Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della propria carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Antonello Riva, leggenda del basket italiano, campione europeo con la Nazionale Italiana nel 1983 e detentore del record di punti segnati nella storia del campionato di Serie A.
Ciao Antonello, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco, dove la tua carriera da cestista sarà uno strumento per raccontare la vita quotidiana delle persone che affrontano un tumore. Per iniziare questo percorso insieme, entriamo in un clima di conoscenza più approfondita: raccontaci come si svolge attualmente la tua personale vita di ogni giorno, a distanza di anni dalle tue ultime apparizioni sui campi da basket.
Un saluto a tutti i lettori di Atleti al tuo fianco. La mia vita in questi ultimi tempi è molto cambiata: dopo alcuni anni da dirigente sportivo ho avuto la fortuna di incappare in un’azienda tedesca desiderosa di espandersi sul territorio italiano. L’impresa in questione mette sul mercato prodotti che vanno ad integrare la nostra alimentazione e, dopo averli provati con mia moglie, abbiamo iniziato a farli conoscere su larga scala. Oggi, dopo quasi cinque anni, posso dire di essere molto soddisfatto della mia nuova occupazione. La prima fase della mia vita, quella da giocatore di basket, è stata favolosa e non cambierei una virgola di ciò che ho vissuto, però il mio tempo era gestito da scadenze molto strette, all’interno delle quali io non avevo un grande margine di autonomia. Questa mia attività invece ora mi ha regalato una libertà nuova: la gestione del tempo, pianificando il lavoro e i momenti liberi nelle giornate e nelle settimane. È una novità che non mi sarei aspettato e che ha portato un elemento innovativo nelle mie abitudini di vita.
Una persona che riceve una diagnosi di cancro, vede le proprie certezze messe in totale discussione: un tumore fa subito pensare alla possibilità di non sopravvivergli, rende malsicura la tua vita stessa, ma per quanto potere abbia questo dubbio, il disagio quotidiano non è solo questo. Il lavoro, le spese, gli spostamenti da casa, le relazioni: l’esistenza viene cambiata da regole non scelte. È fondamentale aiutare paziente e famiglia nel percorso di adattamento quotidiano a nuove situazioni, nelle quali si è chiamati ad evolvere, a volte con molta fatica. Nella tua storia sportiva, hai avuto una carriera lunghissima, sempre ai vertici, durante la quale hai scritto record incredibili della pallacanestro italiana. A fine carriera, hai avuto la possibilità di scegliere un grande cambiamento lavorativo. Quali aspetti del basket sono stati a te utili per affrontare un’avventura totalmente diversa dall’ambiente in cui ponevi le tue certezze?
La pressione a cui è sottoposto un paziente ammalato di tumore non è paragonabile a quella che vive un giocatore di basket, questo è indiscutibile. Però, la pallacanestro ti allena in ogni gara ad avere la mente sottomessa ad una dose, minore ma comunque imponente, di stress. Se tu giochi male una, due, tre partite, alla quarta ti tolgono lo spazio che con tanta difficoltà ti eri conquistato. Sei sempre sotto esame, in ogni gara, in ogni quarto, in ogni tiro. C’è un elemento che mi ha aiutato fortemente per gestire questa sensazione di pressione: pormi un obiettivo finale, intervallato però da tanti altri obiettivi meno lontani. Questo modo di ragionare e di vivere l’ho poi trasposto anche nel momento in cui ho dovuto fare il mio cambiamento di vita: abbandonare un ambiente in cui mi sentivo forte e sicuro, per buttarmi in un mondo a me totalmente sconosciuto, sicuramente non è stato un passo facile, sebbene fosse da me scelto. Volere fortemente raggiungere un obiettivo, dare una svolta alla mia esistenza, mi ha però dato la forza necessaria per valutare e provare ad intraprendere una nuova strada.
Chi vive il percorso di chemioterapia, radioterapia o immunoterapia, intravede molto lontana l’uscita dal percorso; le difficoltà sembrano insormontabili, se osservate tutte nello stesso momento. È basilare imparare ad affrontare ogni giorno preso singolarmente, con le sue difficoltà e i suoi sollievi, con le sue gioie e i suoi ostacoli. Il raggiungimento della distante meta sarà la successione di tanti singoli giorni affrontati. Concentrandoci sulla tua carriera sportiva, tu detieni il record di 14397 punti segnati nella storia della Serie A, nessuno mai più di te. Come ti saresti sentito se ad inizio del percorso da sportivo ti avessero detto “devi riuscire a segnare 14397 punti”?
Sarebbe come se prendessi una qualsiasi persona e le dicessi “ok, dobbiamo scalare l’Everest”: c’è bisogno di un percorso di preparazione. Diventa difficile pensare di raggiungere un obiettivo così alto, anche perché le componenti in gioco sono tantissime e non tutte poste sotto il nostro controllo. Quello che potremo dire è che, una volta scelto il percorso, è possibile raggiungere un altissimo livello, ma a condizione di aver mosso un singolo passo dopo l’altro, con un lavoro quotidiano di preparazione, alimentazione e riposo. Percorriamo con pazienza questo tragitto e, con il tempo, arriveremo al risultato. Se io sono riuscito a raggiungere un traguardo così complicato, devo molto alla mia famiglia, che mi ha trasmesso un profondo senso del dovere, del lavoro e dell’impegno: ho sempre dato il 100% in ogni situazione. Poi vi è la caparbietà, la testardaggine nel voler perseguire e raggiungere un determinato obiettivo. Il sogno che avevo davanti agli occhi mi forniva la “benzina” per non risparmiarmi mai, pur di farlo divenire realtà: questo aspetto mi ha dato la spinta, ogni singolo giorno.
