Atleti al tuo fianco: Riccardo Ghedin

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Lotta al cancro e sport si incontrano attraverso il dialogo con atleti professionisti che rivivono e raccontano le propria attività agonistica in un’ottica completamente diversa dal solito, che li avvicina a chi sta affrontando un tumore: questo è il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi prende parte a questa iniziativa Riccardo Ghedin, tennista italiano di 31 anni che vanta la posizione 222 come best ranking nella classifica ATP.

Ciao Riccardo, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi dialogare di tennis in un’ottica molto diversa dal solito: metteremo infatti lo sport al servizio della lotta contro il cancro, andando a parlare di tematiche della vita quotidiana di chi sta affrontando un tumore. L’obiettivo è abbattere barriere di isolamento, umano e tematico, e di creare spunti di riflessione e ispirazione. Per addentrarci nel progetto, partiamo però da te: raccontaci chi sei, come vivi la tua vita fuori dal campo e di come sei diventato un tennista.

Ciao a tutti, sono Riccardo Ghedin, gioco a tennis da 15 anni e se devo partire parlando della mia vita fuori dal campo, non è cosa facile da raccontare, perché comunque sia è tutta orientata agli obiettivi di questa attività sportiva, come un cerchio: non puoi fare gli spigoli, deve essere totale al 100% come dedizione e come impegno. Quindi, fuori dal campo vedo poco gli amici, spesso sono lontano dalla famiglia e da casa per seguire i tornei, vivo praticamente con il bagaglio in mano. Però è una vita svolta alla attività sportiva che amo, quindi tutto è in relazione a quello che mi piace fare su un campo da tennis. Quando ero piccolo, verso i 16 anni, la mia giornata tipo, era andare a scuola alle 7 di mattina col treno, finivo la scuola all’una, alle 14.10 avevo il treno per andare fino a Sustri, per allenarmi fuori Roma con un allenatore, facevo allenamento per tre ore e mezza e dopodiché arrivavo con il treno a casa che erano le 20.30, mangiavo, facevo i compiti e andavo a dormire. Questo per tutta la settimana. Certamente è un percorso al quale nessuno mi ha obbligato, ma rinunciare ad una vita sociale normale a sedici anni non è stato facile. L’ho voluto io per raggiungere il sogno di fare del tennis la mia vita e sono serviti diversi sacrifici per riuscirvi.

Diagnosticare il cancro in fase precoce aumenta le possibilità di sopravvivenza, ma non è facile identificarlo nei momenti iniziali. La mammografia per il carcinoma mammario, la ricerca di sangue occulto nelle feci per il tumore del colon-retto e il Pap-test per il cancro della cervice uterina sono gli strumenti di screening validi a cui sottoporsi, ma per gli altri tumori è più complesso. Alcuni pazienti, dopo la diagnosi, tendono a ripercorrere a ritroso tutti i momenti in cui avrebbero potuto identificare in anticipo la malattia che li sta obbligando a sacrifici e battaglie, ma questo è un nemico insidioso per la mente perché li trascina verso i rammarichi e non li orienta verso le esistenti possibilità di rendere concreta la vittoria della battaglia in corso. Tu ci hai parlato della tua storia e dei tuoi sacrifici per coronare il tuo sogno di diventare tennista: ti è mai capitato di doverti scontrare nella tua mente con l’idea subdola e nemica che se avessi cambiato qualcosa del tuo percorso, oggi saresti potuto essere un tennista migliore?

Sinceramente sì, mi è capitato che questo tarlo si infiltrasse nella mia testa, anche se mi sono sempre ritenuto un giocatore mentalmente forte; tuttavia in alcuni momenti però mi si verifica quel calo di tensione mentale che mi porta a dire “Ho fatto bene? Ho fatto male? Avrei potuto fare di più? E se avessi cambiato allenamento?”. Secondo me diventi un vero campione della vita se riesci a prendere ogni situazione nell’istante presente per affrontarla in quel preciso momento, cercando di trasformarla in ciò che di meglio può essere per te. I pensieri su quanto successo o su quanto non compiuto, sono un grande tranello per il tuo stato d’animo, perché non è detto perché magari, se avessi fatto un’altra cosa, ci sarebbe sicuramente ora una situazione migliore. La vita è fatta di scelte, di opportunità e di situazioni che si presentano. Nel tennis, devi sempre cercare di trasformare nel meglio possibile ogni pallina, ogni punto, ogni gara; ogni pensiero che ti condiziona negativamente in questo senso, è un nemico.

