Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi raccoglie questa sfida Tommy Robredo, tennista spagnolo ex top 5 della classifica mondiale, vincitore della coppa Davis nel 2004 e capace in carriera di trionfare nel prestigioso torneo Master Series di Amburgo.
Ciao Tommy, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi dialogheremo insieme di tennis in un modo del tutto particolare, sfruttando lo sport e la tua carriera agonistica per mettere in luce alcuni aspetti della quotidianità di chi combatte contro il cancro. Sarà un’intervista intensa, ma prima di cominciare, dacci modo di conoscerti un po’ meglio: raccontaci qualcosa di te, di quello che ami fare quando non sei su un campo da tennis.
Ciao a tutti, sono felice di partecipare a questa iniziativa. Io mi chiamo Tommy, e ciò che posso dire di me fuori dal campo da tennis è forse la cosa più banale che si possa raccontare: sono una persona del tutto normale, con la mia famiglia, i miei amici e tante persone che mi sono intorno e che mi vogliono bene. Il tennis è il mio lavoro, questo visto da fuori può sembrare strano, ma se vai ad osservare bene da vicino sono una persona che lavora sul campo da tennis, e quando finisce di lavorare si dedica come tutte le persone alle cose che ama, e per me questa cosa si chiama senza dubbio primariamente famiglia.
Ora iniziamo ad addentrarci nell’obiettivo di questo dialogo, parlando di alcune difficoltà con le quali chi sta affrontando un tumore convive quotidianamente. Tra queste, c’è un rapporto con il proprio fisico non sempre facile: le terapie e gli interventi infatti molto spesso obbligano alla convivenza con un corpo più limitato e più debole rispetto a prima della diagnosi; raggiungere un equilibrio con il nuovo corpo è un percorso spesso lungo, a volte molto complicato. Nel tuo lavoro, sei in una fase particolare della carriera: dopo alcuni gravi infortuni e interventi chirurgici, stai ripartendo per ricostruirti una classifica ATP di livello. Come ti trovi tu da tennista a dover convivere con le limitazioni cui il tuo fisico ti vincola nell’obiettivo di vincere le tue sfide?
Sì è vero, io devo convivere con alcune difficoltà, soprattutto fisiche; devo allenarmi e giocare con un corpo a disposizione che alcune volte non mi risponde più come prima. Ci sono una cosa in comune e una molto diversa tra gli elementi che stiamo paragonando. La cosa diversa è senza dubbio l’idea della paura: se oggi il mio corpo si rompe in campo, io perdo la partita, mi curo, posso ripartire, al massimo smetto di giocare a tennis. La paura che vivi quando hai un tumore è una cosa molto diversa perché credo che ti confronti con il timore di morire, e dico credo perché io non ho avuto questa malattia mai e non posso sapere davvero fino in fondo cosa si provi. La cosa in comune fra queste due situazioni è invece che devi sempre trovare un motivo per il quale stai facendo un determinato percorso, anche faticoso. Se tu riconosci quello, non c’è dolore, non c’è paura che ti possa fermare. Convivi con tutto, sopporti tutto, accetti tutto. Allora il lavoro da fare non è solo allenare il corpo o guarire i suoi mali, ma indagare la causa che ti spinge a fare una cosa nonostante i tuoi mali: a quel punto affronti fatica, dolore e difficoltà, e cerchi di raggiungere l’obiettivo con tutte le forze che hai a disposizione.
Come si fa ad accettare di dover ripartire da zero in certi momenti nel percorso che ti porta verso la guarigione e il raggiungimento del tuo obiettivo?
