Parlare di cancro in maniera libera con sportivi professionisti, ponendo la luce su aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore mentre si dialoga di sport: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Entra a far parte di questa squadra di atleti Valeria Straneo, maratoneta italiana, medaglia d’argento ai Mondiali di Mosca nel 2013 e agli Europei di Zurigo nel 2014.
Ciao Valeria, benvenuta nel progetto Atleti al tuo fianco; insieme trasformeremo la tua esperienza sportiva in spunto per raccontare alcuni aspetti della quotidianità delle persone che stanno affrontando un tumore. Proprio perché ci concentreremo su alcuni aspetti della vita di tutti i giorni, per iniziare ad entrare in un clima di dialogo, raccontaci la tua personale quotidianità: come organizza la sua vita un’atleta di livello mondiale, tra allenamenti e attività familiari?
La mia vita quotidiana è un bellissimo mix di attività: mi alzo di solito verso le 7, preparo la colazione per i miei ragazzi di 12 e 10 anni, quindi accompagno mia figlia a scuola e poi vado a portare i cani a correre un po’ all’argine: la prima corsa della giornata tocca a loro. Al rientro svolgo le mansioni domestiche necessarie e, una volta finite, vado a fare il primo allenamento. Dopo aver organizzato il pranzo per la famiglia, la pianificazione della giornata dipende dalla stagione: faccio il secondo allenamento con la luce del giorno, quindi d’inverno lo organizzo sul presto mentre nei mesi estivi lo svolgo molto più tardi. Nel mezzo, faccio un po’ di servizio taxi per gli impegni dei figli prima di occuparmi della cena. Per me l’aspetto dell’alimentazione è molto importante e cerco di aiutare la mia famiglia a mangiare in modo sano, anche se spesso questo comporta un maggiore impiego di tempo. La sera viene dedicata a film o serie tv, tutti insieme se i ragazzi hanno finito i compiti; a 22,30 tutti a nanna, che il giorno dopo si riparte da capo!
Hai fatto riferimento all’alimentazione. Non tutti sanno che il rapporto con il cibo, per chi sta affrontando chemioterapia e radioterapia, può essere complicato: improvvisamente cambia la percezione dei sapori, alcuni odori danno profondo fastidio e ci può essere un danno delle mucose del cavo orale che rende masticazione e deglutizione molto difficili. Terminate le terapie, o in alcuni momenti di pausa dalle stesse, recuperare il proprio buon rapporto con l’alimentazione è un passaggio di grande felicità. Per te che sei una maratoneta, la relazione con il tuo percorso alimentare comporta situazioni particolari rispetto a quello che mangeresti se non fossi un’atleta?
L’aspetto alimentare per un maratoneta è fondamentale, praticamente il cibo è la nostra benzina e tutto quello che butti dentro influenza poi la tua prestazione. È determinante mangiare bene, anche se io da sempre ho cercato di approfondire la cultura alimentare: mi piace informarmi, leggere e capire come farmi del bene attraverso il cibo. Mi ha anche sempre seguito un dietologo molto bravo, si chiama Nicola Sportiello e abita a Padova, purtroppo distante da me che sono di Alessandria, ma con il quale sono sempre in contatto. Un’alimentazione sana è importante, ma lo è altrettanto che sia varia: a volte si pensa che sia solo per mangiare meglio, in realtà con i vari pesticidi, metalli e piccoli veleni vari che purtroppo ci arrivano sulla tavola con i prodotti attualmente in commercio, variando gli alimenti si riesce a non assumere troppe medesime sostanze nocive. Io di solito mangio molto leggero, generalmente cibi poco saporiti; per me non è uno sforzo, anzi, prediligo proprio questo tipo di cucina: mi sono abituata così e mi sento bene in questo modo. Non amo le cose troppo zuccherate, ma adoro il cioccolato fondente: non me lo faccio mai mancare, è proprio un piacere. Quindi per preparare bene il mio corpo all’allenamento, seguo una dieta molto semplice, varia e bilanciata tra proteine, carboidrati, frutta e verdura, e semi oleosi come noci, nocciole e anacardi. Adoro le melanzane alla parmigiana, ma è chiaro che non posso mangiarle prima di una corsa: quello resta il mio premio post maratona. Però per me non esiste il piatto triste: anche la pasta in bianco a me piace molto, non è una punizione. Io mi metto a tavola con appetito, con entusiasmo e con gioia. A volte capita di mangiare una cosa che ti rimane sullo stomaco, così poi in allenamento ti senti appesantito o addirittura devi fermarti per andare in bagno; quindi meglio mangiare più leggero. Capita infine che ci siano delle volte in cui ho proprio voglia di mangiarmi una coppetta di gelato o un piatto di patatine fritte: va bene anche quello, basta che non sia un’alimentazione base.
