Atleti al tuo fianco: Karin Knapp

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Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Quest’oggi abbiamo il piacere e l’onore di far partecipare a questa sfida Karin Knapp, tennista di 27 anni che nel corso della sua carriera ha vinto diversi tornei WTA e ITF fino a raggiungere la posizione 33 del ranking mondiale, riuscendo a portare avanti una brillantissima carriera nonostante il suo fisico l’abbia costretta a sopportare numerose e serissime difficoltà di salute.

Karin, grazie per la tua disponibilità a prendere parte a questo progetto; la prima domanda che ti facciamo è: chi è Karin Knapp in tutto ciò che non è il tennis? Presentati ai nostri lettori.

Sono una normale ragazza di 27 anni, fuori dal campo mi piace leggere e ascoltare la musica, sono due passioni che amo particolarmente. Quando gli impegni del circuito tennistico mi concedono una pausa dalla costante tournée mondiale di tornei e riesco a restare a casa, adoro passare il tempo giocando con il mio cane, mentre un buon modo di godermi una serata resta sempre la visione di un film, a casa o meglio ancora al cinema.”

Oltre alle tappe dei tornei, che ti tengono lontana da casa, tu hai una storia particolare, perché sei nata in Alto Adige, dove la tua famiglia vive, ma ti sei trasferita e ti alleni da tempo ad Anzio, nel Lazio. Convivi quindi con l’aspetto della lontananza dalla famiglia, che chi affronta un tumore conosce bene: le terapie a cui obbliga una diagnosi di cancro spesso infatti prevedono ricoveri, alcune volte anche molto distanti da casa e dai propri legami familiari. Come si affronta l’impossibilità di condividere direttamente le emozioni della quotidianità, le vittorie e le sconfitte, le gioie e le difficoltà con i tuoi affetti più cari?

Beh, i primi tempi in cui mi sono dovuta abituare a vivere sempre lontana da casa non è stato facile; però devo essere sincera e per quel che riguarda me, io adoro fare il mio lavoro, giro il mondo per giocare a tennis, mi sento privilegiata per questo. Quando i miei genitori e i miei fratelli possono, vengono a vedermi se non gioco troppo distante per cui qualche volta ho condiviso con loro le situazioni della quotidianità sportiva. Tra l’altro negli ultimi anni la tecnologia ha aiutato moltissimo per sentirsi comunque vicini, dieci anni fa non era semplice comunicare dall’altra parte del mondo, oggi basta una foto dal telefono condivisa con la famiglia per percepire una vicinanza virtuale che comunque fa del bene.”

Quando tu nel 2007 hai iniziato la carriera, i tuoi risultati sono stati subito molto positivi nonostante la tua giovane età, proiettandoti a 20 anni tra le prime 50 tenniste al mondo; successivamente però un serio problema al cuore ha forzatamente arrestato il tuo percorso, obbligandoti a rinunciare alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 e mettendo in discussione la prosecuzione dell’attività agonistica. Cosa si prova a vedere i propri sogni e i propri traguardi minacciati da una malattia?

Non è una bella sensazione, non è semplice da affrontare. Nel mio caso ho sempre cercato di pensare che se fossi potuta tornare alle competizioni e alla mia vita, quell’avventura avrebbe potuto migliorarmi, rendermi più forte ma al tempo stesso più consapevole di molti aspetti importanti della vita. Ho sempre cercato di non mollare il mio sogno, di crederci fino in fondo perché la mia attitudine poteva in qualche modo influenzare il percorso, e quindi dovevo impegnarmi fino in fondo per mantenere una visione positiva in una situazione che invece si era presentata come preoccupante sotto moltissimi aspetti.”

Col senno di poi, pensi che la malattia ti abbia davvero migliorata come tennista, oltre che come persona?

