Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della loro carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore. Entra a far parte di questa squadra di atleti Lorenzo Frigerio, tennista italiano che ha reso la sua testimonianza in occasione del torneo challenger Internazionali Città di Brescia.
Benvenuto in Atleti al tuo fianco Lorenzo: parleremo insieme di tennis, di cancro, di quotidianità nella malattia, di momenti di intensità emotiva nel tennis e nei tumori. Per avvicinarci a questi obiettivi, partiamo dalla tua quotidianità: raccontaci come si svolge la tua vita da tennista professionista.
Io ho iniziato abbastanza tardi a giocare a livello professionistico, avevo 25 anni. Fino ad allora ho sempre giocato sì, ma a livelli più bassi e allenavo gli altri giocatori sui campi. In quella vita, mi sono creato degli amici, uscendo di casa, in compagnia, tutta gente però che non faceva parte dell’ambito tennistico. Se sono spesso uscito la sera quando non ero professionista, ora è una cosa che adesso non posso più fare. Più che sacrifici, sono scelte che comunque questo lavoro ti obbliga a prendere. Questo vale anche per i weekend, perché io devo essere pronto al massimo per giocare sul campo sempre, qualsiasi giorno della settimana dal lunedì, spesso anche prima se sono in un tabellone di qualificazione. Quindi diciamo che la routine che mi ero creato fino a 25/26 anni è un po’ cambiata e sto cercando adesso di trovare la mia dimensione all’interno del tennis. Ora ho iniziato a giocare un po’ di tornei challenger ed è un mondo diverso perché i giocatori cambiano, sono più forti ma sto iniziando comunque a conoscerli e a farmi conoscere. In questo modo riesco a condividere con loro esperienze e momenti di vita quotidiana, vivendo situazioni di amicizia con giocatori che fino a poco tempo fa erano estranei.
Attraverso la psico-oncologia, è fondamentale imparare a distinguere le speranze dalle illusioni. È un passaggio molto importante perché, se è intuibile che illudersi di situazioni non realizzabili genererà delusioni di difficile gestione, è altrettanto essenziale alimentare e coltivare con amore le reali speranze: esse sono un carburante fondamentale del pensiero positivo che migliora la qualità della vita nel corso delle terapie. Hai detto che sei passato al tennis professionistico in età più avanzata rispetto ai tuoi colleghi: questa partenza ritardata ti ha mai dato la sensazione di star credendo in qualcosa che potesse essere solo un’illusione e non una concreta speranza?
Questo è un aspetto fondamentale della mia situazione quotidiana: secondo me tutto sta nel porsi degli obiettivi coltivando forti motivazioni per raggiungerli. Se il percorso è difficile, in ogni momento di difficoltà ti viene da dire: “Forse è tutto un’illusione. Ma chi me lo fa fare?”. Quindi è possibile che paure e dubbi ti vengano. Nel mio percorso tennistico l’ho sempre presa semplificando, concentrandomi cioè su un unico aspetto: dare tutto me stesso per raggiungere il mio obiettivo. Ci sono periodi nei quali non vinco molto, mi capita quindi di andare un po’ in difficoltà e dirmi: “Ma perché? Forse non ho fatto le scelte giuste, forse mi sto illudendo”. Però smettere di dire “Ma no, non fa per me” è il primo passo per cercare una soluzione e cominciare a dare tutto per superare la difficoltà. Certo, quando mi alleno sembra tutto bello, ma poi quando vado a giocare arrivano le difficoltà e mi scontro con la realtà. Ma proprio per questo ho bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi, su cui poggiare le certezze e su cui far crescere le speranze. È un lavoro costante che si sviluppa vittoria dopo vittoria ma anche sconfitta dopo sconfitta.
Sentirsi dire “sei migliorato” o addirittura “sei guarito” è l’obiettivo primario di ogni persona che ha ricevuto una diagnosi di tumore maligno. Eppure, per raggiungere questo obiettivo, può essere necessario passare da momenti nei quali ci si sente dire “sei peggiorato” o “ti sei aggravato”. È fondamentale avere gli strumenti necessari per azzerare le pericolosissime scorie della delusione per sintonizzare la mente sulla tappa successiva di terapia, per mantenere elevata la qualità della vita quotidiana anche nella nuova fase. Nel tennis può capitare di avere nel tie-break l’opportunità di un colpo per chiudere un set: sbagliarlo significa rimettere in discussione l’intero set avvicinando l’avversario alla conquista dello stesso. Come fai ad azzerare velocemente le scorie del pensiero negativo del punto sbagliato, per essere il più lucido e attivo possibile al punto immediatamente successivo, che può di nuovo essere decisivo?
