Atleti al tuo fianco: Cristian Casoli

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Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della propria carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Cristian Casoli, pallavolista italiano, schiacciatore della Pallavolo Medea Macerata, vincitore di due World League con la maglia della Nazionale Italiana.

Ciao Cristian, benvenuto nella squadra di Atleti al tuo fianco, dove la storia agonistica degli sportivi diventa spunto per raccontare la quotidianità delle persone che stanno lottando contro il cancro. Per entrare in atmosfera e raggiungere insieme questo obiettivo, proviamo a conoscerti meglio nella tua vita di oggi. Tu da quest’anno giochi in serie B a Macerata: è cambiato all’interno della tua quotidianità il tempo dedicato all’attività lavorativa sul campo rispetto a quando giocavi in serie A?

Ciao a tutti, sono molto felice di prendere parte a questa iniziativa. In effetti la mia quotidianità odierna in serie B è sicuramente diversa rispetto a quella del passato, quando militavo in serie A. La grande differenza si avverte per quanto riguarda il numero degli allenamenti che sono meno numerosi, soprattutto quelli che si svolgono di mattina. Noi giochiamo il sabato quindi abbiamo due giorni di riposo, la domenica ed il lunedì. Gli allenamenti del martedì e il giovedì sono dedicati maggiormente al potenziamento ed alla parte tecnica, mentre il mercoledì ed il venerdì abbiamo un solo allenamento. Questa è la mia settimana tipo, comunque totalmente incentrata sulla pallavolo.

Entriamo in ambito psiconcologico. Una persona che affronta un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore al seno, alcune volte deve togliere anche dei linfonodi nella zona dell’ascella. Questo può causare un disturbo chiamato “linfedema”: il braccio si gonfia e necessita di terapie specifiche per recuperare una piena funzionalità, spesso anche quando si è guarite dal tumore mammario di partenza. Quando il corpo non è più esattamente quello di prima, è fondamentale entrarvi in armonia, per aiutarlo a recuperare l’efficienza senza perdere la serenità. Tu oggi hai 43 anni: come vivi la prestazione sportiva con un corpo che non è quello che avevi a disposizione vent’anni fa?

A 43 anni, mi accorgo che ciò che è maggiormente cambiato è la tempistica per il recupero: faccio più fatica ad azzerare la fatica, anche se credo che ciò sia normale. Per essere comunque efficiente, mentalmente mi convinco che io stia bene, in qualsiasi condizioni di fatica senta ancora il mio corpo, mi preparo caricandomi per andare all’allenamento, con la chiarezza totale delle mie possibilità odierne. A vent’anni il tuo corpo risponde splendidamente al lavoro che fai tutti i giorni e ogni miglioramento è possibile, mentre a 43 il fisico non reagisce più come prima, non è sempre un alleato nella fatica. All’epoca mi alzavo la mattina e avevo un obiettivo unico: allenarmi e giocare, dare il massimo e migliorarmi, sempre: i risultati incoraggiavano, ma non bisogna basare tutto solo su quello, perché anche il percorso per raggiungerli è determinante. Io oggi, anche se il mio corpo non è più quello di un tempo, mi sento leggero e libero e la mia strategia in questo senso è di andare avanti e affrontare la vita giorno per giorno, cercando di migliorare anche quel poco che mi è concesso, senza paura.

In oncologia, spesso le percentuali di sopravvivenza orientano una persona sulla probabilità di guarire o meno da un tumore; ad oggi, oltre il 60% delle persone che ricevono una diagnosi di cancro va in contro alla guarigione. Quando però la diagnosi iniziale è sfavorevole, le percentuali sembrano improvvisamente diventare dei nemici, anche se quei numeri raccontano la storia di altre persone, non quella del paziente che li sta leggendo: la sua è ancora tutta da scrivere. Ti è mai capitato, quando eri più giovane, che ti venisse pronosticato che non saresti potuto diventare un giocatore di pallavolo?

Sì, mi è successo spesso, perché per il mondo della pallavolo io non sono un giocatore molto alto. Da ragazzino, la statura era il primo elemento di valutazione per fare una proiezione nel futuro: io ero forte ma ero considerato un po’ troppo piccolo, senza alcuna ombra di dubbio. Io mi sono sempre difeso guardando avanti, rimanendo positivo, divertendomi mentre semplicemente giocavo a pallavolo, questo non è cambiato nemmeno oggi: io mi diverto giocando, perché il volley mi riempie. Mi sentirei sicuramente più vuoto senza il campo, i tifosi, le persone vicine. Insomma, non sono ancora pronto per smettere! Ho sempre cercato di accantonare le cose negative poiché l’essere positivo aiuta molto, e così ho scritto la mia personale storia contro i pronostici iniziali, ma anche quelli finali: a 43 anni, questo racconto di vita pallavolistica è ancora in corso, in pochi lo avrebbero previsto.

