succedere in campo il sabato. Io adesso sono al settimo anno di serie B, ma ricordo che questa sensazione di inadeguatezza era più accentuata nelle primissime stagioni: vedere certi nomi sulla carta, un po’ di soggezione mi veniva. Però era un’emozione da conoscere e affrontare per superarla, e far parlare non la carta ma il campo: la soggezione è un sentimento importante, perché ti permette di collocarti un gradino sotto agli altri senza sopravvalutarti, sapendo che dovrai dare il massimo per riuscire a contrastare il tuo avversario. Il giorno che ti sopravvaluti nei confronti di chi dovrai affrontare, verrai con più facilità sorpreso, facendo brutte figure.
Nel mondo dell’oncologia ci sono persone straordinarie che rispondono al nome di “survivors”, ovvero coloro che hanno sconfitto il cancro e decidono di portare la loro esperienza nella vicinanza e al servizio di chi affronta per la prima volta la propria personale battaglia contro il tumore. Non esiste medico, chirurgo o psico-oncologo che, per quanto esperto, possa sapere quanto loro cosa si prova in determinati momenti del percorso che si percorre con un cancro: sono gli esperti per esperienza, e fanno grandi benefici alle persone ancora ammalate. Al settimo campionato di serie B, che cosa è per te l’esperienza in ambito sportivo?
Effettivamente mi accorgo che, rispetto ad anni fa, molti miei compagni più giovani mi prendono come punto di riferimento, mi fanno domande, mi chiedono consigli che cerco sempre di dispensare secondo il mio punto di vista e pensiero. Sono più sicuro in questo, e credo che l’esperienza sia perdere la paura di sbagliare, non perché non farai più errori, ma perché comprendi che l’errore, la difficoltà, il sacrificio sono la strada che ti permettono di crescere, di evolvere. L’esperienza è perdere verso i loro confronti quella paura che ti porta ad affrontarli senza la consapevolezza che l’incontro con loro fa parte del tuo percorso: il tuo compito è trasformarli in apprendimento, per costituire il bagaglio con cui affrontare poi le medesime situazioni senza cadere una seconda volta nello stesso errore. Per certe cose posso dirmi esperto, per altre ho un’esperienza ancora tutta da costruire.
Grazie Michele per le tue parole e la tua testimonianza, siamo fieri che rappresenterai Atleti al tuo fianco in ogni minuto speso sul campo di calcio, in bocca al lupo per la tua stagione agonistica.