Atleti al tuo fianco: Emiliano Viviano

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Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando un tumore: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari (BS) con diploma d’alta formazione in Psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere una quotidianità affrontando il cancro. Oggi partecipa a questa sfida Emiliano Viviano, portiere italiano per sei volte estremo difensore della Nazionale.

Ciao Emiliano, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco. Oggi parleremo di calcio in un modo diverso dal solito: l’obiettivo sarà raccontare alcuni aspetti della vita quotidiana di chi sta combattendo contro il cancro, partendo da pretesti di dialogo offerti proprio dallo sport. Offriremo spunti di riflessione e ispirazione ma faremo anche cultura, presentando aspetti non sempre conosciuti da chi non è a contatto quotidiano con persone e famiglie che lottano contro il tumore. Per avvicinarci insieme a questo obiettivo è importante creare il clima giusto: partiamo quindi da te, dalla tua vita e dalle tue parole. Raccontaci qualcosa di te, Emiliano Viviano: chi sei fuori dai campi di calcio, quando hai posato il borsone della tua squadra?

Ciao a tutti, sono felice e onorato di partecipare a questa iniziativa. Posso raccontarvi qualcosa della mia vita al di fuori dal campo, che è un’esistenza del tutto normale a dispetto del mio mestiere. Mi piace la lettura, il buon cibo e il buon vino, amo frequentare posti normali, ad esempio mi piace molto girare le sagre di paese. Ho amici di ogni tipo di latitudine, avendo avuto la possibilità grazie al calcio di girare il mondo, e mi trovo bene con un sacco di persone anche al di fuori di questo sport. Cerco di convivere in una maniera più naturale possibile con lo status di essere una persona famosa, perché in realtà sono una persona normale che fa quello che chiunque potrebbe fare.

Entriamo ora nel percorso che ci porterà all’obiettivo di questa iniziativa. Per una persona che affronta un percorso lungo come la battaglia contro il cancro, è fondamentale imparare a gestire le proprie emozioni, riuscendo a creare un punto di equilibrio su cui farle poggiare. Gli squilibri emotivi, sia di entusiasmo sia di scoramento, sono molto pericolosi e rischiano di destabilizzare pericolosamente chi non riesce a limitarli. Tu sei un portiere: quanto è importante riuscire a mantenere le emozioni salde fino al fischio finale di una partita, sia dopo un errore grave, sia dopo una parata difficilissima?

Se sei un portiere, con il tempo devi imparare a reagire dopo un errore alla stessa identica maniera in cui reagisci dopo una grande parata. Non si può avere un cambiamento di stato d’animo, bisogna pensare solo all’obiettivo definitivo, che per un calciatore è sempre la vittoria finale, per cui non ci si può gettare nello sconforto per un errore, non ci si può esaltare per una prodezza. In Serie A a livelli così alti, la differenza tecnica fra i diversi portieri delle diverse squadre non è così marcata, perché se arrivi a un certo livello è perché sei forte. La difformità spesso risiede nell’ambizione: migliorare, voler vincere e contemporaneamente diventare sempre meglio di quanto non si fosse prima. Io ho avuto la fortuna di giocare con grandissimi giocatori e grandissimi campioni, sono stato in nazionale con gente che ha vinto qualsiasi cosa potesse vincere: quel che però mi impressionava era l’approccio di questi giocatori alla quotidianità, persone che hanno vinto scudetti, Champions League e mondiali ma che ogni giorno, ogni allenamento scendono in campo esattamente come se fossero dei ragazzini con ancora tutto da costruire e da raggiungere: questa secondo me è la differenza tra un giocatore che ha grandi qualità e un vero campione. Proprio con questo esempio davanti ho capito che non si può e non ci si deve far influenzare dai risultati parziali anche di fronte a grandissimi obiettivi raggiunti: ogni giorno tutto viene rimesso in discussione e non ci si può far abbattere da momenti negativi né ci si può far illudere o esaltare da situazioni positive che restano comunque importanti ma transitorie. Il vero unico obiettivo è un traguardo finale che si raggiunge nel tempo costruendolo ogni singolo giorno, ogni singola partita, ogni singolo allenamento, nello sport come nella vita.