La vita che io ho fatto sui campi prima dell’intervento chirurgico era una cosa, adesso è un’altra. Sono chiamato a ripartire da zero, trovare il modo di convivere con questo concetto è il mio compito. Si deve senza dubbio lavorare, fare tutto quanto venga richiesto per riportare il proprio corpo in una condizione accettabile, con preparatori, allenatori e fisioterapisti. A quel punto poi, viene il discorso della mente, il più subdolo, perché se io penso che prima ero il numero 5 del mondo e che adesso potrei perdere contro il più debole degli avversari, non mi porta in alcun modo verso il mio obiettivo. Io ho avuto un infortunio e adesso voglio giocare a tennis ed ogni giorno è importante e devo essere positivo; se oggi gioco male, domani ancora male, non mi devo fissare sul risultato ma sul progresso: con il lavoro, dopo gioco un po’ meglio, dopo un po’ meglio ancora e alla fine arrivo ad un livello sempre in crescita. Ma se ogni volta che gioco male penso che sto malissimo, questa mi porta a distruggere me stesso. E allora devi dire ‘‘adesso sono così, e questo è ciò che devo fare ora per arrivare là. Oggi devo correre 5 minuti, domani 7, dopodomani 10; se mi fa un po’ male la gamba, resto a 10, se no passo a 11. Devi metterti un obiettivo senza mai pensare “prima correvo 3 ore”. Sarà quando correrai per mezz’ora che potrai dirti “in un certo momento non superavo i 5 minuti”, quello è l’obiettivo. Migliorarti, non per forza ripeterti. Perché se hai subito un incidente, una malattia, non sei la persona di prima. Devi andare e migliorare quello che sei ora.
Quando ricevi una diagnosi di cancro, sorge in te il timore di dover affrontare un nemico troppo difficile da sconfiggere. Eppure in Italia la percentuale di guarigione dopo una diagnosi di tumore maligno si avvicina al 70% (fonte Aiom). Tu da tennista hai battuto Roger Federer agli Us Open: come hai mantenuto la lucidità nella tua mente per sconfiggere l’allora n.1 del mondo, un avversario che sulla carta avrebbe potuto sembrare imbattibile?
Come dicevamo prima, nel tennis non importa quello che sei rispetto al tuo avversario, importa come giochi oggi: se oggi gioco meglio di te, posso vincere. al tennis alla fine io gioco, se oggi io sono meglio di te, posso vincere. Perché questo possa succedere, sono sicuro che se tu pensi con la tua mente al positivo, generi più possibilità perché questo possa succedere. Io, anche in quell’occasione, mi sono continuamente ripetuto “se io faccio tutto bene, c’è una possibilità; se non lo faccio, non ce n’è alcuna”. Io non so se sarei in grado di mantenere questo atteggiamento anche di fronte ad una malattia, forse ci vuole di più, non voglio né semplificare né banalizzare, lì entrano in gioco altre paure e di portata diversa: se avessi perso quella gara, andavo a casa e la settimana successiva avrei iniziato un nuovo torneo. Sicuramente però so che la tua mente deve essere pronta alle possibilità che si creano, a volte anche ad una singola; se essa genera pensieri negativi, di rassegnazione, rinunci anche a quell’unica possibilità.
C’è un modo in cui il tennis ti ha insegnato a non mollare anche quando la tua mente ti abbandona e non è più un riferimento positivo per raggiungere i tuoi obiettivi?
Io devo cercare di vincere per me stesso, ma ci sono momenti in cui quello che faccio sul campo sembra andare nella direzione opposta; allora guardo la tribuna, vedo i miei familiari, il mio coach, le persone che mi sono vicine e che fanno il tifo per me. Nei momenti di sconforto, guardo loro, e capisco che lo sto facendo comunque per me, per i miei obiettivi che sono anche i loro, di essere felici insieme. E da lì riparto, per non mollare mai.
Grazie Tommy per la tua testimonianza, così diretta e vera; sei stato ai vertici del tennis mondiale, ora sei anche un alfiere del progetto “Atleti al tuo fianco”: quando scenderai in campo per raggiungere il tuo obiettivo di tornare al vertice, rappresenterai anche tutti coloro che stanno lottando contro il cancro, con il proprio medesimo personale obiettivo.