Atleti al tuo fianco: Jacopo Berrettini

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Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Oggi prende parte a questa sfida Jacopo Berrettini, giovane promessa del tennis italiano.

Ciao Jacopo, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi parleremo di tennis in un modo completamente diverso dal solito, perché sfrutteremo le circostanze sportive che tu vivi ogni giorno da atleta come pretesto per raccontare alcune situazioni di chi combatte contro il cancro quotidianamente. Prima di ogni cosa però vorrei che tutti ti conoscessero meglio, dandoci modo di avvicinarci a te come ragazzo prima ancora che sportivo: presentati ai lettori della nostra iniziativa raccontandoci chi sei al di fuori dai campi da tennis.

Ciao a tutti, mi chiamo Jacopo Berrettini, sono un ragazzo di 18 anni; da due anni ho deciso di intraprendere il percorso del professionismo tennistico e per fare questo ho dovuto lasciare parzialmente la scuola. Fuori dal campo mi piace essere tranquillo, cercare soprattutto di rilassarmi e recuperare le energie spese sul campo. Amo uscire con la mia ragazza, stare con la mia famiglia e i miei amici senza fare cose eccessive: non amo le discoteche, preferisco il cinema che mi rilassa e rasserena di più.

Tu sei un giovane atleta che si sta affacciando al professionismo sportivo: sfruttiamo il tuo percorso per parlare di tumori infantili. In Italia ogni anno si registrano circa 2000 casi di cancro nell’infanzia e nell’adolescenza; i progressi della ricerca portano a guarigione quasi l’80% dei casi (dati AIRC), ma se tanto è stato fatto per migliorare nel tempo questo dato, la strada da fare è ancora molta. Molti ragazzi che affrontano il cancro raccontano che riescono a rinunciare a molte cose nel percorso della terapia, ma il sacrificio più difficoltoso è l’allontanamento forzato dal proprio sport praticato e amato. Nel corso della tua vita, ti si è mai verificata una situazione, di salute o altro, che ti abbia forzatamente tenuto lontano dai campi da tennis?

Posso solo immaginare e capire quanto sacrificio possa costare a dei ragazzi come me ai quali viene tolta la possibilità di praticare il proprio sport nei periodi delle terapie, abbinato poi a molte altre emozioni di un momento così delicato. Io nel corso della mia carriera ho affrontato infortuni di piccola o media intensità, che mi hanno tenuto lontano dai campi per non più di tre settimane. Eppure già per un periodo così breve e con la consapevolezza di danni non gravi, sentivo la frustrazione di non poter fare ciò che più mi piace al mondo. In quei periodi, cercavo comunque di andare fisicamente al circolo, anche se non potevo nemmeno prendere in mano la racchetta, però stavo sul campo con i maestri, anche solo a parlare, guardare gli altri, dialogare con loro; senza il tennis, il valore delle mie giornate cambia, e quando una malattia o un infortunio ti allontanano da ciò che ami fare, dentro di te non c’è un solo secondo durante il quale non pensi a quando ritornerai in campo.

Esiste un momento particolare nel corso della convalescenza nel quale tu senti che il tuo corpo sta bene ed è in fase di guarigione completa, ma il medico non dà il via libera per riprendere l’attività sportiva per attendere la più completa e totale remissione. Come hai vissuto questi momenti nella tua giovane carriera, riesci ad accettare il freno cautelativo dei medici?

Ho conosciuto anch’io questa sensazione ma devo dire che sono riuscito ad accettare qualsiasi imposizione mi abbiano posto i medici: certo non è facile perché tu ti senti pronto e pensi che l’attesa sia finita, però io credo che ci si debba fidare e affidare nelle mani di chi ha studiato questo ed è competente per rimetterti non solo nelle migliori condizioni ma anche al momento più idoneo, di nuovo sul campo a giocare. Magari ti tocca tornare in infermeria, prolungare una terapia e questo non è facile da mandare giù, ma tutto sta nel rapporto di fiducia che instauri con le persone che si prendono cura di te: al mio circolo io mi sono sempre trovato benissimo con lo staff tecnico e sanitario e questo ha influito notevolmente per poter accettare qualsiasi tempistica di rientro.