All’interno di una struttura ospedaliera è fondamentale ricordarsi che oltre all’aspetto medico e clinico, per il paziente e i suoi familiari ha una grandissima importanza l’ambiente, come ti accoglie, come ti fa sentire considerato, per certi aspetti anche coccolato in un momento delicatissimo della tua vita. Quanto è stato importante per te, nel corso della tua carriera fino ad oggi, esprimerti in un contesto che credesse in te e che ti offrisse le migliori condizioni ambientali possibili?

Quello che stai dicendo, non è importante, è fondamentale. Io vivo il mio mestiere di emozioni e devo dire che ho avuto la fortuna di essermi trovato molto bene in quasi tutti i posti in cui mi sono trovato a giocare. Mi sono sempre sentito benvoluto, in qualsiasi regione o nazione mi sia trovato a giocare; con quello che può apparire come un semplice gruppo di lavoro, con la squadra, lo staff e anche i tifosi, io ho sempre sentito un profondo rapporto di scambio, di simbiosi. Per rendere bene, ma anche semplicemente per stare bene, la cura dei dettagli per far sentire una persona accolta è secondo me un elemento determinante, tanto nel mio lavoro quanto negli ambienti sanitari e ospedalieri.

E ti è mai capitato di vivere la situazione inversa, ovvero di non riuscire ad esprimerti alle tue potenzialità massime perché all’interno di un determinato ambiente non ti sentivi accolto, compreso e valorizzato come avresti desiderato?

No, perché non mi sentissi valorizzato direi di no, però per altre motivazioni sì: per un carico di pressioni eccessivo, per problemi fisici che mi hanno dato la sensazione di non riuscire ad esprimermi al meglio, questo sì. È ovvio che in un calciatore, perché possa concretizzare tutto il suo potenziale, ci debba essere uno status fisico sano, soddisfacente e ben preparato, ma a mio parere il 50% degli elementi che gli permettono di esprimersi in maniera ottimale risiedono nella testa, e in un portiere forse ancora di più. Se dovessi fare un esempio di questo, citerei il più forte giocatore con cui ho giocato in squadra che secondo me è Andrea Pirlo: tecnicamente è un calciatore fortissimo, ma posso dire che sul piano squisitamente tecnico ne ho conosciuti tanti, tantissimi altrettanto forti. La sua caratteristica incredibile rispetto a chiunque altro però è di far funzionare quella straordinaria tecnica ad una velocità e lucidità di pensiero impareggiabile per qualsiasi altro giocatore. Poi, sul piano fisico c’erano giocatori anche molto migliori di lui, ma diventava un calciatore determinante perché riusciva a cambiare il modo di giocare di un’intera squadra grazie alla sua testa, che è il posto di comando del suo grande bagaglio tecnico.

Anche in oncologia, la combinazione di stato fisico e stato mentale determina la qualità della vita quotidiana. È importante raccontare a chi non conosce la realtà dei tumori che non c’è solo la guarigione come obiettivo, ma anche un livello di qualità della vita soddisfacente, sia nella fase di terapia, sia una volta guariti. Alcune volte infatti possono esserci delle difficoltà fisiche da affrontare anche al termine delle cure, che è importante gestire sia sotto il profilo della loro natura corporea, sia dell’accettazione e governo emotivo della convivenza con esse. Tu hai affrontato nella tua carriera vari infortuni seri, e anche in questo momento stai recuperando dopo un intervento ai legamenti del ginocchio. Hai mai avuto paura di dover convivere con dolori che limitassero la tua vita sportiva una volta guarito?

Ti devo dire la verità, la mia fortuna è che non ci ho mai pensato. Sono sempre rimasto concentrato sui tempi di recupero, sull’attività da svolgere in maniera accurata perché essi potessero essere più rapidi; dentro di me ero, e sono, sempre pronto al rientro, perché è quello che voglio fare. Un infortunio non può fermare quello che provo dentro: ha il potere di fermare per un po’ di tempo il mio corpo, ma non la mia mente, i miei desideri, le mie passioni. Poi con questo non dico che un infortunio non possa interrompere una carriera: di casi simili, ce ne sono a decine. Però quel che intendo è che la tua indole orientata verso la sfida e verso il campo non può essere minacciata da un infortunio che è un evento esterno al tuo animo. E te lo dice uno che è in una lunga riabilitazione per la seconda volta, ma non mi è mai passato neanche un secondo per l’anticamera del cervello il dubbio di come ritornerò: sono sicuro che ritornerò al massimo, e in qualche modo anche meglio perché sono percorsi che forgiano in maniera ancora più solida la tua personalità.

