Combattere un tumore e praticare lo sport professionistico possono avere punti di connessione? La ricerca di un momento di riflessione profonda sulla vita e sulle difficoltà incontrate dalle persone che ogni giorno combattono la loro lotta contro il cancro è stato fin dalla sua origine l’obiettivo dichiarato del progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Attraverso la metafora dello sport veniamo guidati per cogliere sfumature della quotidianità delle persone che combattono il cancro. Entrano a far parte della famiglia di “Atleti al tuo fianco” le pallavoliste Laura Saccomani e Francesca Parlangeli, schiacciatrice e libero della Millenium Brescia.
Laura e Francesca, benvenute in Atleti al tuo fianco, dove la vostra esperienza nella pallavolo diventa strumento per riflettere sulla vita quotidiana con un tumore. Partiamo conoscendo meglio voi nella vostra personale vita quotidiana: quali sono le vostre passioni fuori dal campo?
LAURA: sono una persona molto dinamica, sto finendo gli studi, mi manca un esame per laurearmi in lettere, quindi sto dedicando molto tempo a questo lato della mia vita. Come sanno tutte le mie compagne, amo uscire, stare in compagnia: ogni occasione è buona per crearmi un ambiente confortevole. La mia passione principale è il cinema, appena posso mi piace molto esplorare film, sia quelli contemporanei, sia i grandi classici. I miei registi preferiti sono Woody Allen, Hitchcock e Tarantino.
FRANCESCA: io sono laureata in tecniche erboristiche alla facoltà di farmacia. Mi piace la natura, i fiori e tutto ciò che ne puoi ricavare. Nei momenti liberi, preferisco isolarmi e stare a contatto con la natura stessa, immortalandola con la mia reflex. Anche la fotografia è infatti una passione che mi piacerebbe approfondire, dedicandomi ulteriormente alle immagini dei paesaggi e degli animali.
Chi affronta nella vita di ogni giorno una diagnosi di cancro, si confronta con la frustrazione di non poter istantaneamente guarire: la guarigione è il desiderio maggiore, ma in un percorso lungo è necessario concentrare la propria attenzione su obiettivi che sembrano più piccoli ma sono altrettanto importanti. Questo è determinante per mantenersi nella postazione di comando del proprio agire: l’attesa esclusiva della guarigione, in un percorso lungo, paralizza la mente in una posizione di frustrazione quando essa non arriva. Laura, l’obiettivo nella pallavolo è il punto, ma non sempre lo si può raggiungere immediatamente: da schiacciatrice, raccontaci come prima del tuo colpo d’attacco decidi se schiacciare per chiudere a terra il punto o se scegli un colpo mirato al mani fuori o addirittura un colpo interlocutorio, per rimandare ad una situazione successiva il raggiungimento dell’obiettivo.
L: Per una pallavolista, il tutto avviene in un millesimo di secondo, questo aumenta una difficoltà già esistente. Per prima cosa io faccio riferimento al punteggio, quindi alla situazione della squadra, quanto cioè la mia scelta potrà incidere come beneficio o come danno verso le mie compagne. È proprio un gioco di squadra contro un’altra squadra: infatti entra nella valutazione l’alzata della tua compagna, il muro delle tue avversarie e altre componenti variabili. Ci sono volte però in cui tutte queste situazioni hanno un valore relativo sulla scelta, che viaggia diretta verso la situazione in cui io mi sento più sicura, come per cercare una comfort-zone in cui eseguire il colpo. Dipende poi anche da quanto e come hai lavorato su un determinato colpo, sia per rinforzare certezze, sia per limitare i punti deboli: anni fa, mi sentivo molto sicura sulla diagonale stretta e in difficoltà sulla ricezione. Ho dovuto lavorare molto per limare i miei limiti, a volte ho dovuto anche sentirmi anche una vera incapace di fronte agli errori, ma un piccolo passo alla volta sono riuscita a progredire. La partita poi lascia emergere i frutti del lavoro fatto, a volte sorprendenti rispetto al timore di non raccogliere nulla. E a quel punto la scelta è quasi automatica, proprio in quel millesimo di secondo a disposizione: se avrai lavorato bene, ne raccoglierai i frutti con tutta la tua squadra, capendo quando è necessario ridimensionare l’obiettivo del punto raggiunto con il tuo colpo e offrire alla tua squadra un vantaggio con la tua scelta.
