Atleti al tuo fianco: Federico Arnaboldi

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Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare aspetti particolari della propria disciplina e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Federico Arnaboldi, tennista italiano di 18 anni che si sta affacciando al mondo del professionismo.

Ciao Federico, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco, dove il tuo percorso per diventare un tennista professionista sarà uno strumento per fare prevenzione e avvicinarci al tema della lotta contro il cancro. Per iniziare questo tragitto insieme, entriamo in un clima di conoscenza più approfondita: raccontaci come si svolgono le tue giornate, dentro e fuori dal campo da tennis.

Un saluto ai lettori di Atleti al tuo fianco. Facendo sport a livello agonistico e cercando di perseguire il mio sogno, cioè quello di diventare un tennista professionista, la mia vita quotidiana è molto legata al tennis. La scuola, che è solitamente un cardine per un ragazzo di 18 anni come me, resta comunque presente anche se un po’ sacrificata negli spazi: in questo momento seguo i corsi in una scuola privata di indirizzo scientifico-sportivo due volte alla settimana. Quest’anno sarà il più difficile poiché vi sarà anche la maturità e, di conseguenza, dovrò sostenere due esami: uno di ammissione e il secondo sarà quello della maturità insieme a tutti gli altri ragazzi. Per quanto riguarda la vita al di fuori del tennis, quella della maggior parte degli altri ragazzi, devo dire che nella mia routine ha poco spazio e questo ovviamente mi dispiace. Però la mia passione per il tennis e per il sogno che sto costruendo è così grande che le rinunce che questo percorso mi richiede non mi pesano particolarmente.

Un esercizio costante a cui viene sottoposto un tuo coetaneo con una diagnosi di cancro è l’allenamento alle rinunce. Un tumore infatti obbliga a cambiare gli spazi e i tempi della tua vita che, improvvisamente, non è più quella come i tuoi coetanei. La sensazione di obbedienza ai tempi imposti è forte, bisogna impegnarsi tutti, pazienti ed amici, per impedire al cancro di prendersi ogni spazio. Tu Federico, quando hai la sensazione di che il tennis ti invada totalmente la vita, ti senti mai oppresso nei tempi e negli spazi, magari con il desiderio di abbandonare questo percorso?

Il percorso che sto affrontando è una mia scelta, non mi è mai venuto in mente di mollare tutto, poiché amo questo sport. Gli obblighi imposti da una malattia sono senza dubbio diversi dalle accettazioni che comporta la decisione di un percorso. Ci sono momenti in cui mi viene da pensare, inevitabilmente, che sarebbe bello poter uscire con gli amici, ma questo non è possibile perché io mi alleno lontano da casa e creare una vita al di fuori del tennis è molto difficile. È però anche vero che ci sono weekend in cui, tornando a casa, posso sfogarmi e uscire con i miei amici, questo sicuramente mi aiuta nel sopportare la distanza e la mancanza. Però ho ben chiaro che è un percorso scelto, che amo e che, soprattutto, ha un obiettivo ben preciso: se hai uno scopo, cerchi di proseguire con decisione anche nei momenti difficili.

È molto importante educare le nuove generazioni a stili di vita che siano sani e al tempo stesso che permettano di amare la qualità della vita: con delle scelte ben ponderate per alimentazione e comportamenti, eviteremmo quasi un terzo delle diagnosi di tumore maligno, oltre 300 in meno ogni giorno in Italia. Ma per vivere in modo sano c’è bisogno di conoscenza e motivazioni: non bastano le informazioni. Quanto ha aiutato te il tennis a seguire regole per un corretto di stile di vita?

Quando ero piccolo, ricordo che tutti i genitori erano d’accordo sul fatto che lo sport aiutasse ad una buona educazione nello stile di vita. Ora che sono più grande, sono convinto anch’io che lo sport aiuti ad affrontare la quotidianità in un modo diverso: hai un impegno, devi allenarti e fare in modo che il tuo corpo stia bene. Non c’è bisogno, poi, di giungere a livelli agonistici, ti accorgi immediatamente che il tuo corpo ti offre risorse in base a come lo tratti. La presenza dei tuoi compagni aiuta, secondo me, a creare un ambiente più sano, perché come nelle brutte compagnie si viene influenzati dai cattivi esempi, anche i comportamenti virtuosi ti contagiano. Per quanto mi riguarda, io ad esempio non ho mai avuto la tentazione di fumare: il tennis mi ha aiutato a trovare un equilibrio, sia nutrizionale, sia comportamentale. Ne giovo in prestazione sportiva nel presente e in salute per il futuro.

L’obiettivo deve però rimanere la qualità della vita: la salute è una risorsa da preservare e da impiegare in cose che piacciono e portano ad essere felici. All’interno di comportamenti sani, si possono inserire le trasgressioni alle regole, senza per questo compromettere la prevenzione. Qual è il comportamento che, quando ti puoi permettere, ti piace vivere come un’eccezione felice?