Quando si pianifica la durata dei cicli di terapia, molte volte le previsioni vengono rispettate, alcune altre invece no. Questo comporta un momento di grande difficoltà per chi vede prolungare la necessità di sottoporsi a nuove terapie quando invece ne presagiva la fine. La mente reagisce facendo credere “di non farcela più”, di aver finito le riserve energetiche nella testa e nel fisico; la psiconcologia interviene per offrirti nuove risorse per affrontare anche le nuove tappe terapeutiche con la determinazione di chi ha un obiettivo grande da raggiungere. A te è mai capitato di trovarti a metà percorso di gara e aver calcolato male la proiezione di durata, sentendo di non aver la forza per arrivare fino al traguardo?
Mi è successo una marea di volte, sia in gara, sia proprio durante la quotidianità degli allenamenti. La maratona, essendo una distanza lunga, prima o poi ti presenta la crisi che ti fa sentire sfinito, che sia più o meno forte la devi mettere assolutamente in conto. Io non ho una strategia ben precisa per affrontarla, però mi dico che devo compiere un passo alla volta e piano piano in fondo ci si arriva. Costa tantissima fatica e delle volte vorresti prendere, fermarti e non volerne più sapere; poi pero è troppo bello arrivare al traguardo e la soddisfazione è grande quando lo tagli per davvero, è il motivo per il quale hai lavorato così tanto, non devi buttare tutto all’aria per un momento di crisi, non lo trovo né giusto né bello. Per cui, vado avanti veramente con piccoli passi, cerco magari di rallentare un attimo, se magari ho il ristoro bevo, mi incoraggio e cerco di fare pensieri positivi. Vado avanti anche se è dura, però ripeto, con piccoli passi, perché anche se minuscoli e ravvicinati, sono quelli che poi ci portano al traguardo: la conclusione, il traguardo con il suo nastro da tagliare, prima o poi arriva.
È fondamentale aiutare pazienti e familiari a distinguere speranze ed illusioni, non solo per poggiare le proprie aspettative su dati clinici realistici, ma soprattutto perché si mantenga sempre viva la reale speranza. Alcune volte infatti si tende ad essere pessimisti per paura di trovarsi drammaticamente delusi di fronte ad un ottimismo disatteso, ma soffocare speranze reali è un modo controproducente di affrontare un percorso oncologico. Tu Valeria hai subito un intervento chirurgico molto importante: per una sferocitosi ereditaria, ti hanno dovuto asportare la milza. C’è mai stato un momento in cui hai creduto che sperare di tornare a correre dopo quell’intervento fosse un’illusione e non una reale possibilità?