Senza dubbio mi ha aiutato a riconoscere il diverso peso e le varie forme che può assumere la paura quando si presenta: il timore di sbagliare un dritto è sì una paura ma ha un valore molto basso rispetto ad altre situazioni. Riuscire a distinguere questi diversi gradi di paura mi ha dato modo di poterla attaccare ed affrontare, perché una partita di tennis per quanto possa intimorire rappresenta un ostacolo superabile: questo mi ha dato modo di scendere in campo più tranquilla e affrontare le sfide con più serenità, perché se perdo una partita oggi ho ben presente che non casca il mondo. Ciò non toglie che non voglia comunque mai perdere in un match, questo è ovvio, però aver vissuto paure vere ti aiuta a ridimensionare un concetto come aver paura di perdere una partita di tennis”

Nel 2015, a distanza di cinque anni dal tuo rientro agonistico, sei stata capace di migliorare il tuo best ranking che avevi stabilito nel 2008. Avevi mostrato a tutti dopo ogni difficoltà affrontata eri una giocatrice più forte di quanto non fossi prima di tutti i problemi, ora lo attestava pure la tua posizione mondiale. Cinque anni per un malato di cancro non è una distanza temporale qualsiasi: è il tempo che è necessario passi dalla fine delle terapie per potersi dire, in assenza di nuovi segni di malattia, ufficialmente guariti. Ci dici quanto credevi di potercela fare nel corso di quei cinque anni, quando ancora il tuo corpo non mandava segnali chiari e la tua certificazione di essere una tennista non si chiamava più torneo WTA di Wimbledon ma ITF di Campobasso, Brescia o Cuneo? Hai mai avuto il dubbio di non farcela?

E’ stato un percorso molto complesso, e il dubbio di non farcela può venire, ma se tu hai ben chiaro che a tutti i costi vuoi raggiungere un obiettivo, devi giocarti tutte le possibilità che ti vengono offerte. Io credo che ogni tennista debba accettare la posizione in classifica che ha in quel momento, e di conseguenza giocare nei relativi tornei: in questo momento sono 200 del mondo, gioco in tornei con altre atlete di queste posizioni; se sono più forte di loro, vincendo salirò in classifica e affronterò tornei con avversarie di più alto livello. Anche quest’anno in realtà è stata tosta, perché vero che l’anno passato ho fatto best ranking ma due settimane dopo mi sono dovuta rioperare al ginocchio, quindi non ho avuto nemmeno il tempo di gioire e apprezzare quella certezza che subito è ricomparsa una messa in discussione. Oggi sono di nuovo in campo, sono rientrata tra le top 100 subito dopo essere uscita grazie ai risultati del Roland Garros e del torneo di Brescia. Ogni giorno è una sfida nuova da affrontare con spirito costruttivo.”

Alcune volte certe persone sono costrette ad affrontare la malattia “contro pronostico”, ovvero con una diagnosi iniziale che spaventa perché obbliga ad un percorso molto probante per giocarsi le possibilità di guarigione. Di recente all’ultimo Roland Garros, torneo sulla terra rossa a Parigi, il sorteggio ha scelto per te, su più di cento possibili avversarie, la ex numero uno del mondo Viktoria Azarenka. Contro le previsioni di molti, tu quella partita l’hai vinta, generando una delle maggiori sorprese del torneo. Quel che ti chiedo è questo: cosa si prova quando tu devi affrontare una sfida e molti intorno a te sono scettici riguardo alle tue possibilità di vincere?

Onestamente io sono stata la prima a pensare <Che sfortuna!> quando mi hanno comunicato l’esito del sorteggio. Poi però ho cercato di volgere la mia mente in una direzione diversa, pensando che uno si allena tutto l’anno per affrontare partite come queste, che avrei dovuto tirare fuori il meglio del mio tennis. Sicuramente è servito anche usare un pochino di ironia, con il mio staff ci dicevamo che avremmo giocato sicuramente su un campo importante, che ci avrebbero guardato in tanti nel mondo… Alleggerire la mente dalle zavorre negative è molto importante, quel Che sfortuna doveva essere disinnescato anche attraverso la leggerezza. Sul campo ho saputo giocare bene, affrontare la sfida senza la paura che mi prendesse a pallate, e alla fine l’ho vinta.”

Grazie Karin, quella partita non è stata l’unica sfida che hai saputo vincere da grande campionessa e da donna straordinaria, il tuo atteggiamento quotidiano è un esempio costante per chi viene umanamente sfiorato dal dubbio di non farcela. Grazie per essere al nostro fianco non solo partecipando al nostro progetto ma scendendo in campo ogni giorno, noi facciamo il tifo per te.

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