Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Andrea Pellegrino, tennista italiano classe 1997 e giovane promessa della Next Gen italiana.
Ciao Andrea, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco. Iniziamo questa chiacchierata in cui parleremo di cancro e di tennis. Per avvicinarci a questo obiettivo, è bene che ci conosciamo meglio: raccontaci qualcosa di te che non riguarda la tua attività sui campi. Chi è Andrea Pellegrino quando non ha una racchetta da tennis in mano?
Sono un ragazzo pugliese a cui piace il tennis anche quando è fuori dal campo: mi capita spesso infatti di seguire le partite in televisione dei tornei più importanti. Però non amo molto stare in casa a passare il tempo o sul divano a giocare alla playstation, preferisco uscire, andare per negozi, stare con gli amici. Sono un po’ iperattivo fisicamente, e quando mi è possibile pratico anche altri sport, soprattutto mi piace giocare a calcio. Son queste le cose che mi piace fare quando posso staccare qualche giorno e restare a casa con i miei affetti.
Nell’arco dell’anno, quanto tempo riesci a trascorrere a casa senza muoverti per i vari tornei in giro per il pianeta?
Pochissimo, circa un mese al massimo.
In oncologia, la casa è la sede degli affetti. Le persone che affrontano il cancro conoscono molto bene la contrapposizione tra il ricovero in ospedale e la possibilità di stare a casa; poter condividere la propria quotidianità a contatto con le persone e gli oggetti che si ama, è un aspetto fondamentale per lo stato d’animo: passare la serata con i familiari, fare le coccole al proprio cane, poggiare la testa sul proprio cuscino sono tutti dettagli di grandissima importanza.
Racconto una cosa che non tutti sanno. Quando ero più piccolo, avevo circa 10 anni, per uno-due anni ho avuto le piastrine molto basse e spesso mi ritrovavo ricoverato con una flebo al braccio. Ho vissuto tanto tempo nei reparti di ematologia pediatrica, ho condiviso le emozioni con i coetanei che erano ricoverati per un tumore. Ho conosciuto lì l’importanza degli affetti, della vicinanza e le difficoltà della distanza forzata, sia dalla mia esperienza, seppur di minore gravità, sia guardando gli altri bambini. Ho avuto la presenza di mia madre accanto a me nei ricoveri che è stata fondamentale, perché sei costantemente sottoposto a stress e paure non indifferenti: prelievi, punture, visite, controlli.
Attualmente in Italia, oltre il 70% delle persone che ricevono una diagnosi di tumore sopravvive; non è un risultato che può soddisfare, c’è molto lavoro da fare per abbassare la quota di quel restante 30%. Anche se nella maggior parte dei casi la medicina offre strumenti per sconfiggere la malattia, ci sono persone che lavorano per screditarne i risultati e proporre cure alternative senza alcuna base scientifica ad altissimi costi, primo fra tutti quello della salute. Questi venditori di illusioni sono una minaccia difficile da isolare soprattutto quando i risultati della medicina non avvicinano alla sopravvivenza. Ti è mai capitato nella tua carriera tennistica di essere avvicinato da personaggi che ti proponessero scorciatoie pseudoscientifiche per raggiungere i risultati?
Sì, c’è qualche esaurito che pensa di sapere e ti fa proposte senza alcuna base di conoscenza, se tu li senti parlare di tennis, capisci che si tratta di gente che non ha mai giocato o addirittura che non ha mai visto una partita. Non so cosa passi loro per la testa ma queste persone si permettono di dare giudizi su cose che non conoscono. Io sono sempre stato diffidente, nel senso che mi fido solo di me stesso. Inoltre, ho un carattere molto forte, quindi è difficile che mi faccia coinvolgere dalle persone. Certo, ci sono atleti più fragili che, come succede nella medicina, vengono attirati da queste illusioni. Secondo me, devono essere brave le persone dell’entourage (l’allenatore, i genitori, lo staff che ti segue) a tenerti fuori e ad indicarti qual è la strada da seguire. Per raggiungere il tuo obiettivo non ci sono scorciatoie: ti devi sempre fare un culo così.
