Parlare di cancro in maniera libera con sportivi professionisti, conversando sulle loro difficoltà e abitudini nell’agonismo ma ponendo la luce su aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco“, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi raccoglie questa sfida Vincenzo Santopadre, tennista italiano che negli anni 90 è stato top 100 nella classifica mondiale, e oggi tecnico e maestro di tennis.
Ciao Vincenzo, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco e grazie per esserti messo a disposizione di questa iniziativa: parlare di cancro sfruttando le situazioni quotidiane dello sport. È una sfida importante e non facile, ma passo dopo passo riusciremo a farla insieme. Cominciamo però da te: per entrare in relazione e conoscerti meglio, raccontaci quale è stato il tuo percorso di crescita prima di diventare un tennista professionista.
Ciao a tutti, grazie per questa opportunità. Ho iniziato sin da piccolo a vivere i circoli di tennis, giocando e allenandomi, e lì in mezzo a tanti sportivi ho formato alcuni valori importanti, che mi legano indissolubilmente allo sport. Altro elemento che mi ha educato e cresciuto è stata la scuola, in qualche modo sono il frutto dell’incontro delle esperienze sportive e di vita. Posso dire di aver avuto il privilegio di un’infanzia classica come molti altri coetanei, che non stavano però costruendo il sogno di una carriera da sportivo professionista. Ovviamente il cardine di tutto questo è stata la mia famiglia, a cui sono molto legato: ho due sorelle più grandi e ho avuto una mamma e un papà che purtroppo ho perso a causa del cancro.
Alcune volte per curarsi bisogna andare in centri specializzati anche lontani da casa; ciò ti costringe a vivere momenti emotivamente intensi senza la vicinanza dei tuoi affetti più cari. Essere nato in una grande città come Roma ti ha dato la possibilità di fare il percorso di crescita agonistica continuando a vivere con la tua famiglia o sei uno di quei ragazzi che ha vissuto l’allontanamento da casa per venire collocato nelle scuole tennis della federazione?
Non si può mai avere la controprova, però ho sempre creduto di essere riuscito a fare questo percorso agonistico da tennista professionista proprio perché ho avuto la possibilità di compierlo rimanendo a contatto con gli affetti intimi, sentendomi bene e facendolo vicino a casa. Il trasferimento più impegnativo che ho fatto da ragazzo è stato in alcuni anni allenarmi a Ostia, che si trova a 50 km da casa mia, però facevo avanti e indietro da casa dalla mattina alla sera: non mi sono mai realmente staccato da casa fino a quando poi crescendo sono diventato un tennista professionista e per la necessità di svolgere tornei sono dovuto partire ed essere fuori casa anche per molte settimane all’anno. Ho avuto la fortuna di poter fare anche da ragazzo un tennis che mantenesse alla propria base il divertimento e l’entusiasmo, che sono secondo me le qualità cardine per vivere una vita serena, indipendentemente da ciò che può essere la professione di ognuno di noi.
Molti pazienti raccontano che l’incontro con il cancro mette in difficoltà esattamente le qualità cardine di una persona, quelle caratteristiche che fino ad allora erano state per loro certe e indiscutibili. Qual è stata la tua qualità cardine da giocatore?
Quando ero giocatore la mia qualità principale era riuscire a mantenere la lucidità e la freddezza anche nei momenti più caldi, facendo le cose con estrema energia ma anche molto equilibrio. Mi piaceva ad esempio giocare a Roma, dove avevo intorno un grande pubblico, tutti gli affetti e una carica particolare, ma allo stesso tempo mentre questo mi caricava, riuscivo a rimanere freddo e sereno in tutto il mio gioco.
Come facevi tu da tennista ad affrontare una sfida importante nella quale però ti accorgevi che le tue qualità chiave non ti davano il necessario supporto?