In oncologia ogni famiglia vive con dei dubbi a cui vorrebbe avere risposte sicure, ma la convivenza con l’incertezza è una condizione costante. Un esempio chiaro di questo è la relazione con gli effetti collaterali alle terapie: non sempre è possibile sapere se compariranno e in quale portata si manifesteranno. Per questo è necessario allenare non solo la prevedibilità, e farsi trovare con gli strumenti necessari su quanto ci si attende, ma anche l’adattabilità, che permette di affrontare le situazioni non attese limitando l’angoscia dell’incertezza. Francesca, da libero del volley ti alleni a ricevere e difendere compiendo ripetutamente lo stesso gesto, ma poi in partita tutto varia in base alle scelte delle tue avversarie: quanto è importante che la tua mente abbini le certezze dell’allenamento con la variabilità del colpo effettuato dall’avversaria?
F: Gran parte del mio ruolo è in relazione con la mente. A me piace essere un libero agonista: anche se sono chiamata a fare un numero limitato di cose, devo cercare di esprimermi avvicinandomi il più possibile alla perfezione. Un motto che mi guida è “Se oggi non puoi fare grandi cose, fanne piccole ma in modo fantastico”. Tanto poi dipende dalla bravura dell’avversaria, che noi studiamo in modo approfondito ma poi può decidere di variare il suo colpo in modo estemporaneo. Quindi l’adattamento alla condizione prevista è determinante per tornare ad essere attiva nella situazione che si verifica. L’atteggiamento è uno strumento che va allenato perché si riveli un alleato positivo: cerco sempre di avere “lo sguardo della tigre” nei miei occhi e, anche se sono minuscola, mi trasformo in un piccolo gigante per difendere tutti i palloni. In questo modo, allenamento e adattabilità si uniscono per svolgere al meglio il lavoro di libero, sia in difesa, sia in ricezione.
L’isolamento è un nemico insidioso in oncologia: i moderni sistemi di comunicazione permettono alcune volte dei piccoli messaggi di vicinanza, che valgono molto per le persone che si sentono separate dalle mura di un ospedale da tutti i loro affetti più cari. Laura, per una pallavolista come te che ha girato diverse squadre lontane da casa, la tecnologia è uno strumento utile per colmare la nostalgia di casa?
L: Quando a 17 anni ho lasciato Roma, mi sono ripromessa che non avrei interrotto le mie amicizie. Il telefono mi ha aiutato tantissimo a sentire vicine le persone che mi mancavano, con chat di gruppo, videochiamate e molti altri supporti. Non è facile poter parlare sempre in diretta perché noi atlete abbiamo una quotidianità diversa, tra settimana e weekend, delle altre persone. Però io ho sempre ricevuto molto anche dalle persone che ho conosciuto nei vari luoghi in cui mi sia trovata a giocare. Sembra strano, ma quando sei lontana da casa anche delle persone che prima erano estranee in qualche modo possono diventare vicine come elementi della famiglia. Poi noi giocatrici abbiamo un elemento che corrisponde ad un piccolo grande nucleo familiare: la squadra. Ci si confronta in spogliatoio con le difficoltà quotidiane, i problemi, le soluzioni, i consigli in posti che non conosciamo ancora bene. Tutto è finalizzato a colmare la distanza da casa, che nelle chat e nelle videochiamate si interrompe per qualche minuto, ma è sempre realmente presente.
Il cancro è una malattia familiare: ciò significa che in qualche modo, colpisce tutti gli elementi di una famiglia, non solo i pazienti in prima persona. Per questo è utile comprendere che se si è un parente, un compagno, una figlia e ci si vede più deboli della persona che ha ricevuto la diagnosi, non è una colpa né una vergogna: ognuno reagisce in un modo personale che è degno di comprensione. Francesca, quando nel tuo ruolo senti di aver salvato una palla difficile e due tue compagne immediatamente dopo, chiamate ad un compito apparentemente più facile, la fanno cadere in maniera banale, come vivi le tue emozioni verso di loro?
F: Io credo molto nella forza del gruppo, intesa anche come la capacità di accettare gli errori di una compagna. Certo, quando si verifica una situazione come la caduta della palla dopo un salvataggio difficile, mi arrabbio anch’io. Però so bene che la fiducia che riesci a trasmettere alla tua compagna, facendola sentire la migliore compagna che tu possa desiderare al tuo fianco in quel momento, è determinante per poter raggiungere insieme degli obiettivi e dei traguardi. Io stessa, quando mi trovo in difficoltà, mi sento aiutata da questo tipo di sentimento che a volte passa attraverso un semplice sguardo: mi aiuta a capire che se ho commesso un errore, devo stare più attenta perché ho una responsabilità di legame e di azione verso ogni mia compagna di squadra. Sento la mia debolezza accolta e, appoggiandomi a loro, posso risalire. Dobbiamo sempre essere un’unica entità che lavora per lo stesso obiettivo: ci si può arrabbiare, ma insieme lo si deve trasformare in stimolo per migliorarsi e fare meglio all’occasione immediatamente successiva.