Per una persona ammalata di cancro, la famiglia è la casa dei sentimenti, un nucleo che si consolida attorno alla battaglia contro il tumore. Tu prima ci hai detto che ti piace stare con la tua famiglia, nella quale c’è Matteo Berrettini, tuo fratello maggiore di due anni che è un forte tennista italiano vicino ai top 200 al mondo: avere nel tuo nucleo familiare chi sta anticipando quello che tu vorresti compiere, ti genera più difficoltà e apprensione o fiducia e positività?

Con mio fratello Matteo ho un bellissimo rapporto, non c’è stato un solo giorno nel quale io possa aver provato gelosia o invidia per la sua carriera. Da fuori qualcuno potrebbe pensare che non sia bello avere davanti i risultati di un fratello o venire presentato come “il fratello di Matteo”, ma quando hai alle tue spalle una famiglia sana e unita, puoi solo gioire per i successi raccolti da tuo fratello. Io non ho mai pensato di dover fare la sua carriera, i nostri allenatori ci trattano in maniera differente e riescono a farci lavorare sulle nostre caratteristiche individuali, che non sono uguali. Questo aiuta a costruirci un’identità distinta.

Come hai vissuto accanto a tuo fratello il suo grave infortunio al ginocchio che nella scorsa stagione ha messo pesantemente in dubbio la prosecuzione della sua carriera agonistica?

Non è stato facile, soprattutto all’inizio, quando la diagnosi non era ancora chiara quindi non si poteva neanche prevedere dei tempi di recupero; in quella fase mi accorgevo che per lui non era facile convivere con questa incertezza perché a volte hai la necessità di mettere un circoletto sul calendario intorno ad una data che, per quanto possa essere lontana, segna indiscutibilmente la fine del tuo percorso di infortunio. Però dal momento della diagnosi in avanti l’ho visto gestire le sue emozioni molto bene, io ho solo cercato di stargli vicino, soprattutto quando tornavo a Roma dopo qualche torneo. Non potevo restituirgli il campo, ho solo cercato di fargli sentire che lo capivo, e che mi dispiaceva stesse vivendo tutto quello.

Alcune volte il cancro è così subdolo ed insidioso da darti la percezione che le tue caratteristiche forti siano indebolite o addirittura annullate. Ti è mai capitato di affrontare sfide nelle quali perdessi completamente la fiducia nel tuo colpo migliore?

Credo che la mia caratteristica migliore sia l’atteggiamento in campo, riesco a mantenere la mente sempre positiva all’interno delle sfide; se devo invece pensare ad una caratteristica prettamente tecnica, direi che il rovescio è un mio colpo forte. Se sento che all’inizio della gara questo colpo non gira, ho degli accorgimenti preparati in allenamento per cercare di recuperarlo. Certo non è una bella sensazione se ti tolgono il tuo punto forte all’interno di una sfida, però al tempo stesso devi ricordarti che quel tuo colpo fa parte delle tue caratteristiche, se è un po’ offuscato non è comunque di certo sparito, devi solo avere la pazienza di andare a recuperarlo lentamente, perché fa parte di te. Magari all’inizio, finché non me lo sento di nuovo mio, cerco solo di buttare di là palle senza grandi obiettivi, ma intanto provo a riprendere confidenza con il gesto tecnico, per poi tornare ad usarlo come arma su cui puntare per raggiungere l’obiettivo della vittoria.

Hai mai avuto dei giorni o dei periodi nei quali ti sei sentito particolarmente debole o hai avuto paura di non riuscire a dare una forma concreta e una direzione certa al tuo percorso verso la carriera di tennista professionista?

Sì, ci sono dei giorni in cui ti sembra tutto un po’ più cupo e magari ti viene anche la tentazione di pensare che stai sbagliando tutto o di mollare un po’ tutto, perché magari perdi una partita che non volevi e non dovevi perdere. Però penso di avere vicino a me una famiglia stupenda, un circolo molto competente e soprattutto dentro di me una grandissima passione per il tennis, che è il mio obiettivo. Ecco, alla fine la differenza è nell’obiettivo che hai: se lo vedi e te lo chiarisci, allora la reazione nei momenti difficili è istantanea per avvicinarti e raggiungerlo. Ed è quello che voglio fare.

Grazie Jacopo, hai accettato con noi questa sfida e con la tua naturalezza e spontaneità hai saputo avvicinarti a chi ti legge, ora e nel futuro. Nel tuo percorso di crescita, accompagnerai metaforicamente chi sta affrontando il cancro, con la speranza e la fiducia che nel tempo ambo le strade possano raggiungere gli obiettivi sognati quando si è partiti.

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