Essere stati male dopo una tappa di chemioterapia rischia di avvicinare all’appuntamento successivo con molta apprensione. Solitamente però, gli effetti collaterali non si presentano allo stesso modo ma sono variabili: è importante resettare le scorie mentali e le paure, figlie della fase precedente, per avvicinarsi alle nuove sedute in modo determinato e più sereno, anche se questo richiede molto lavoro. Nel basket, come aiutavi la tua mente a liberarsi dagli strascichi generati da un errore commesso o da un evento negativo incontrato nel corso della gara?
L’attitudine mentale è fondamentale. Prendiamo l’aspetto del tiro a canestro: non devi soltanto allenare il gesto meccanico, che certo rimane estremamente importante e ti dà una base di sicurezza, ma a questa azione bisogna aggiungere l’allenamento che verte sulla dimensione emotiva. Io posso tranquillamente mandare a segno dieci tiri in qualsiasi momento dell’allenamento, ma quando devi scoccare un tiro decisivo ad un secondo dalla fine del match, con la tua squadra sotto di un punto, il discorso cambia totalmente! C’è questo aspetto dello sport che non è riconducibile solamente alla meccanica, all’ambito prettamente fisico, quanto alla sfera delle emozioni. Come faccio ad arrivare preparato a quel momento? Ancora una volta attraverso l’allenamento! Se in settimana ho sempre dato il massimo, nel momento in cui la squadra mi chiede quella determinata cosa sarò preparato per essere nelle migliori condizioni, pronto ad assumermi quel tipo di responsabilità. La mia preparazione sarà lo strumento su cui potrò poggiare il mio agire, impedendo all’insicurezza e alle scorie negative di influenzare o addirittura dominare il mio gesto.
Per i pazienti oncologici è importante la preparazione ma, al tempo stesso, la psiconcologia deve allenare la dote dell’adattamento: una parte di eventi infatti è costantemente imprevedibile, bisogna riuscire ad affrontarla adattandosi velocemente ad essa, con elasticità e anche capacità di improvvisare. Nel basket, all’interno di 24 secondi si svolge un’intera azione d’attacco: quanto di quello che vediamo è preparato nei minimi dettagli e quanto è invece improvvisato dall’atleta nel momento in cui, giocando, decide?
Il basket è uno sport velocissimo in un campo di gioco molto ristretto, quindi l’improvvisazione ricopre un ruolo preponderante, ma dietro ad essa ci deve essere sempre un certo tipo di preparazione. Io devo essere lucido e pronto perché, banalmente, se sto facendo un tragitto lineare e ho un avversario di fronte, io non posso travolgerlo. Queste decisioni vanno prese in una frazione di secondo e l’improvvisazione deve inserirsi all’interno di qualcosa di organizzato. Se, per esempio, anziché andare a destra decido di dirigermi a sinistra, perché ritengo che lì le condizioni siano migliori, tutti i miei compagni sanno che anche loro dovranno muoversi in un determinato modo: io ho la libertà di fare quel movimento a sinistra proprio perché con la squadra l’ho provato innumerevoli volte in allenamento. È improvvisazione dentro all’organizzazione, un concetto non può mai escludere l’altro.
L’isolamento è un nemico molto temibile in oncologia: a volte ci si sente soli in una stanza di ospedale, altre si percepisce la stessa sensazione perché ci si vede poco compresi nelle emozioni, a volte addirittura evitati. La nostra presenza è fondamentale accanto a chi sta affrontando un tumore, sia come persona d’affezione se è un nostro parente, sia come società civile schierata per una qualità della vita migliore per ogni ammalato. Da giocatore di pallacanestro, quanto chi ti ha sostenuto, da vicino e dagli spalti, ha contribuito a farti diventare una persona in grado di scrivere la storia del basket italiano?
Il sostegno è stato fondamentale, dico davvero. La mia prima tifosa è stata mia moglie e il suo appoggio mi è sempre servito da sprone: mi trasmetteva tranquillità e allo stesso tempo gli stimoli giusti per tirare fuori il meglio da ogni mia prestazione. Questo lo trovi, in primis, nelle persone che ti stanno accanto. Poi è normale che, in seguito, questo impulso venga amplificato dalla tifoseria, dai gruppi organizzati, dalla gente che sta sugli spalti. Confesso che, per quanto mi riguarda, ho tratto una grande forza anche dalle urla dei tifosi avversari: sentire i cori ostili e capire di avere l’attenzione focalizzata su di me è sempre stato un ulteriore stimolo a fare bene. Poi certo, trovandoti sempre a camminare sul filo del rasoio, ogni incitamento è anche una pressione in più che hai sulle spalle! È un aspetto molto importante e anche molto difficile da gestire che però, per quanto mi riguarda, è sempre stato tenuto a bada dalla consapevolezza di avere la coscienza pulita in termini di preparazione. Per arrivare pronto ad un appuntamento sportivo io dovevo aver riposato, essermi alimentato in maniera corretta e aver fatto i test necessari: nel caso avessi soddisfatto queste condizioni, riuscivo ad affrontare con grande tranquillità tutte le situazioni che mi si ponevano davanti. Predisporsi bene nelle fasi precedenti di un evento permette di affrontare con maggiore serenità appuntamenti delicati e i benefici conseguenti alla preparazione migliorano la qualità del tuo percorso, immediata e a lungo termine.