Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità, le partite e gli avversari difficili dentro e fuori dal campo, gli infortuni e altri aspetti particolari del proprio lavoro? Oggi ha raccolto questa sfida Salvatore Caruso, per tutti Salvo, un giovane tennista italiano nato nel 1992. Nella sua fino ad ora breve ma intensa carriera ha toccato la posizione 176 nel ranking mondiale nel mese di luglio nel 2017.
Ciao Salvo, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”, oggi giocherai una partita importante e diversa dal solito, a fianco di chi sta combattendo contro un tumore maligno. Prima di approcciare però questa sfida, vorremmo conoscerti meglio e sapere qualcosa su di te che non riguardi il tuo lavoro di tennista. Raccontaci: chi è Salvo Caruso fuori dai campi da tennis?
Ciao a tutti, sono Salvo Caruso, un ragazzo che viene da una famiglia semplice di Avola, un paesino in provincia di Siracusa, in cui ho tanti amici. Sono cresciuto con dei genitori fantastici che devo ringraziare perché hanno sempre insistito sulla crescita con dei valori, che nel mio percorso rappresentano tuttora una base irrinunciabile. Mi piace uscire con gli amici, sono un appassionato di motori e seguo la Formula 1 e le gare di moto. Non sono un appassionato di calcio, forse perché solitamente è una passione che si trasmette di padre in figlio, mentre il mio papà è appassionato di Windsurf, per predisposizione geografica.
Ci hai passato un quadro molto bello, in cui si sente il tuo attaccamento alle radici e alla famiglia. Molto spesso, chi deve affrontare delle terapie per contrastare la crescita di un tumore, deve recarsi in strutture specializzate per tempi anche molto lunghi, dovendo così allontanarsi da casa, dai propri affetti e anche dalle proprie certezze quotidiane, come i profumi del proprio giardino o la comodità del proprio cuscino. Sono avversità che si aggiungono alla difficoltà della malattia, vanno conosciute e contrastate con le giuste tecniche, perché se sottovalutate diventano ulteriori nemici insidiosi. Tu per intraprendere da ragazzino il percorso che ti avrebbe portato a diventare un tennista professionista, hai dovuto affrontare la difficoltà della lontananza da casa e dai tuoi legami?
Rispetto a tanti miei coetanei che hanno dovuto lasciare già da ragazzini famiglia e amici per trasferirsi a vivere nei centri federali della Fit, io sono stato fortunato perché ho potuto restare a contatto con la mia famiglia più a lungo: ho iniziato infatti verso i 17-18 anni a stare per più tempo lontano da casa per il tennis. Nonostante fossi già grandicello, all’inizio non è stato facile perché quando esci di casa per la prima volta, non sai mai bene dove sarai e come farai, andavo incontro a tante situazioni nuove contemporaneamente. Poi a mano a mano che ho incontrato persone che capivo essere affidabili, ho conosciuto compagni e allenatori che condividevano con me la stessa esperienza, ho capito che non ero solo anche se i miei affetti stavano lontani e ho potuto concentrarmi sull’avventura tennistica. Cominciando poi a girare settimana dopo settimana per tornei, ho sempre sentito la voglia di tornare a casa, ricaricarmi con la mia famiglia quando le gare non andavano bene, rivedere i miei amici o la mia fidanzata. Però ho sempre tenuto ben presente nella mia mente il mio obiettivo, quello di voler trasformare il tennis nel mio lavoro, e mi sono sempre ricordato che fossi comunque un privilegiato per aver la possibilità di concretizzare questo sogno. Anche adesso che sono diventato un tennista però, ho mantenuto la mia base ad Avola dalla mia famiglia, e appena i tornei me lo permettono passo dalla mia terra e dalla mia casa.
La quotidianità abituale in famiglia è un aspetto molto delicato nella psico-oncologia: azioni, pensieri, sensazioni e attività che svolgevi ogni giorno prima di ricevere una diagnosi di tumore, improvvisamente acquisiscono un’altra dimensione. La paura diventa un avversario difficilmente controllabile che cerca di sovrastare ogni angolo della tua mente e condiziona abitudini che parevano consolidate. Tu nel 2016 a Roma ti sei guadagnato l’accesso al tabellone principale degli Internazionali BNL d’Italia per la prima volta nella tua carriera e ti sei dovuto scontrare sul campo con Nick Kyrgios, astro nascente del tennis mondiale attualmente al numero 16 del ranking. Come si convive con la difficoltà di dover affrontare un avversario dal nome molto grande, dovendo ripetere al suo cospetto gesti tecnici che in realtà compi ogni giorno da sempre?
