Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità agonistica? Oggi ha accettato questa sfida Umberto Rianna, tecnico della Federazione Italiana Tennis formatosi all’Accademia Bollettieri e responsabile del progetto Over 18 che guida i giovani tennisti italiani nel mondo del professionismo.
Ciao Umberto, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco. Oggi sfrutteremo la tua grande esperienza di tecnico federale di tennis per parlare e presentare alcuni aspetti della vita quotidiana delle persone che stanno affrontando un tumore. Prima di cominciare però, dacci modo di conoscerti meglio: presentati ai lettori della nostra rubrica, sotto il profilo professionale e sotto quello personale.
Ciao a tutti, mi chiamo Umberto Rianna, sono un uomo di 47 anni, sono cresciuto dapprima in una piccola cittadina e poi ho avuto la possibilità di trasferirmi negli Stati Uniti dove mi sono formato, con la possibilità di allargare i miei orizzonti. Ho avuto l’occasione di confrontarmi con diverse culture di svariate etnie e questo mi ha aiutato a creare una predisposizione al confronto con mentalità diverse. Questa esperienza mi ha dato tantissimo, ha fatto sì che i confini della mia mente si espandessero. Professionalmente, mi piace considerarmi un maestro, cioè una persona che mette a disposizione le proprie esperienze e le proprie competenze per la formazione dei tennisti più giovani, che è un lungo percorso.
Anche in oncologia, la ricerca della guarigione è un percorso quasi sempre molto lungo. Bisogna lavorare con la psico-oncologia sulla mente dei pazienti e delle loro famiglie affinché non vengano confusi i risultati parziali e gli obiettivi finali. Si può arrivare a guarigione anche attraverso momenti di salute molto precari, che se analizzati singolarmente farebbero presagire tutto ma non una guarigione. Da allenatore quale sei, come ti poni tu nei confronti del percorso globale di un ragazzo giovane quando, nelle sue prime esperienze nelle competizioni, palesa il bisogno di vedersi vincitore in alcune sfide per aver la conferma che le sue fatiche stanno venendo spese bene?
La prima cosa sulla quale insisto tantissimo sin dall’inizio è la differenza tra mezzi e obiettivi, cioè i ragazzi devono capire che nel loro tragitto il vero obiettivo è il percorso formativo; poi, ci sono tante tappe, ci sono molteplici esperienze che loro vivono e per questo bisogna che non confondano le due cose: molto spesso infatti, il loro primo obiettivo è la vittoria immediata, arrivare ad un risultato a tutti i costi. Questo, non sempre li forma, anzi: molte volte non fa altro che aumentare le loro aspettative senza dar loro le necessarie risorse, quindi è proprio su questo che io pongo grande attenzione. È fondamentale imparare, ripeto, andare al di là di un semplice risultato immediato, capire che è un percorso molto più lungo ed è importante come loro si pongono di fronte a delle difficoltà, non se riescono a superarle o meno.
Un aspetto che spaventa molto chi si sottopone alle terapie è la reazione del proprio corpo alla chemioterapia. Il lavoro della psico-oncologia non è tanto finalizzato ad anticipare le possibili reazioni, quanto ad allenare la mente a difendersi dalle insidie delle situazioni che non si possono prevedere. Come lavori tu con i tuoi ragazzi relativamente alle situazioni imprevedibili di difficoltà che si possono presentare nel corso di un match di tennis?
E’ molto simile il percorso anche per un allenatore, perché nel tennis ci sono continui adattamenti: più che andare nella circostanza specifica per adattarsi ad un certo tipo di superficie, di pallina, di situazione decisiva in un momento di fatica, bisogna allenare la loro mente per capire che questo fa parte del loro percorso, e quindi devono prendere coscienza di questa situazione e capire che ci sarà un continuo adattamento in situazioni molto diverse in cui mettere in gioco i propri mezzi. Non possiamo creare un allenamento su una condizione che potrebbero trovare al quinto set di un match in Australia a 35 gradi, dobbiamo invece preparare la loro mente e il loro fisico perché anche in una situazione come quella, il tennista sia in grado di rispondere in direzione positiva per mettersi alla prova utilizzando i propri mezzi senza farsi sopraffare dalle condizioni esterne.