Il tennis ti obbliga ad avere una vita più solitaria rispetto ad altri sport. Purtroppo io non ho molti conoscenti al di fuori dell’ambito sportivo proprio per mancanza di tempo, però cerco di mantenere comunque dei rapporti con qualche caro amico. Quando quindi ho del tempo a disposizione, mi piace molto uscire con questi amici ed andare in discoteca a ballare! Per quel che riguarda le abitudini alimentari invece, non sono molto trasgressivo, anche perché una delle mie passioni è la cucina a base di pesce, che in genere è un buon modo di alimentarsi. Quando mi spunta del tempo, con i genitori o con gli amici, andiamo a mangiarlo anche un po’ distante, in posti in cui sappiamo venga cucinato bene.

Novembre è il mese della prevenzione dei tumori maschili. È importante avere un rapporto confidenziale costruttivo con il proprio medico per segnalare situazioni mai riscontrate prima: ad esempio, se all’autopalpazione del testicolo, che è importante svolgere con frequenza, si notano delle masse irregolari. Individuare un tumore in fase precoce è fondamentale per intervenire in maniera efficace, ma alcune volte l’imbarazzo nel dialogo con il medico penalizza il rapporto di fiducia e, di conseguenza, la propria salute. Essere a contatto con figure che si occupano dell’efficienza del tuo corpo, ti ha insegnato ad avere un buon dialogo con loro in ambito sanitario?

Secondo me è necessario specificare che per ogni ragazzo di 18 anni le prime figure sanitarie di riferimento sono i familiari, e così è anche per me. Con la mia mamma e mio padre ho un buon dialogo sulla salute del mio corpo, ma anche con mio cugino Andrea, tennista professionista, ho profonda confidenza. È una grande fortuna per me avere qualcuno con cui potermi aprire, sia sulle dinamiche del tennis, sia sulla mia vita privata. Poi senza dubbio, essendo un tennista, ho spesso contatto diretto con figure mediche e sanitarie, con le quali ho un rapporto molto valido, perché sono loro i più competenti nella protezione del mio corpo. Ci sono poi il mio allenatore, i preparatori atletici, un fisioterapista e un osteopata verso i quali ho molta ammirazione e di cui mi fido profondamente. L’anno scorso ho avuto un infortunio che mi ha creato non poche difficoltà ma grazie alle loro cure ora ho recuperato perfettamente.

Alcune volte, i tuoi coetanei che affrontano un tumore, si ripetono “devo essere forte, per i miei genitori, per i miei nonni”, costringendosi ad una costante reazione. In realtà, questo atteggiamento non è sempre un alleato della serenità: con i familiari è importante infatti costruire una condivisione trasparente lungo tutto il percorso di terapia. Questo porterà a giornate di animo reattivo e ad altre giornate di difficoltà profonda; ma la condivisione delle emozioni pure con i propri affetti, contribuirà a costruire un’atmosfera di sincerità che compatterà il legame e la condivisione degli obiettivi. Nella tua crescita sportiva, ti è mai capitato di dirti da solo che dovessi essere forte, ad ogni costo?

È un tema che mi è molto caro. Nel 2016 ho ottenuto dei buoni risultati, vincendo molte partite; dentro di me si sono create delle aspettative, forse un po’ troppo alte, e ho incominciato a chiedere tantissimo a me stesso e alle mie prestazioni. Questa situazione si è trasformata in una sorta di ansia, perché mi sentivo in dovere di dimostrare al mio allenatore e alla mia famiglia sempre di più: volevo far vedere loro che giocavo bene, che vincevo, che ero sempre forte, appunto. Ciò ha creato in me della preoccupazione, perché ero il primo ad accorgermi della discrepanza, a sentirmi a disagio perché quel che passavo a loro non era quello che sentivo dentro in verità. Ora ho iniziato un nuovo percorso di allenamenti dove ho cercato di ripartire un po’ da capo, da un me stesso più trasparente e vero, senza crearmi delle aspettative, semplicemente lavorando con impegno e tenacia, perché credo che sia questa l’unica reale soluzione per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.

Il pensiero di “non farcela” paralizza la mente e il corpo. In oncologia questo concetto non si traduce solo nell’avere paura di morire, ma anche di affrontare un ciclo di terapie, di avere dolore, di avere nausea. L’idea di “non farcela” è un nemico che va superato perché porta la mente in una direzione paralizzante e distruttiva. La psiconcologia ti offre le risorse per dominare la direzione dei tuoi pensieri mentre combatti il cancro. Nei momenti di sconforto sportivo, magari dopo una sconfitta bruciante, hai mai percepito la sensazione di non farcela a raggiungere gli obiettivi che ti sei posto?

Sì, nel mio pur breve percorso sportivo ho avvertito la paura di non farcela, di star sbagliando le scelte per il futuro. Con il mio allenatore abbiamo lavorato molto su questa cosa e, anche con l’aiuto di una figura importante come la psicologa, ora sono giunto ad un buon livello di coscienza, liberando le sensazioni che provo dentro. Lasciarsi andare non è una debolezza ma può essere anche di aiuto, perché le persone intorno a te sono delle risorse e possono darti in una mano in questo senso. Ho provato la sensazione di non farcela, però ora ho maggiore voglia di giocare, di migliorarmi ogni giorno e sono molto più rassicurato e ben orientato sul fatto che, invece, ce la posso fare.

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