Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi raccoglie a questa sfida Alberto Paris, ex tennista n.202 mondiale e top 10 italiano, attualmente affermato allenatore e direttore tecnico degli Internazionali Femminili di Brescia, secondo torneo italiano per importanza nel circuito femminile dopo gli Internazionali BNL d’Italia di Roma.
Benvenuto in questa iniziativa Alberto, oggi ti faremo parlare da sportivo e da tecnico in un’ottica diversa dal solito. Ci inoltreremo infatti in un terreno particolare, cercando di avvicinare il mondo dello sport alla sfera quotidiana di chi sta combattendo un tumore, con l’obiettivo di offrire spunti di ispirazione attraverso le tue esperienze sportive. Prima di tutto però, vorrei che tu avessi modo di presentarti meglio ai nostri lettori: raccontaci qualcosa di te, in tutto ciò che nella tua vita non riguarda il tennis.
Sono una persona comune, cerco di seguire un percorso direi coerente con lo scopo della mia vita che per me è sempre stato importante mettermi a disposizione degli altri: prima quando giocavo ero a disposizione di me stesso, era una cosa un po’ più personale, dovevo rendere conto solo a me di ciò che facevo. Essendo poi passato dall’altra parte della barricata, ho trovato una situazione un po’ più consona alla mia indole di dare una mano agli altri, prima come maestro e poi come uomo e come persona. Sono molto fiero di avere nella mia vita una serie di ragazzi che primariamente sono stati miei allievi, e oggi sono cresciuti fino a riuscire a mantenersi attraverso il tennis, giocandolo e insegnandolo.
Avvicinandoci al tema della nostra intervista, un elemento in comune tra chi affronta la malattia e e lo sportivo è la corporalità; una situazione spesso presente in chi affronta il cancro, è infatti il rapporto che si instaura tra la patologia e il tuo corpo: molte volte la malattia ti limita, alcune addirittura ti invalida, obbligandoti a una serie di interventi dai quali non sempre riesci ad avere un ripristino totale alla situazione iniziale, ma da quella situazione uscente devi sviluppare tu la condizione migliore possibile. Nel tuo percorso sportivo, che è sfociato anche in un’attività da tennista di età over, hai mai dovuto fare i conti con le limitazioni che il tuo corpo ti imponeva a livello di regressione fisiologica delle capacità fisiche e atletiche? E come hai affrontato queste variazioni per riuscire a trarre il meglio possibile da ciò che il fisico ti concedeva?
C’è sicuramente una notevole differenza tra chi affronta una limitazione fisica data dalla malattia e chi riceve i segnali dal proprio fisico che la prestazione sportiva non è più quella di un tempo. Se mi concentro sull’aspetto agonistico, dal tennis, che è stato sì il mio sport ma anche effettivamente la mia vita, io ho imparato un aspetto che è un po’ per me la metafora dell’esistenza: il tennista bravo è colui che gioca a tennis come può, non come vuole. Credo questa sia una grandissima verità perché nel momento in cui il giocatore vuole imporsi di giocare come vorrebbe, si crea uno scontro di difficile gestione tra la volontà e la realtà; su questa base poggia un elemento fondamentale come l’atteggiamento: porre un atteggiamento positivo significa avere l’attitudine per raccogliere il massimo possibile nelle condizioni concesse, atteggiamento grazie al quale è molto probabile aumentino le proprie capacità e le probabilità di raggiungere risultati impensabili. Questo è valso nella mia vita agonistica nella sua evoluzione fisiologica, ma è valso anche nel mio percorso da coach e, non ultimo, da padre che conosce la realtà delle malattie croniche invalidanti.
Un aspetto delicato è l’invasività del tumore non solo nel fisico ma nei pensieri, nei sogni, nelle azioni quotidiane: la paura si insinua all’interno di compiti e attività che hanno accompagnato e caratterizzato la vita di una persona prima della malattia, modificandole e rendendole difficili da affrontare nonostante le si abbia sempre condotte con facilità. Nello sport spesso avviene che gesti abituali compiuti in condizioni di stress psico-emotivo diventino difficilmente eseguibili; tu hai calcato una grande variabilità di campi per prestigio: sei stato su campi di circoli provinciali, hai giocato in stadi famosi in tutto il mondo. Ci puoi spiegare come un tennista possa affrontare la variazione del compimento di gesti medesimi in base all’influenza emotiva che subisce da elementi esterni all’azione stessa?