La divulgazione scientifica in ambito oncologico va fatta con la maggiore attenzione possibile: quando si parla di una nuova molecola scoperta, che magari ha ancora anni di percorso per essere accertata nelle sue potenzialità, se non si parla in maniera chiara si illudono i familiari di non aver a disposizione tutto il possibile per le cure al proprio caro. In questo modo, il rapporto di fiducia con il medico, che applica le più aggiornate e dimostrate linee guida, può venire meno. Laura, nel volley il gioco di squadra prevede che tu accetti le scelte variabili della palleggiatrice, che potrebbero escluderti dall’attacco: come vivi questa relazione con la tua compagna al palleggio?
L: Per una schiacciatrice è sicuramente difficile non attaccare più di un pallone consecutivamente, perché si perde quel ritmo che aiuta ad entrare nel clima del gioco. Però è uno sport di squadra, ho scelto io di partecipare a questo meraviglioso sport ed è inevitabile che solo un attacco venga servito su varie alternative. Bisogna sempre mantenere chiaro l’obiettivo comune, che è la vittoria della squadra: questo diventa la guida che permette di non soffrire se l’alzatrice fa scelte diverse dal servire proprio me per l’attacco. Sicuramente, senti se c’è o meno la fiducia della tua compagna che alza, a prescindere se ti serve o meno il pallone: questo è fondamentale. Ma proprio per lo stesso principio, la fiducia deve essere coltivata e offerta verso tutte le compagne e, per l’attacco, questa si concretizza una scelta alla volta. La stessa situazione vale anche verso l’allenatore: quando arrivi in una nuova squadra, ne devi conoscere giorno per giorno le caratteristiche per prendere il buono che ogni coach ha per formarti e migliorarti. La fiducia è un componente importante per costruire un rapporto di stabilità che unisca verso l’obiettivo comune della vittoria tutto il gruppo, in ogni suo ruolo.
Quando una persona affronta determinati reparti o procedure che prevedano l’isolamento, come il trapianto di midollo osseo, possono dover vivere dei momenti senza alcun contatto fisico con i familiari e qualsiasi altra persona: doversi vedere separati da un vetro, aumenta la sensazione di impotenza e la frustrazione rispetto ai desideri. Tuttavia è importante orientare la propria mente in un profondo concetto di vicinanza, che porta a concentrarsi sul possibile e ad isolare i pensieri di impossibilità, che generano frustrazione. In una dimensione completamente diversa Francesca, tu da libero quando il tuo centrale va in battuta sei costretta ad uscire dal campo senza poter dare il tuo apporto alle tue compagne: come vivi questa situazione di allontanamento forzato?
F: È una situazione che mi rendo conto ha dei contenuti completamente diversi in un campo e in ospedale, ma cerco di portare la mia esperienza sportiva sul tema senza mancar di rispetto a chi la vive in condizioni ben più serie. Io dalla panchina la vivo con difficoltà: dentro al campo giochi, da fuori l’adrenalina è un patema. Il cuore mi batte fortissimo e cerco di urlare i consigli più utili alle mie compagne. Ad esempio, un classico è ricordare come, sulla battuta del centrale, molto spesso la scelta dell’attacco sia un pallonetto: quindi mi ritrovo ad urlare come una matta “Pallonetto! Pallonetto!” per cercare di essere presente anche se costretta a stare in disparte. Quando sono stata fuori dalla partita per un piccolo infortunio, non riuscivo a contenere l’impeto del desiderio di partecipazione: urlavo e saltellavo senza interruzione. Alcune volte ti senti impotente perché vorresti fare tutto, ma oggettivamente non puoi: senti il desiderio di vicinanza che ti esplode dentro e cerchi solo un modo per poter esprimere ciò che provi. È così dalla panchina, posso immaginare cosa sia da dietro un vetro in ospedale. Se questa mia banalità sportiva può essere d’aiuto per fermarsi a riflettere sulle emozioni di una situazione ben più seria, sono molto felice di aver aperto l’accesso al retroscena delle mie emozioni dal campo di volley.