In questi giorni è tornato dominante il dibattito intorno alla terapia dei tumori maligni, dopo che la cronaca nazionale ha messo in luce le scelte di due persone ammalate di cancro che hanno rifiutato la chemioterapia affidandosi a cure alternative, con esito nefasto.
A questo riguardo, il presidente di AIOM Carmine Pinto ha pubblicato questo significativo intervento a difesa dell’evoluzione terapeutica in ambito chemioterapico
mettendo in luce come nel corso degli anni l’efficacia delle terapie sia notevolmente migliorata e gli effetti collaterali risultino sensibilmente ridotti.
Come riportato nell’intervento, a differenza di molti anni fa, ora il 68% delle persone a cui viene diagnosticato un tumore riesce a sopravvivere alla malattia, con picchi del 91% e 87% per quel che riguarda i tumori di prostata e seno; anche l’aspettativa e la qualità della vita sono state incrementate per chi riceve una diagnosi di cancro in uno stadio già avanzato grazie all’evoluzione nella chemioterapia.
Per quale motivo quindi esiste tuttora una diffusa messa in discussione delle terapie che la medicina convenzionale offre in ambito oncologico da parte della popolazione?
Trattando argomenti molto delicati, è sempre necessario fermarsi di fronte ai numeri che stiamo analizzando, perché quando la statistica si basa sugli esseri umani è grande il rischio di equiparare singole persone a dati numerici, e ciò non deve succedere.
Affermando che il 68% delle persone sopravvive ad una diagnosi di tumore maligno, stiamo anche dicendo che il 32% muore; nel 2015 in Italia ci sono state oltre 360.000 diagnosi di cancro, significa appena meno di 1000 casi ogni giorno (fonte: AIMaC – Associazione Italiana Malati di Cancro attraverso Associazione italiana registri tumori AIRTUM).
Le persone quindi coinvolte in quel 32% sono 115.200, con le relative famiglie, difficoltà, paure e limitazioni. Nel momento in cui la medicina cerca di mettere in luce i propri reali e inconfutabili progressi in ambito oncologico, si relaziona anche con l’evidenza di un’efficacia ancora insoddisfacente per moltissime persone, che di cancro muoiono e moriranno.
Per ogni essere umano malato di cancro, non è tanto importante sapere che la medicina abbia fatto progressi nella probabilità statistica di salvargli la vita o di allungarla e migliorarla: ad una singola persona con un tumore interessa avere certezze riguardo la propria salvezza, e non sempre la medicina è in grado di soddisfare questa richiesta.
Esiste quindi una distanza tra medici e pazienti, un terreno che va lavorato perché essi mantengano contatto salvaguardando la reciproca fiducia.
Molto spesso avviene però che l’assenza o la carenza di mediazione nel dialogo e nell’ascolto tra malati e medici acuiscano questa distanza e rendano il terreno fertile a chi può inculcare l’idea che esista un’alternativa più efficace della chemioterapia e della medicina convenzionale.
La differenza di base tra queste due realtà è primariamente una: la medicina è una scienza ed è regolata da dimostrazioni e studi rigorosi, l’alternativa non ha organi di controllo monitoranti l’efficacia e l’attendibilità di ciò che propone.
Nell’era della navigazione on-line autonoma, attraverso la quale si possono trovare in rete molte informazioni dannose per la propria salute spacciate per terapie salvavita nascoste dalla medicina, è necessario che noi medici si dedichi molto più tempo di quanto non facciamo per lavorare quel terreno che ancora ci tiene distanti dalle persone ammalate, attraverso dialogo, ascolto, comprensione, discussione, confronto e chiarimento:
in questo modo possiamo mantenere vicina la fiducia delle persone che ci stanno affidando la propria sopravvivenza, alle quali garantiamo di offrire la miglior arma possibile per raggiungere l’obiettivo, ma non siamo ancora in grado di assicurare il raggiungimento dello stesso. Fidarsi della medicina e della chemioterapia passa inevitabilmente attraverso la fiducia che si prova nei confronti dei medici con cui ci si confronta.
La guerra in corso di combattimento ha due nemici: il primo è il cancro, il secondo è chi alimenta e vende illusioni scientificamente inattendibili.
Chi primariamente combatte la malattia, non è il medico bensì il paziente o, meglio ancora, la persona che è ammalata di cancro: noi medici in tutto questo siamo gli alleati, coloro i quali sono in grado di offrire gli strumenti attualmente più efficaci per potersi giocare la possibilità di vincere la sfida.
La fiducia non ci è dovuta solo per le statistiche che siamo in grado di evidenziare sui grandi numeri, ma soprattutto perché ogni singola persona riconosca che da noi è accolta, compresa, difesa e tutelata al meglio individualmente nella propria battaglia per la sopravvivenza.