Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Prende parte a questa iniziativa Giorgio Rocca, campione della storia sci italiano, specialista dello slalom speciale in cui ha vinto una Coppa del Mondo.
Ciao Giorgio, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi parleremo insieme di lotta contro il cancro e della quotidianità che vivono le persone e le famiglie che affrontano un tumore maligno. Per fare questo prenderemo spunto da situazioni della tua carriera sportiva, delle quali ci racconterai i tuoi personali aspetti emotivi. Per avvicinarci a questi obiettivi, partiamo da una presentazione preliminare che ci dia modo di conoscerti meglio in ciò che non riguarda il mondo sportivo: raccontaci qualcosa di più di te e della tua quotidianità.
Ciao a tutti! Dopo la mia carriera da sciatore, oggi io mi occupo principalmente della mia attività lavorativa qui a St. Moritz, una Ski Academy che mi vede impegnato dal 2010; è un “contenitore” che vede al suo interno una scuola di sci, un settore che si occupa dello sci agonistico per giovani atleti, varie offerte per il pubblico e attività riservate alle aziende: in tutto ciò sono poi coinvolto nella raccolta di fondi dai vari sponsor che si rendono disponibili a sostenerci. Per quanto riguarda invece la mia vita privata, il ruolo principale lo ha la famiglia: ho quattro figli e pertanto tutto il mio tempo libero lo trascorro in loro compagnia, principalmente facendo sport insieme.
Iniziamo a conoscere la vita quotidiana di chi combatte il cancro. Ci sono dei momenti che visti da fuori potrebbero essere intesi come banali ma che in realtà sembrano eterni alle persone che stanno affrontando un tumore. Ogni volta che un paziente oncologico si reca in ospedale per eseguire una visita o gli esami di controllo, anche il tempo speso nella sala d’attesa ad aspettare il proprio turno può risultare insopportabile se la mente viene invasa dai pensieri. Nello sci, in che modo tu gestivi la tua mente nei momenti di avvicinamento al cancelletto di partenza?
Ci sono momenti di attesa durante le competizioni sportive e, fatti ovviamente i dovuti distinguo con chi sta affrontando un percorso di cura, possono essere molto difficili da gestire. Ricordo in modo particolare i lunghi intervalli di tempo che potevano separare una manche dalla seconda: se avevi realizzato un buon tempo, dovevi aspettare che scendessero di nuovo tutti i tuoi avversari prima che toccasse di nuovo a te. L’agitazione in quei momenti è fisiologica, impossibile non provarla. Per quanto mi riguarda, cercavo di avere strumenti per dominarla il più possibile incominciando a dare il massimo già in allenamento: questo atteggiamento mi faceva sentire ben preparato, come se lasciassi nulla al caso in vista dell’appuntamento della gara. Mi confortava arrivare all’appuntamento sportivo con la coscienza pulita di chi ha studiato il suo compito in modo maniacale. Questo non è il solo ambito dello sci in cui è importante saper gestire le proprie emozioni: per esempio affrontare un infortunio ed essere costretto in un letto d’ospedale, mentre gli altri atleti proseguivano con le competizioni, mi trasmetteva un senso di rabbia e di impotenza che paradossalmente superava anche quello che provavo dopo una caduta in gara. Poi sicuramente alcune cadute, sono state scottanti, quella dei Giochi Olimpici di Torino la ricordano ancora tutti. Però è importante confrontarsi con la propria mente, conoscere le proprie emozioni, altrimenti si rischia di farsi cogliere impreparati dalle reazioni che essa genera di fronte alle situazioni in cui l’emotività si esaspera.
Quello che dici dà lo spunto per approfondire il concetto di equilibrio. In psico-oncologia bisogna lavorare molto su questo aspetto, non solo arginando i momenti di depressione, ma mitigando anche i picchi di entusiasmo che viceversa possono scaturire da un parziale miglioramento nel percorso di cura. Il baricentro dell’emotività non deve spostarsi mai troppo né da una parte né dall’altra, perché porterebbe emozioni molto potenti in una dimensione non controllabile. Tu in carriera sei stato uno slalomista: quanto è importante mantenere il baricentro in equilibrio per uno sciatore che deve rapidamente spostarsi a destra e a sinistra?
