“Lotta contro il cancro” è un’espressione che viene spesso usata per indicare chi sta vivendo un’autentica battaglia per sconfiggere un tumore maligno e, al tempo stesso, per sottolineare gli sforzi e i progressi della medicina in ambito oncologico. Una malattia devastante come il tumore però nasconde insidie subdole e imprevedibili contro cui lottare: una di esse è il tentativo di isolamento a cui questa patologia sottopone, sia da un punto di vista fisico, allontanando dalla vita sociale e quotidiana abituale, sia culturale, confinando l’argomento ad ambiti clinico-specialistici e impedendo al tema tumori di poter diventare un argomento di confronto e dialogo sereno.
Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale:
possono sportivi professionisti avvicinarsi al tema tumori semplicemente parlando di come nella propria vita affrontino sfide e avversari difficili, sebbene le proprie battaglie siano confinate all’ambito sportivo?
La risposta a questa domanda viene data da due straordinari campioni del passato testimonial di questo progetto, Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli, che hanno vinto molte battaglie sul campo da tennis ma anche la propria personale sfida contro il cancro.
“Bisogna avere il coraggio di parlare di cancro”, afferma Pietrangeli, due volte vincitore del torneo parigino del Roland Garros “e di chiamarlo con il suo nome: parlarne fa bene, sensibilizzare la gente sul tema è importante e bisogna smetterla di chiamarlo “brutto male” come se la parola cancro fosse innominabile. Io ho avuto il cancro al colon nel 1996, e mi ha salvato la vita la tempestività con cui un amico medico mi ha spedito a fare dei controlli in seguito a dei segni che io per mesi avevo sottovalutato. Essere stato uno sportivo mi ha aiutato in questa battaglia: il mio animo era in qualche modo abituato alle sfide; non penso che questo sia un privilegio del tennista, è un concetto che vale anche per il pugile, il nuotatore, il calciatore, chiunque abbia praticato sport a livello agonistico”
“È vero” gli fa eco Lea Pericoli, 27 volte campionessa italiana di singolo e doppio nel tennis “è importante parlare di tumori. Quando io mi sono ammalata di cancro all’utero nel 1973 non era abitudine comunicare di essere ammalati e tutti si stupirono quando lo feci; per me invece fu molto importante, perché sentivo il bisogno di dire “Ho un tumore, ho paura di morire, non voglio morire”; mi fece sentire la vicinanza delle persone come quando sul campo senti il pubblico che fa il tifo per te. Io provengo da uno sport diabolico come il tennis, in cui anche se fai meno punti dell’avversario puoi vincere la partita; essermi allenata a dover giocare punto dopo punto le mie sfide, mi aiutò parecchio. Dopo aver sconfitto il cancro, tornai a giocare e vinsi nuovamente i campionati italiani di singolare, e aver parlato apertamente della mia malattia mi permise di dare un segnale importante a tutti: di tumore si può guarire e ci si può riprendere la propria vita; allora siccome non si affrontava apertamente e pubblicamente il tema, nessuno considerava questa una cosa possibile. Ancora oggi io incontro molte persone che mi ringraziano per quello che ho fatto, ma in realtà il mio è semplicemente stato un dovere nei confronti della vita.
Per questo mi batto perché si parli di cancro e di prevenzione: c’è ancora molta strada da fare ma parlandone e seminando cultura e confronto, si può dare sollievo a qualcuno che si sente isolato nella malattia, è un aspetto importante”.
Tanti atleti del presente e del passato delle più varie discipline sportive stanno portando il proprio contributo a questo progetto, che viene divulgato via internet attraverso Facebook e Twitter, affinché chiunque in qualsiasi luogo possa essere raggiunto dalle testimonianze del mondo dello sport; il segno che contraddistingue chi partecipa al progetto “Atleti al tuo fianco” è un’immagine con le mani che si stringono e un volto che sorride, affinché ci si ricordi sempre che il contatto umano e la vicinanza emotiva sono alla base di qualsiasi terapia.