Il dubbio è un nemico da cui è importante ogni persona ammalata di tumore impari a difendersi. In determinati casi infatti questo può incrinare il rapporto di fiducia tra medico e paziente, che è fondamentale per porre le basi di un percorso comune costruttivo. Ti è mai capitato di avere a che fare con tennisti che si rivolgessero a te perché provenienti da una rottura di rapporto con il proprio allenatore precedente per una mancanza di fiducia?
Quello che hai appena detto succede praticamente sempre nel lavoro che faccio io, soprattutto per il compito che sto svolgendo adesso. In realtà, subentrare in un percorso formativo già avviato non è per nulla semplice; la prima cosa che si fa è richiedere la massima apertura, la massima disponibilità a chi ti ha interpellato, altrimenti è difficile. Successivamente bisogna prepararli al fatto che, all’inizio, loro non sono abituati a determinati messaggi, input e situazioni e potranno, anzi, è molto probabile che si possano trovare in difficoltà. In tal caso è come chiedere una prova, un atto di fede: capisci così se effettivamente loro hanno la possibilità di aprirsi ad un nuovo tipo di percorso che integri quello che loro hanno già svolto, altrimenti è molto difficile riuscire ad avere un minimo di impatto. Però è chiaro che la scelta finale deve essere loro, le motivazioni vere devono venire da loro, dipende da quanto loro desiderano veramente un certo tipo di situazione. Io non posso far altro che valorizzare o dare più energia a quello che loro hanno già dentro, ma non posso sostituirmi ai loro desideri, alle loro ambizioni.
Alcune volte in oncologia assistiamo a storie straordinarie, persone che inizialmente presentavano un quadro clinico molto grave e che invece con le terapie giuste, attraverso molto tempo riescono a raggiungere il traguardo della guarigione, difficilmente prevedibile all’inizio; questo grazie all’evoluzione delle terapie, che stanno diventando sempre più efficaci e mirate, e al lavoro e collaborazione delle diverse figure mediche nell’equipe oncologica. Non voglio che tu me ne faccia il nome, ma ti è mai capitato che ci fosse un ragazzo che ti ha sorpreso perché non avresti mai pensato raggiungesse il circuito professionistico del tennis?
Sì, è chiaramente successo, ma più che altro nel mio percorso professionale giovanile, cioè, quando avevo un certo tipo di esperienza diverso da quello che ho adesso. In passato quindi, mi è capitato e devo dire che l’elemento che mi ha sorpreso in queste persone è stata un’autostima che era superiore alle loro risorse in quel momento. Questo li ha portati ad avere una carriera migliore, o superiore a determinate aspettative, ed è un elemento molto interessante questo. Ora non pronostico mai quando mi trovo di fronte un giovane tennista, piuttosto cerco di individuare il cammino migliore da fargli percorrere e concentrarmi sulle risorse da offrire per far sì che completi il suo percorso formativo nel migliore modo possibile. Capire se potrà o meno arrivare a un predeterminato risultato è uno spreco di energie rispetto alla possibilità di concentrarsi sulle risorse da offrirgli, sarà anche attraverso quelle che eventualmente potrà scrivere una storia eccezionale.
Grazie Umberto, confrontarci con un tecnico è per noi una situazione diversa ma le tue parole ci hanno guidati in un percorso chiarissimo, votato alla capacità di raggiungere obiettivi attraverso il lavoro sui mezzi. Siamo orgogliosi di avere nella squadra di Atleti al tuo fianco un maestro ma soprattutto un uomo del tuo spessore.