Le sfide che siamo chiamati ad affrontare sono ancora da vivere e da scrivere, come percorso e come esito. Il pronostico in oncologia è uno strumento relativamente utile: ci  sono persone che hanno fatto molta più fatica del previsto per guarire, o che stanno ancora combattendo o che non sono sopravvissute nonostante diagnosi precoci, ma abbiamo anche straordinarie esperienze di persone a cui venivano date poche speranze e che oggi raccontano la propria storia di guarigione totale. Come convivi tu nel tennis con le sfide da favorito sul campo come ad esempio contro una wild card o con le partite in cui vieni sorteggiato contro la testa di serie numero uno del tabellone, ovvero il candidato principale per la vittoria finale del torneo?

Su questo argomento ci sarebbe da parlare mezz’ora perché questo è un trascorso di vita, è semplicemente esperienza. Ho più di 30 anni e di partite in cui il pronostico prima di scendere in campo è sbilanciato ne ho vissute tantissime. Quando avevo 18 anni, prima di entrare a giocare spesso nella testa mi rimbalzava il pensiero “questa è una partita difficile, questo è un match facile”, tutti percorsi mentali che alla fine non servono a nulla: col tempo ho semplicemente capito che in una partita di tennis, tu devi entrare in campo e devi pensare semplicemente a te stesso, al meglio che puoi fare tu. Chi c’è dall’altra parte della rete è una specie di figurina che si presenta con una racchetta per sfidare te. Se la sua classifica è al numero 1000 del mondo ma quel giorno gioca da top 100, la sua miglior partita dell’anno la gioca quel giorno contro di te, se tu dici “ma davvero sto perdendo con questo che è numero 1000?” il tuo stato mentale naufraga. Non esiste pronostico che ti possa aiutare, tu sei chiamato a giocare al meglio quella determinata partita, contro quel determinato avversario in quel particolare giorno. Se vuoi vincere più sfide possibile, è bene che questo entri bene nella tua testa: sarai pronto per sfidare avversari ostici e sarai preparato nell’affrontare le difficoltà dei competitori imprevedibili.

  

Tu l’hai chiamata «esperienza»: si è formata in te maggiormente con gli errori commessi o attraverso l’apprendimento mentale di situazioni che ti hanno trasmesso?

Tutte e due, sia nelle partite che ho perso con giocatori inferiori, sia nelle partite che ho vinto contro giocatori più forti. È tutta una situazione di bilanciamenti in cui il punto fondamentale è l’equilibrio tuo interiore per avere la lucidità di trasformare il vissuto in esperienza, anche attraverso l’apprendimento teorico.

Mantenere l’equilibrio delle emozioni nelle diverse tappe del percorso oncologico è molto difficile e serve un valido supporto di psico-oncologia per non lasciarsi totalmente dominare in momenti particolari, come ad esempio quando si aspetta la data di un esame di controllo. L’obiettivo è un avvicinamento sereno con la capacità di vivere una quotidianità soddisfacente. Nella tua storia sportiva, il momento in cui forse ti sei dovuto più misurare con la tensione di un traguardo importante è stato l’esordio nel tabellone principale a Wimbledon nel 2009: come hai vissuto i momenti di avvicinamento ad un evento per te così determinante? Sei riuscito ad avere un dominio delle emozioni efficace?