L’attività dello sciatore è continuamente dettata dalla ricerca di equilibrio. Questo vale per la persona che mette per la prima volta gli sci nei piedi come per il campione pluripremiato. Lo sciatore ricerca l’equilibrio in ogni suo gesto, ma non ha mai la garanzia di riuscire a mantenerlo in ogni sua azione. Anche in questo campo direi che vale quanto detto in precedenza per la gestione della tensione pre-gara: la chiave è l’allenamento. Un atleta deve affinare fino allo sfinimento i movimenti necessari a mantenere l’equilibrio: questo non darà comunque garanzia di riuscita, ma limiterà lo spazio lasciato a eventuali incidenti. Alcune volte capita di sbilanciarsi verso una delle due direzioni: anche per lo sciatore è un errore. Riprendere in mano il ritmo di slalom è uno sforzo mentale prima ancora che fisico. Basta guardare come agisce Michael Hirscher quando è in gara: ha una forza mentale e una capacità di reagire all’errore incredibili. È questo che rende speciale un campione: ha un’asticella del limite molto più alta rispetto a quella degli avversari.
La strada, su cui viene spinta a camminare una persona che riceve una diagnosi di cancro, è un percorso a tappe: si ripetono gli esami, le sedute di terapia, i ricoveri e le dimissioni e tante altre situazioni cicliche. La psico-oncologia aiuta la persona a concentrarsi sulla singola tappa che deve affrontare nel momento presente, cercando di distogliere il pensiero dall’obiettivo finale, che può talvolta scoraggiare per la sua distanza e complessità di raggiungimento. Nella tua specialità sciistica, lo slalom, ci sono una serie di porte molto ravvicinate tra loro. Qual è l’istante in cui smetti di pensare a una porta per concentrarti su quella successiva?
Tendenzialmente in questo sport il discorso è un po’ diverso: lo slalomista talentuoso e allenato è quello che sa guardare più lontano. Questo è supportato anche da studi: lo sciatore professionista riesce ad avere una visione della pista più ampia rispetto al bambino che da poco si è cimentato nella disciplina e mantiene l’attenzione esclusivamente sull’ostacolo che ha davanti. Nella ricognizione prima della gara si faceva la conoscenza della pista e in quel momento bisognava tenere conto della disposizione delle porte, che era un dato quindi conosciuto, e della condizione della neve, che era invece un parametro decisamente più variabile. Ancora una volta però ritorno sul concetto di allenamento: una volta provata la pista più e più volte, e ascoltati i consigli dell’allenatore, anche la condizione della neve ricopriva un ruolo marginale rispetto alla mia preparazione e il mio atteggiamento nell’affrontare la pista. Il cardine del tuo percorso sei prima di tutto tu, con la tua preparazione agli eventi certi e a quelli imprevedibili.
In psico-oncologia la “parola” ricopre un ruolo fondamentale. Essa è importante tanto nella relazione medico-paziente, quanto nella relazione paziente-famiglia. Una diagnosi di cancro infatti sconvolge la vita non solo a chi la riceve, ma anche a tutte le persone che vivono a contatto con lei. Attraverso la parola, si dà una forma concreta a delle emozioni che, se tenute silenziosamente dentro, corrono il rischio di accavallarsi e sovrapporsi, aumentando l’una il potenziale distruttivo dell’altra. Identificarle, nominarle e raccontarle permette di conoscerle meglio e, di conseguenza, trovare strumenti per affrontarle. Quali sono state le tue emozioni nel momento in cui sei stato chiamato ad usare la parola per dare voce alla lettura del giuramento degli atleti ai Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006?
Credo di non esagerare se dico che l’emozione provata in quel momento sia stata addirittura superiore a quella sperimentata in seguito a grandi successi sportivi. Ritengo che una qualunque persona, dotata di una media passione per lo sport, possa comprendere l’importanza e direi quasi la sacralità che l’Olimpiade ricopre nella storia dell’umanità. Trovarmi lì, parte di questa storia più grande di me, con il tricolore in mano a recitare il giuramento è stata una sensazione indescrivibile. Devo ammettere di essere stato anche molto agitato per questa responsabilità, perché sapevo di non poter sbagliare: quando i vertici mi hanno comunicato il ruolo che avrei avuto, mi hanno detto “se cadi in pista è un problema minore rispetto ad un errore nella lettura del giuramento”. In quel caso, le parole erano prestabilite, quindi non erano strumento per dare forma alle mie personali emozioni; tuttavia, offrire la mia voce perché quelle parole diventassero un suono, una dichiarazione, un impegno morale per tutti noi atleti, è stata una delle emozioni più grandi della mia carriera.