Se ci penso, devo dire che non c’è davvero stato un momento simile, perché io praticamente, non avrei mai pensato di fare l’atleta dopo quell’intervento. Io ovviamente ho levato la milza perché era necessario, se no non l’avrei mai fatto: la mia milza si era ingrossata di 18 cm, mi occludeva perfino una parte dell’intestino, è stata veramente necessaria l’asportazione. Dopo averla tolta, io non avevo più intenzione di fare atletica a livelli intensi; ero stata davvero male, poi i miei bambini erano piccoli, quindi aggiungici anche le notti insonni, io avevo detto “dopo l’operazione, basta: voglio solamente correre per diletto”. Poi, una volta che ero a posto con i valori ematici, le mie prestazioni sono esplose, mi sono praticamente ritrovata in mano nuove opportunità: io non avrei mai pensato di fare certi tempi, di andare alle olimpiadi, per cui l’ho vissuta proprio come una gioia non pianificata. Questo ha impedito che ci fosse un rapporto con la speranza e l’illusione, perché non rientrava proprio nei miei programmi! Non so come dirlo, mi sono resa conto dei miei mezzi solo dopo, quando erano più consolidati: ho solo cercato di mettere a frutto una nuova occasione che la vita mi aveva offerto e che non potevo certo disperdere.
Hai mai la consapevolezza di stare offrendo un esempio importante a chi deve affrontare un intervento di asportazione della milza e crede che in seguito non potrà in alcun modo fare attività fisica?
Sì, sono contentissima di poter dare questo esempio; mio malgrado eh, perché questa è stata la mia vita, per cui non voglio assolutamente insegnar niente a nessuno, è una cosa che a me è capitata e che avrei comunque volentieri evitato. Sono però contenta perché in tanti mi hanno scritto, mi hanno fatto sapere che ho dato una speranza a molte persone: in molti si sono immedesimati nelle difficoltà e nella gioia che ho provato, la fortuna che ho avuto io nonostante una situazione delicata di salute. Sono stati anche tantissimi i messaggi ricevuti da chi ha la sferocitosi: la gente mi fa capire che sto offrendo una speranza, questo per me è molto gratificante.
Ricevere una diagnosi di tumore maligno, in qualche modo ti rapisce dalla tua vita abituale. Tra le molte difficoltà, ti fa anche sentire sequestrato dal tempo, come se tutto intorno proseguisse e progredisse mentre tu vieni stoppato, costretto a ripartire da capo in molti progetti e percorsi intrapresi. Nella tua dinamica agonistica, quando vivi un infortunio che ti ferma dagli allenamenti, come contrasti la sensazione di star sprecando tempo, con la consapevolezza di dover ripartire da più indietro nel tuo percorso di miglioramento dei tempi cronometrici?
È un argomento che mi tocca molto da vicino, soprattutto in questo periodo, perché purtroppo, sto vivendo un infortunio dietro l’altro: non è facile, perché ogni persona privata della propria quotidianità, fatica a stare bene, anche noi atleti. Certo, la paura di perdere tempo è presente in quanto tu sei fermo e tutti gli altri vanno avanti, quindi è normale avere timori, ansie, dire “chissà se tornerò quella di prima, se ce la farò a fare le stesse cose, se riuscirò ad allenarmi bene”. Alla fine secondo me però, ce la si fa: è il senso di impotenza che ti fa sentire in qualche modo speso male, che tende quindi una trappola alla tua mente facendoti credere che in quel momento sei inutile. Questo tranello va tenuto lontano dalla testa, perché anche mentre sei fermo in qualche modo stai evolvendo, anche solo per il fatto di dover affrontare uno stop forzato. E quando riparti, quanto hai fatto prima non si cancella. Anche per me è difficile in questo momento comprendere bene questo aspetto, perché continuo a fermarmi, non ho più continuità nell’allenamento e di conseguenza anche le prestazioni ne risentono. Cerco di non farmi sopraffare dalle paranoie: non è facile, ma non puoi fare altrimenti. Per cui, ti devi armare di tanta pazienza, seguire quello che ti dicono i medici e trovare la pace con il tuo corpo attraverso la tua mente: bisogna anche sapersi ascoltare, è un buon modo per ben sintonizzarsi con la vita, accettando le prove che ci offre.