Devo essere onesto, lì è stata una sensazione troppo strana, mi sono fatto prendere dall’emozione: era troppo grande la situazione per me rispetto a tutte le altre che ho mai provato nella mia carriera tennistica. Ho dei ricordi vivi particolarissimi: io che sto dentro allo spogliatoio, due guardie che mi aspettano fuori dal corridoio, mi aprono la strada, tu muovi i piedi e non vedi nulla da tanta gente che ti circonda. Camminavo accanto a Gulbis, il mo avversario, e improvvisamente vedo il campo verde dopo 3-4 minuti di cammino scortato. Mi sono trovato in quella situazione e l’unica cosa che sono stato capace di pensare è stata “e adesso?”.  I primi 40 minuti stavo nel campo ma non realizzavo quello che stava succedendo, ero più preso dalle emozioni che altro. Poi, ho preso la bastonata del primo set, un po’ mi sono tranquillizzato, e ho incominciato a giocare meglio, però le emozioni hanno preso il sopravvento. È fondamentale la preparazione per evitare questo, non è solo un discorso del cervello, coinvolge tutto il corpo: il cuore ti batte più veloce, gli arti ti tremano un pochino, il respiro non è fluido come al solito. È chiaro che tutto ciò puoi arrivare a dominarlo attraverso la preparazione della mente, ma io devo candidamente ammettere che in quella situazione non ho raggiunto questo obiettivo, pur rimanendomi il ricordo di un’esperienza unica.

Ho un’ultima domanda per te Riccardo. Molte volte lo svuotamento delle energie in seguito alle terapie e alla malattia, la cosiddetta fatigue, è per un paziente oncologico una difficoltà enorme, che lo induce a pensare che si sta irrimediabilmente avvicinando l’esito nefasto della battaglia che sta vivendo. Tuttavia, non è assolutamente lineare il rapporto tra stato di energie ed evoluzione della malattia: si può arrivare ad essere annientati a livello energetico e poi riuscire a guarire dal cancro, molte persone lo possono testimoniare. Nella tua esperienza sportiva, ti è mai successo di giocare una sfida nella quale tutto sembrava irrimediabilmente perso ma, in maniera inaspettata, sei riuscito a condurre la partita a tuo favore ed ottenere la vittoria finale?

Sì, mi è capitato proprio a Wimbledon, al secondo turno di qualificazione, nell’anno in cui poi sono entrato nel tabellone principale.  Stavo perdendo in maniera molto netta contro il russo Kudryavtsev 6-3 5-3, 40-30 match point, stava battendo lui e non ero mai arrivato a 40 nel suo turno di servizio in tutta la gara. Lui serve la prima, un missile che credo sia uscito di 2-3 centimetri. L’arbitro la chiama fuori, respiro di sollievo, perché sennò era finita la mia esperienza a Wimbledon; serve la seconda, vinco il punto, e nei due punti successivi vinco il game. Da quel momento, cambia il match. Vinco 7-6 il secondo set e 6-2 il terzo. Queste è una delle partite che mi ricordo come fosse adesso, perché sul quel missile di servizio, su quel punteggio, chiunque mi avrebbe dato per spacciato, e anch’io mi sentivo un po’ tale. Ma la differenza è stata senza dubbio la capacità di vincere quel punto sull’occasione creata dal suo servizio out: se lui l’avesse messo dentro, partita e torneo finiti. Ma tu devi essere pronto perché se lui lo mette fuori, non puoi essere tu a darti per spacciato: devi giocarti l’occasione che hai, anche una sola, ma in quella ci devi mettere tutto. Quello è stato per me un giorno fantastico, che mi ha insegnato moltissimo, non solo sul campo da tennis.

Anche tu oggi Riccardo ci hai insegnato molto, ci hai aperto il baule della tua esperienza raccontando le tue forze e le tue debolezze. Ci hai permesso di parlare della realtà quotidiana di chi affronta un tumore, ci hai dato modo di avere spunti di reazione e di avvicinamento attraverso la tua vita sportiva. Da oggi tu sei un Atleta al fianco di chi sta combattendo il cancro, ogni volta che scenderai in campo rappresenterai anche questa sfida, per questo avrai la gratitudine di moltissime persone.

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