Io, molte volte, in questi momenti fatico a ritornare velocemente performante durante la partita, anche se ultimamente sto migliorando. Mi aiuta molto pensare al trascorso delle ultime settimane, al lavoro fatto, all’impegno messo negli allenamenti. Sentirmi in qualche modo preparato, mi porta a non voler buttare via tutto lo sforzo fatto nelle precedenti settimane. Certo che senti la delusione del punto sbagliato, però sai che può succedere e sai che puoi convertire ancora il tutto in successo. Se inizi facendo le cose bene in partita, prendi senza dubbio fiducia, quindi anche se sbagli un punto importante, hai alle spalle una buona consapevolezza delle tue qualità e possibilità, ed è più facile eliminare le tossine negative dell’errore. Se inizi male da subito, nervoso e incostante, diventa più difficile. La mente deve sempre rimanere orientata sul lavoro, costantemente, non sul risultato: l’impegno nel lavoro offrirà poi il risultato, per questo devi sempre rimanere concentrato su quanto sei chiamato a fare, anche dopo un punto andato male, anche dopo un errore in uno scambio decisivo.
In Italia ci sono ogni giorno circa mille nuove diagnosi di tumore maligno: mille singole persone e famiglie che improvvisamente si trovano catapultate in una situazione che cambierà la loro vita, a prescindere dall’esito. L’Italia presenta una probabilità di guarigione molto alta rispetto agli standard mondiali, perché attualmente più del 60% delle persone che ricevono la diagnosi di cancro, arriva a guarigione. Il problema è che nel momento in cui ricevi la tua diagnosi, rischi di venire investito dalla sensazione di non farcela, di dover affrontare una sfida fuori dalla tua portata, con un avversario più forte delle tue capacità. A questa fase di shock segue una fase di graduale e lenta elaborazione, che apre un percorso di accettazione e riorientamento all’interno della nuova realtà. Nel tuo iter da tennista, quali sono le strategie che attui con la tua mente quando ti trovi contro un avversario che ritieni molto più forte delle tue possibilità?
Io non mi devo concentrare né sull’avversario, né sul risultato finale: io devo concentrarmi sugli obiettivi che mi pongo per proseguire la mia crescita, a breve e a lungo termine. Io vedo che questo, oltre a farmi evolvere, mi trasmette anche tranquillità e mi difende dalla sensazione di inadeguatezza rispetto alle armi del mio avversario. Sono schemi di stabilità, per mantenere il controllo sulla situazione e renderla affrontabile, muovendo un passo alla volta. Devo mantenere l’attenzione su ciò che è di mia competenza, su quello che posso effettivamente fare: io in quello devo essere bravo. Se poi il mio avversario si è dimostrato più forte, vado al centro del campo e gli stringo la mano. Però, se mi misuro con le sue grandezze, lo rendo già prima della gara più bravo di quanto lui non sia. Questo lo capisci sfida dopo sfida: più giochi, più ti accorgi di essere comunque all’altezza delle partite che sei chiamato a disputare. Ed è proprio per questo che devi concentrarti su tutto quello che hai da dare tu, non su quanto ne abbia il tuo rivale.
Anche nella lotta contro il cancro, evolvi e migliori giorno dopo giorno: il tumore ti spinge in baratri profondissimi dai quali, con pazienza e dedizione, riemergi più forte. Nella tua storia sportiva, ci sono cose che il tennis ti sta insegnando che poi riesci ad applicare anche nella tua vita al di fuori dai campi?
Ma sicuramente è un discorso biunivoco: un po’ del mio trascorso di Lorenzo mi aiuta nella vita tennistica, però indubbiamente, Lorenzo tennista ha un’influenza notevole su quella che è la mia vita quotidiana. Ogni settimana vivo esperienze in giro per il mondo, in contatto con ragazzi di altre nazioni, altre età… Io vengo da Lecco, è un contesto più circoscritto rispetto a questo, per cui in qualche modo il tennis mi obbliga ad evolvere non solo per quello che mi propone sul campo. Girare per il mondo ti apre la mente: diventa un’opportunità di crescita personale, indipendentemente da quello che sarà il risultato finale delle partite. Anche questo può essere un obiettivo importante, che ti offre il tennis ma in realtà lo sviluppi fuori dai campi, per la possibilità che hai di guidare qualche dettaglio dell’evoluzione della tua vita. Alla fine la chiave è sempre la medesima: piccoli obiettivi di breve durata e grandi obiettivi di lunga durata. Nel tennis, nella vita, nella malattia: tutto torna, la chiave siamo noi, la nostra mente, il nostro lavoro, il nostro impegno.