Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi partecipa a questa sfida Samuele Papi, uno degli atleti più titolati della storia della pallavolo mondiale, capace di collezionare 4 medaglie olimpiche e 8 titoli mondiali con la maglia dell’Italia e, tra i molti trofei con le squadre di club, 6 scudetti e 3 Champions League con i colori della Sisley Treviso e una Challenge Cup e una Coppa Italia con la maglia della LPR Volley Piacenza.
Ciao Samuele, benvenuto nell’iniziativa “Atleti al tuo fianco”, oggi parleremo della tua storia sportiva, dandoti l’opportunità particolare di offrire spunti di riflessione e di reazione a chi sta affrontando un tumore maligno, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Prima di tutto però vorrei che tu ci raccontassi qualcosa di te che non sappiamo, che non riguarda la tua attività lavorativa nella pallavolo: chi è Samuele Papi al di fuori dai campi di volley?
“Sono una persona normalissima, provengo da una famiglia operaia che mi ha trasmesso il valore dell’umiltà, e ho cercato e cerco di porlo sempre come un cardine nella mia vita fuori e dentro al campo. Le mie giornate si dividono in due categorie: quelle a casa con la famiglia che vive a Treviso e quelle a Piacenza, dove fuori dal campo ho molto tempo libero. Amo guardare film, leggere e ho la passione del modellismo dinamico, le auto radiocomandate per capirci: coltivo questo hobby sin da piccolissimo e mi ricordo che il primo stipendio della pallavolo lo impiegai nell’acquisto di un modellino, e a riguardo mi sentii rimproverare fortemente da mio padre. Quando sono a Treviso invece faccio il papà: ho due bimbe di 7 e 9 anni e, pur nella difficoltà del ruolo di padre, trovo che sia la cosa più bella che la vita mi abbia regalato.”
Molto spesso chi affronta un cancro, si trova a dover fare i conti con delle prognosi che paiono come sentenze, anche se non sempre si realizzano come annunciate: gran parte del lavoro della psico-oncologia sta nell’aiutare il paziente e i suoi familiari a combattere anche quando le possibilità del raggiungimento dell’obiettivo sopravvivenza sono poche, ma esistenti. Nel tuo percorso di formazione giovanile, quando ancora non si sapeva che potessi diventare un pilastro della storia della pallavolo, ti è mai capitato di sentirti dire “questo ragazzo è forte ma non ce la farà perché non ha il fisico sufficiente per diventare un top mondiale”?
“Me lo hanno detto un sacco di volte, ma veramente tantissime; credo che però questo messaggio che in qualche modo mi sentenziava come inadatto, in realtà mi abbia dato lo stimolo per fare tutto il possibile per dimostrare loro che si sbagliavano. Ho sempre avuto da ragazzino un’enorme voglia di smentire i dati, i centimetri e le statistiche mostrando a tutti che io potevo raggiungere il mio obiettivo a prescindere dalle loro previsioni, che avrebbero poi dovuto correggere in base ai miei risultati. Io l’ho presa come una sfida, oggi penso di poter dire di averla vinta alla grande, non solo per me ma anche per quelli che se si sentissero dire “non ce la puoi fare” possono sempre rispondere “Samuele Papi ci è riuscito, ce la posso fare anch’io.”
Mantenere la mente lucida quando si presentano giornate difficili o momenti in cui gli esami di controllo non danno i risultati attesi non è facile, lo sconforto rischia di diventare un nemico molto potente e per questo è importante imparare a premere il tasto reset per riuscire a reagire e dare il meglio in ogni tappa del percorso nella malattia. Da schiacciatore ricevitore, sei chiamato a ricevere servizi molto potenti per offrirli al meglio per al tuo alzatore: come fai a resettare le scorie negative di due ricezioni errate appena compiute o magari due ace consecutivi subiti ed essere performante in maniera positiva?
“Da sempre mi hanno allenato la mente in modo tale da liberarmi immediatamente dai pensieri negativi che un errore o una difficoltà lascia. Nella ricezione in particolare, è importante togliere dalla testa le scorie che un errore può creare, perché porta tensione alla preparazione di un gesto che deve essere fluido e naturale, ti porta ad avere quasi paura di compiere un’azione che sai fare. Poi successivamente si può analizzare perché si è compiuto un errore, ma anche dopo il peggiore dei risultati parziali, la tua mente deve essere proiettata a quel che devi ancora compiere per raggiungere il risultato finale che non è assolutamente compromesso. Quando ero molto giovane facevo fatica ad essere preciso dopo un errore, ci è voluto molto allenamento per imparare a schiacciare il famoso tasto reset e mantenere l’attenzione sull’obiettivo finale.”
Un tumore maligno è dotato di capacità invasiva, non solo fisica andando ad aggredire gli organi vicini e a distanza, ma anche emotiva, infiltrandosi nei pensieri e nelle azioni della quotidianità e rendendo apparentemente impossibili gesti o attività che si sono sempre compiuti con naturalezza. Tu hai giocato partite molto complicate e cariche di tensioni, come le finali delle Olimpiadi o di Champions League: in quale modo ti sei approcciato a gesti di routine come una battuta o una schiacciata quando il pallone e il tuo fiato sembravano improvvisamente pesare di più per l’importanza del momento in cui andavi ad effettuare il gesto?