La psico-oncologia è uno strumento fondamentale per fornire i mezzi a chi è guarito per mettere sotto controllo emozioni potenzialmente dilanianti come il timore di incontrare un giorno una recidiva. Tu hai dovuto ricostruire per la seconda volta il legamento crociato del ginocchio: davvero quando ti hanno detto che sarebbe stato da operare per la seconda volta non hai avuto un momento di tremore all’idea di dover riaffrontare tutto da capo?

In realtà è stato un percorso diagnostico abbastanza lungo e non improvviso: già quattro anni fa mi dissero che il mio legamento crociato non andava benissimo dopo il primo intervento. Io ho convissuto con questo legamento che si stava sfaldando per tutto questo tempo, consapevolmente. Quando ho deciso ora di operarmi per ricostruirlo per la seconda volta, nella mia mente mi sono sempre detto: l’ho già fatto una volta, vuol dire che sono in grado di affrontarlo. Certo, so che non è una passeggiata, ma l’ho già superato una volta: non ha il potere di spaventarmi. Mi ha già messo alla prova nelle sue difficoltà, che non sono certo piacevoli, ma gli ho già mostrato che sono più forte dei dubbi e dei pensieri negativi, lo farò un’altra volta. Adesso, a distanza di qualche mese dall’intervento, posso in effetti confermare che sta andando tutto per il meglio.

Per una persona che sta affrontando il cancro, non tutte le tappe però presentano la stessa intensità emotiva: ci sono momenti, come l’attesa di un esame di controllo o la consegna di un referto, che coinvolgono emozioni in maniera molto più intensa, ed è importante imparare le modalità per tenerle sotto dominio al fine di non farsi schiacciare completamente da esse. Tu vivi e giochi a Genova che è una città che presenta, nell’arco delle 19 gare un girone di campionato, una sfida completamente diversa come intensità emotiva: il derby Sampdoria-Genoa. Come tieni sotto controllo le emozioni nell’avvicinamento ad un appuntamento così importante sul piano sportivo?

Confermo, il derby non è in alcun modo una partita come le altre. L’atmosfera che c’è intorno a questa gara è qualcosa di incredibile e la tensione è in effetti molto elevata, però devo riconoscere che proprio per questo è una sfida che riesco a vivere con molta più lucidità, nel senso che una volta in campo la tensione accumulata si trasforma in una grandissima quota di attenzione e consapevolezza. Nei giorni prima della gara cerco di allontanarmi da queste tensioni, cercando di pensare che resta comunque una partita da tre punti come ogni altra ai fini della classifica; però tutti noi sappiamo che il valore che riveste nella città questa sfida è molto, molto più grande. Però una cosa di cui sono certo, è che nel derby alla fine vince chi è più lucido, cioè chi riesce a fare le cose più normali all’interno di una partita che normale non è.

Nelle famiglie ci sono reazioni diverse dei vari componenti nella gestione delle emozioni, e c’è spesso una persona che funge da ago della bilancia aiutando gli altri a trovare il proprio punto di equilibrio. Tu riesci ad aiutare anche i tuoi compagni nel trasformare la tensione in lucidità nel derby?

All’interno di uno spogliatoio ci sono moltissime personalità provenienti da vari angoli del mondo, per cui può esserci anche chi venendo da lontano non coglie immediatamente questa tensione speciale. Io la sento perché vivo la città di Genova molto profondamente, vivo le persone normali, giro i quartieri, il centro storico, tra i miei amici ci sono molti sampdoriani ma anche tanti genoani per cui conosco le emozioni della gente della città. Questo è secondo me un vantaggio, perché nelle difficoltà ti fa dare quel qualcosa in più che può diventare determinante, io sarei pronto a farmi staccare la testa pur di non prendere gol nel derby perché so cosa voglia dire per ogni tifoso sampdoriano un gol subito nel derby. Chi ci si avvicina per la prima volta venendo da lontano magari non coglie immediatamente queste sfumature emotive della città, ma in realtà poi ne viene coinvolto individualmente e autonomamente anche lui perché un derby può cambiare l’umore delle giornate dei tuoi tifosi per sei mesi, non puoi non accorgertene, e questo fa parte del bello di questo fantastico sport.

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