La psiconcologia aiuta le persone a rimpadronirsi della qualità della propria vita, tenendo lontane pressioni che rischiano di comprometterla, come quando ad esempio si aspetta il referto di un esame di controllo. È fondamentale conoscere a fondo le proprie emozioni per guidarle in momenti che sono cardinali per la vita tua o di una persona a te cara. Tu hai giocato in grandissime piazze come Cuneo, Treviso, Modena, città storiche del volley abituate a giocare per vincere. Quanto la pressione per la vittoria ha aiutato a raggiungere i traguardi e quanto, invece, è stata un nemico della qualità del vostro gioco?

Far parte di una squadra, aiuta a gestire la pressione, perché ti accorgi che non sei solo ad affrontarle ma che puoi contare su persone al tuo fianco, con cui condividi i timori ma anche gli obiettivi da raggiungere. Nelle grandi società c’è moltissima pressione, poiché queste squadre sono costruite per vincere, per cui non è sempre facile gestirne le tensioni, anche se si è in gruppo. Noi le abbiamo sempre affrontate portando l’attenzione sull’allenamento quotidiano, dando il massimo in palestra giorno dopo giorno. La forza del gruppo si è dimostrata fondamentale in ogni situazione e le debolezze dei singoli venivano così compensate dagli altri compagni, portando al risultato di squadra. Anche oggi, in serie B, a Montalbano, in certi momenti si sente la pressione, perché l’obiettivo è salire di categoria. Certo, oggi la sento meno di un tempo grazie all’esperienza, ho imparato a lavorare tranquillamente per raggiungere l’obiettivo, ma ciò non toglie che il nostro obiettivo è di vincere per guadagnare la promozione e, in certi momenti determinanti delle sfide, bisogna essere capaci di trasformare questa pressione in motivazione: la sua forza non ti deve comprimere, ma ti deve offrire una spinta verso l’alto per raggiungere il traguardo fissato.

La pressione e la tensione mentale spesso condizionano profondamente le azioni quotidiane, gesti che hai sempre fatto, situazioni che hai sempre vissuto, che rischi di non riuscire più a comandare. La psiconcologia ti offre strumenti per recuperare la lucidità e l’autonomia necessaria per dominare queste emozioni. Nella pallavolo, eseguire un gesto come una ricezione o una schiacciata sul 13-13 del tie-break, richiede un dominio particolare della tensione rispetto ad un altro momento della partita?

Domanda tosta, perché senza dubbio questa è una chiave della pallavolo: essere performanti anche quando la tensione per l’importanza del punto ti sembra paralizzare. Ciò che ti permette di uscire da queste situazioni è l’allenamento tecnico precedente, intenso e costante. Più volte riesci a ripetere il gesto sotto pressione, quando sei stanco e un po’ confuso, meglio riuscirai ad eseguirlo in partita nei momenti chiave. Ora, con l’esperienza maturata, capisco queste situazioni e le leggo in anticipo, grazie soprattutto alla ripetizione incessante che ha scolpito il mio modo di eseguire quel gesto. Quella soluzione può essere quindi utilizzata per ogni frangente, anche quello più difficile, dove la tensione è maggiore. Ma dietro al gesto che ti salva, c’è la preparazione, l’analisi, il confronto con se stessi, l’interiorizzazione dei successi e dei fallimenti. I grandi traguardi non si tagliano per caso: per questo è necessario prepararsi, e affidarsi nelle mani di chi ti sa preparare bene.

Curare la propria salute spesso viene inteso come privarsi di piaceri; la prevenzione, al contrario, deve essere un insieme di scelte finalizzate alla qualità della vita, al piacere di vivere. Alcune volte costa delle privazioni, ma non sempre: ci vuole equilibrio tra scelte e concessioni, mirando ad uno stato psico-fisico sano da impiegare al servizio della qualità della propria vita. Per avere una carriera sportiva così lunga e al tempo stesso performante, ci sono stati dei comportamenti che hai dovuto tenere? E ci sono state anche privazioni? 

Ogni giorno è necessario lavorare a livello fisico per non avere dei cali, curandosi con attenzione: ma giustamente, non bisogna accantonare i piaceri della vita, perché sei un costante equilibrio tra corpo e mente. E anche il tuo corpo ha bisogno di sentire che sei felice. Due anni fa, quando ero a Vibo Valentia, un professionista ci ha indotti a seguire un particolare regime alimentare e devo ammettere che mi sono trovato benissimo perché, nonostante prevedesse alcune privazioni, mi accorgevo di disporre di molta più energia. Io nella mia vita non sono stato un trasgressivo, però andare a cena con gli amici e togliersi dei piaceri è una cosa che faccio ancora oggi e ciò non influisce sul mio rendimento. È chiaro che ci sono momenti in cui questo si può fare e altri no: tutta la vita è un equilibrio fra concessioni e privazioni, ma se hai scelto di fare l’atleta professionista devi sapere cosa e quando concederti. Però, è fondamentale sentirsi felici mentre fai una cosa: io, da sempre, quando gioco a pallavolo, lo sono. Per questo trovo ancora la forza e l’entusiasmo di farlo anche oggi, a 43 anni.

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