“È vero, non tutti i punti sono uguali, perché quello che tu provi dentro di te inevitabilmente cerca di esprimersi anche nel gesto tecnico, rischiando di condizionarlo. Quel che mi ha aiutato è il sapere di potercela fare, che non era scontato ci riuscissi ma che esisteva la possibilità di farcela e dipendeva anche da me. Aver lavorato precedentemente, anche sulla mente, ti dà la possibilità di avere la certezza di possedere i mezzi psico-emotivi per affrontare quella situazione: ciò non significa garanzia di successo, ma sicuramente eleva al massimo le tue possibilità per raggiungerlo compiendo al meglio ciò che che sai fare. Il fatto poi di essere in uno sport di squadra, e quindi avere al mio fianco altre persone che come me si erano preparate per affrontare la situazione, mi ha dato ulteriore tranquillità.”
E quando questa tensione era massima, nella tua carriera sei stato più un giocatore che preferiva contare sul supporto dei compagni o uno verso il quale i compagni si voltavano perché sapevano di potersi affidare a te per i palloni decisivi?
“Per una fase della mia carriera sono stato un giocatore che preferiva fosse un compagno a chiudere l’ultimo punto o la palla importante, poi sono diventato quello a cui gli altri si aggrappavano nei momenti decisivi. Io mi sento più a mio agio nella seconda opzione, anche se in realtà io so di non essere un leader e di non esserlo mai stato perché caratterialmente sono sempre stato uno molto tranquillo e mite, però nel ruolo di pallavolista cresciuto negli anni mi sono trasformato in un riferimento per i compagni nei momenti decisivi, e a me questa situazione sinceramente fa piacere.”
In certe situazioni, anche dopo la guarigione ci si trova a fare i conti con alcune modifiche o limitazioni nel corpo con le quali si deve entrare in relazione per impostare il percorso di vita da guariti con la necessaria serenità, nonostante le difficoltà e rinunce cui esse obblighino. Tu sei stato un talento precoce della pallavolo e adesso sei un recordman di longevità, essendo ancora ai vertici del volley a 43 anni: come convivi con le concessioni e limitazioni a cui ti obbliga il tuo corpo da atleta maturo rispetto alle prestazioni atletiche che riuscivi ad ottenere a 20 anni?
“Quando sei giovane, ti senti forte in tutto e per tutto. Poi a 24 anni ho dovuto affrontare un intervento al ginocchio, e per la prima volta è in me subentrato il timore che qualcosa potesse cambiare, soprattutto nei primi momenti della riabilitazione quando faticavo a fare gli esercizi più banali. Terminato il percorso di reinserimento, tutto andò al meglio ma sicuramente mi ha obbligato a confrontarmi con la realtà della natura umana, che non è eterna né invulnerabile. Adesso a 43 anni so che non posso riuscire a fare tutto ciò che facevo prima, ad esempio posso compiere meno salti massimali all’interno di una gara. Però ho la totale consapevolezza che questo sia normale, che faccia anche questo parte della mia storia di vita e di atleta, e ciò mi conforta e tranquillizza a riguardo. È stato più difficile qualche anno fa, quando a 37-38 anni mi sentivo ancora un atleta perfetto nella testa e nel corpo, che però dava le prime avvisaglie di difficoltà per la sua naturalissima età. L’errore è stato ripetermi “Ce la devi fare!” perché mi creava un modello irraggiungibile: il mio modello dovevo diventare io stesso, con il mio corpo comunque forte ma anche in più che normale regressione. Quando la mia testa lo ha capito e accettato, il mio corpo ha smesso di essere un nemico ma è tornato un mio grandissimo alleato, anche con le sue difficoltà e i suoi limiti.”
Alcune volte, quando programmiamo campagne di prevenzione sui fattori di rischio derivati dal comportamento come il fumo o l’alimentazione, la necessità di dare messaggi scientificamente ed eticamente inattaccabili crea modelli che possono essere distanti dalla realtà di alcune persone, e quindi percepibili come irraggiungibili. Ci puoi dire cosa a tuo parere ti ha aiutato ad arrivare a 43 anni ancora al top nella pallavolo, e se comunque ti sei potuto concedere delle trasgressioni nei comportamenti di prevenzione di patologie e tutela della salute?
“È un rischio che corriamo anche noi atleti di essere visti come un modello perfetto di comportamento salutista, ma pure noi siamo esseri umani con pregi e difetti. Essere arrivato alla mia età ancora in campo in serie A1 sicuramente non è stato frutto del caso, e in particolare credo che la svolta si sia verificata quando ho iniziato a seguire le indicazioni di prevenzione che mi venivano date dai medici: fare ghiaccio dopo un’attività, seguire un’alimentazione sana e altri consigli che alcune volte rischiano di essere percepiti come limitanti in realtà mi hanno permesso di mantenere in salute la mia macchina di lavoro che è il mio corpo. Questo però non significa che io sia stato perfetto: in passato sono stato anche fumatore per un periodo, e ad esempio in alcune situazioni a tavola ho preferito privilegiare il piacere di un pasto abbondante in compagnia rispetto alla dieta dello sportivo. La perfezione è un riferimento importante, una direzione a cui mirare ma è importante avere il giusto spirito critico per capire se e quando si può trasgredire. Certamente, oggi so che per smaltire un pasto più libero mi ci vuole più tempo, e se voglio essere performante in campo mi devo limitare. Ciò non toglie che in certe situazioni, lontano da impegni sportivi, mi conceda eccezioni trasgressive per la pura gioia alimentare.”