Ci sono dei momenti di svolta nel percorso delle terapie oncologiche di una persona malata di cancro, rappresentati dagli esami di controllo. Queste persone fanno dei lunghi periodi in cui non si sa come sta andando la malattia perché vi sono i cicli di terapia, di chirurgia se necessario e poi si arriva agli esami di controllo che ti guardano dentro e ti dicono come stanno le cose. La grande difficoltà è quella di aiutare i pazienti a capire che non è detto che la svolta si presenti al primo esame di controllo. Quando tu da tennista entri in tabellone con una wild card, hai un’opportunità di guadagnare punti superiore alla tua reale posizione di classifica: come gestisci la speranza di avere risultati importanti prima del previsto?
Quando ricevi una wild card in un torneo importante e riesci a fare dei risultati, questi ti portano ad avere tanta fiducia. Però è più probabile che incontrando avversari più forti tu perda e debba in realtà gestire la sensazione di aver perso una chance. Ovvio, subito dopo la sconfitta, ci rimango male e mi girano, però non sono uno che sta lì giorni e giorni a massacrarsi il cervello perché ho perso una singola opportunità. Ho la fortuna di avere un allenatore molto bravo che sa gestirmi bene ed il giorno dopo sono ancora lì ad allenarmi per cercare di rigiocarmi la prossima occasione. Questo aspetto di cui mi parli l’ho vissuto molto anche da piccolo: quando passavo una settimana in ospedale, il valore delle mie piastrine recuperava velocemente. Mia madre, ovviamente, era contentissima; poi, dopo un po’ di tempo, andavi a fare gli esami ed il valore tornava bassissimo. Devi allenare subito la mente e capire che un risultato parziale non significa raggiungimento dell’obiettivo, le strade sono sempre lunghe.
Qual è il tuo sogno in questa storia tennistica?
Diventare giocatore professionista
Quanto sono importanti nella carriera che ti stai costruendo le figure per te di riferimento?
Tantissimo! Mia madre soprattutto, è lei la persona di cui mi fido di più. Quando sono in difficoltà, l’unica persona che sento è lei. È sempre prodiga di consigli e i suoi insegnamenti sono importantissimi, sono gli unici che seguo davvero fino in fondo. E poi, durante i miei brevi soggiorni a casa, lei mi tratta come un principe.
In psiconcologia, è fondamentale offrire strumenti al paziente e alla sua famiglia per affrontare i momenti di sconforto, quelli in cui i risultati sembrano non arrivare ma per i quali è fondamentale continuare a curarsi e a crederci. Come funziona questo aspetto nel tennis? A cosa ti aggrappi tu quando i risultati non arrivano?
È una situazione che nel tennis succede a tutti: periodi dove non vinci mai una partita fanno sì che tu possa pensare anche di smettere, che il tennis non fa per te. Con gli sforzi che uno fa tutti i giorni, giri, non sei mai a casa, non sei mai con i tuoi cari, con la tua ragazza, è difficile crederci se sul piatto ci devi mettere un percorso faticoso che non sembra darti risultati. Inizi a mettere in discussione il tuo ruolo. Devi aggrapparti al lavoro, al percorso, alle figure di riferimento valide. Perché poi, se insisti lavorando bene, succede anche il contrario: quando meno te l’aspetti, i risultati arrivano. E lì la fiducia ti dà una mano, e ti ripaga di ogni sacrificio, di ogni sofferenza. Devi saper gestire questi sbalzi, perché quando vinci rischi di sentirti una divinità, quando perdi ti sembra che a nessuno nel circuito importi più nulla di te. Devi trovare il tuo equilibrio, perché su di esso ti poggerai nei momenti più difficili.