La gestione dell’emotività per un giocatore di tennis è una delle cose più importanti, è ciò che fa la differenza tra essere lucido e non esserlo nei momenti decisivi di una sfida. È chiaro che le condizioni esterne sono elementi determinanti in questa situazione: 5000 persone intorno a te che ti guardano non sono la stessa cosa che giocare con un amico al circolo, anche se i gesti sono i medesimi. Quando è capitato a me di calcare palcoscenici importanti, ero in uno stato talmente euforico che non avendo nulla da perdere ero galvanizzato; più complesso è stato quando dovevo dimostrare di saper vincere, ottenere dei risultati, allora in quel caso il fattore emotivo diventava dominante e determinante. Solo allenando costantemente l’atteggiamento riesci a orientare gli elementi emotivi in una direzione positiva, perché in sostanza devi soltanto cercare di fare le cose in tua possibilità per migliorare la tua condizione. Il tennis come paradigma della vita: qualche volta il campo è troppo pesante, altre le corde della racchetta sono tirate male… Hai due possibilità: o continui a lamentarti o ti concentri su cosa puoi fare per migliorare la tua condizione, cercando di rendere il meglio di quello che puoi nella situazione in cui sei, pur nella difficoltà. Nel momento in cui accetti la tua situazione, anche quando non voluta e non dipendente da te, allora puoi cambiare il tuo atteggiamento e orientare le implicazioni emotive. È un percorso, e anche se trovo evidenti le differenze sostanziali di difficoltà tra uno sportivo e una persona ammalata di tumore, credo che anche per un paziente l’apporto più importante sia sotto il profilo emotivo, perché se nelle terapie farmacologiche ti devi (e ti puoi) affidare, nel percorso emotivo invece sei coinvolto direttamente, ed entri in gioco tu con il riferimento di una guida sicura.
Per un paziente oncologico è importante mantenere la sfera delle emozioni equilibrata, senza grossi sbalzi verso il basso quando sembra che le terapie non portino immediatamente i risultati attesi, senza esaltazioni quando gli esami strumentali mostrano qualche miglioramento, piccolo o grande che sia: il vero obiettivo sta nella vittoria finale, e lo si può raggiungere anche incontrando difficoltà e cadute che non devono trascinare verso la resa. Nel tennis, anche a grandi campioni, ogni tanto capita di sbagliare in maniera clamorosa un colpo al volo facilissimo: tu, che particolarmente eri un tennista di grande propensione al gioco a rete, come facevi dopo un errore umiliante e demoralizzante a mantenere un equilibrio interiore finalizzato all’obiettivo finale della vittoria della partita, dentro alla quale ci possono essere anche punti persi in malo modo?
Nel tennis, chi disputa sfide per ottenere grandi risultati, non deve essere concentrato sul risultato finale. Se sei orientato solo su quello, ogni errore ti dà la sensazione di allontanarti dall’obiettivo, ancor più dopo aver sbagliato una palla facile a rete. Anche lo sbaglio più eclatante non ti deve turbare oltre il valore del punto in sé: se riesci a focalizzarti su quello, con la giusta comprensione del perché tu abbia commesso quell’errore, allora puoi riuscire a proseguire mettendoti alle spalle l’errore stesso, con direzione continua verso l’obiettivo. Il tennista forte sta concentrato punto dopo punto, senza nemmeno considerare la situazione di punteggio globale, gioca restando finalizzato sul singolo punto, addirittura sul singolo colpo. Nel momento in cui ti focalizzi sul risultato finale, perdi la visione del momento presente, e di cosa puoi davvero fare in quel determinato momento per orientare la direzione del tuo percorso.
Grazie Alberto per questo tuo contributo, la tua saggezza e il tuo carisma sapranno essere di riferimento a molte persone che stanno affrontando il cancro, che potranno trarre spunti e ispirazione dalle tue parole e dalla tua esperienza.