Guarda, col mio allenatore abbiamo impostato quel momento cercando di rimanere con i piedi per terra, avevamo raggiunto un obiettivo importante centrando il tabellone principale ma al tempo stesso sapevamo che quella era solo una tappa di un percorso molto lungo. Se avessi pensato che vincere quella partita fosse l’unico obiettivo, forse mi sarei bloccato anch’io; invece bisogna cercare di ragionare per tappe, per obiettivi, muovendosi per piccoli passi ma senza mai rimanere fermi. Certo, se me l’avessero detto tre anni fa che avrei giocato contro un top 20 agli internazionali di Roma avrei detto che erano tutti matti, però io affronto uno sport in cui non ti devi mai accontentare né fermarti, dopo un match per quanto grande e appetibile ti aspetta subito un’altra partita. Così facendo costruisci il tuo percorso che è fatto di vittorie e sconfitte ma nelle quali sei chiamato sempre a lottare per migliorarti, anche se sei il numero uno del mondo. È una sfida continua sia contro i tuoi limiti che vanno migliorati, sia contro il tuo avversario dall’altra parte della rete.
In che modo secondo te quindi una persona che sta male, che ogni giorno apre gli occhi in uno stato di vita e salute costellato di difficoltà, può trarre spunto da chi come te gioca a tennis, per cercare di migliorare la propria condizione di vita quotidiana e trovare la forza di lottare contro la malattia?
Stiamo parlando di due ambiti molto distanti, per certi aspetti neanche paragonabili, nelle loro difficoltà, nelle loro paure. Però io ho avuto vicino a me delle persone che hanno dovuto lottare per la propria salute e la propria sopravvivenza, ricordo come i primi mesi siano stati davvero pesanti, ben oltre i discorsi che si possono fare sul “non mollare”. Mi sono accorto che la vita diventa come quando ti manca il terreno sotto i piedi, perché le certezze che avevi prima improvvisamente non le hai più. Ti ritrovi a pensare “Questo potrebbe essere uno dei miei ultimi momenti qui” anche se non sai se ciò sia vero o meno, ma diventa tutto diverso nei tuoi pensieri e nelle tue proiezioni, tutto molto più difficile. Però ti devo dire che quando tu continui a lottare, anche in queste circostanze, tu percorri l’unica via che ti può avvicinare all’obiettivo. Io credo che la parte psicologica in situazioni del genere sia fondamentale perché se tu ti chiudi e ti rassegni, è difficile che tu riesca a superare un problema del genere. Se invece riesci a fare della tua mente un alleato perché insieme a lei tu possa arrivare a lottare con tutte le forze possibile per raggiungere la salvezza, allora stai camminando sulla strada giusta, in ogni situazione che la vita ti possa presentare. Non sto dicendo che sia facile, forse sarei io il primo ad avere bisogno dell’aiuto necessario per fare la mia mente alleata e non nemica in una condizione simile. Dal tennis secondo me c’è però un aspetto da cui si può trarre spunto: nel mio sport ci sono degli up and down incredibili, come nella malattia e come anche nella vita. Io a Roma sono stato in un momento straordinario della mia carriera, eppure solo pochi mesi prima non vincevo tantissimo e non era per nulla facile. È un po’ una curva sinusoidale che sale e scende nei diversi momenti della sua stesura, ma tu devi essere pronto a percorrerla nella sua variabilità per riuscire ad avere quei momenti nei quali, portandoti verso l’alto, ti viene data possibilità di saltare e a volte di decollare in maniera decisa e definitiva. Nel tennis è così, e per quella che è stata la mia esperienza in questo settore clinico mi è sembrato che non sia tanto diverso il concetto di principio.
Se tu oggi prendessi te stesso, il Salvo Caruso tennista, e potessi estrarre da te una caratteristica da regalare a una persona che sta lottando contro il cancro, quale peculiarità sceglieresti di donarle per affrontare il percorso a cui è chiamata a sottoporsi?
Devo dire che è una domanda difficile, se dovessi compiere questo gesto che mi chiedi, mi vengono in mente due mie caratteristiche che mi piacerebbe trasmettere a chi sta lottando contro il cancro. La prima è la caparbietà: noi siciliani siamo fatti con la testa dura, e questo può essere per me un vantaggio nel non mollare mai, nel trovare sempre la voglia di lottare, di tenere duro quando le cose vanno male e di andare avanti. La seconda è una caratteristica che in tanti mi fanno notare, il fatto che cerchi di essere sempre positivo, e in effetti mi ci ritrovo. Nella vita credo che l’ottimismo stia alla base di molte cose, perché se pensi che le cose possano andare bene, tu ti giochi le chance di realizzare quella possibilità che stai percependo. Credo che per una persona con un tumore pensare che esistano delle possibilità perché le cose possano andare bene sia un aspetto irrinunciabile, fondamentale per riuscire ad accettare la sfida.
Grazie Salvo, perché portandoci non solo il tuo vissuto sportivo ma anche la tua esperienza di vita personale, hai creato una relazione molto forte tra la realtà tennistica e quella oncologica. Da adesso sei un atleta al fianco di chi sta lottando contro il cancro e ogni volta che scenderai in campo, rappresenterai qualcuno che dal tuo spirito positivo trae ispirazione per visualizzare la possibilità di concretizzare l’obiettivo di sconfiggere la malattia. Sei al nostro fianco, e noi ne siamo felici e fieri.