Io penso che ognuno debba conoscersi profondamente; bisogna fare ragionamenti a freddo che ti permettano poi quando sei a caldo di avere più capacità di gestire la sfida: prevedi, prendi in tempo, anticipi, reagisci. Mi è capitato, anche se molto raramente, di perdere la calma in campo, alcune volte per una chiamata completamente errata, però poi ti accorgi che se vuoi progredire sarà grazie alle tue qualità e su di loro in qualche modo devi puntare. Perderle per qualche periodo non significa non averle più. A mente lucida, devi rifletterci sopra e capire che sei più forte di quello che l’impulsività o la paura ti portano a provare e pensare di te. Certo, ci sono molte cose che non dipendono da noi, però noi dobbiamo essere gli artefici del nostro cammino in tutte quelle situazioni che ci vengono concesse e penso che proprio la volontà, la determinazione, l’essere positivi e vincenti nelle difficoltà sia la caratteristica principale che vada ricercata in ogni ambito.
Allenarsi a mantenere l’equilibrio emotivo è fondamentale per la salvaguardia di una quotidianità serena quando stai lottando contro il cancro; esistono però momenti in cui le emozioni sono più intense che in altri, come ad esempio quando ti devi presentare ad una visita di controllo o aspetti il referto di un esame strumentale. Tu hai giocato nella tua carriera moltissimi tie-break: come riuscivi a mantenere la lucidità di cui ci hai parlato anche quando in uno-due punti si decideva un set o un match o addirittura un intero torneo?
Non si può pensare di arrivare a comandare momenti delicati improvvisando. La preparazione, l’allenamento del fisico e della mente sono tutto ciò che serve per ritrovarsi in momenti decisivi e dominare quel che sta succedendo. Certo, non è garanzia di infallibilità, però è un percorso fondamentale. Nel tie-break sei chiamato a non fare altro rispetto a quel che ti ha portato fino al tie-break, ovvero giocare a tennis: la vera sfida sta nel saper tenere a bada tutto ciò che può influire negativamente sul tuo gioco, ed è quasi tutto nella tua testa. Anche quando si è fatto un errore grande, magari tirando a rete una facile chiusura, ci sono delle routine che si acquisiscono per far sì che la mente possa essere richiamata ad una prontezza per giocare il punto successivo.
Lotta al cancro non vuol dire solo affrontare una diagnosi in prima persona, ma anche vivere a fianco di un paziente oncologico. Il ruolo del care-giver, cioè colui che si prende cura, è un aspetto fondamentale. Adesso che non sei più tennista ma allenatore, riesci a trasmettere questo tuo equilibrio ai tuoi ragazzi?
Nel ruolo di maestro come aspetto primario cerco di capire se effettivamente i ragazzi hanno questo tipo di passione, votata al divertimento e all’agonismo. Lo sport, e in particolare il tennis, ti dà in più rispetto ad altre attività la capacità di dover gestire vittorie e sconfitte: se vuoi diventare tennista professionista, un equilibrio emotivo nell’incontro con questi due elementi lo devi trovare. Poi, c’è il salto di qualità per diventare un campione: io ripeto spesso ai miei ragazzi che il campione è colui che prova a risolvere i problemi nelle difficoltà. Siamo bravi a far funzionare le cose quando tutto va bene, ma la vera qualità di un campione emerge quando riesce a mantenersi forte nelle situazioni a lui non congeniali, quando magari tutto gira storto. Reagire positivamente laddove tanti non vedono spiragli positivi, è la qualità del vero campione. Queste doti, questi valori che ti dà lo sport, poi te li ritrovi a disposizione al di fuori dal rettangolo di gioco, nella vita di ogni giorno, con le sue difficoltà a volte anche molto grandi. Penso a un mio amico che si chiama Simone: lui sta combattendo come un leone in un letto d’ospedale ora, lui è un campione, perché riesce a fare esattamente tutto questo.
La paura di perdere tutto, o non riprendere nulla di quanto si aveva, è frequente in chi sta combattendo contro il cancro. Nella tua carriera, hai raggiunto la posizione numero 100 al mondo come best ranking, dopo la quale sei sceso parecchio in classifica per poi risalire piano piano. Come si fa a risalire dopo un periodo nel quale viene messo in discussione tutto quello che avevi costruito e che ti sembra di aver irrimediabilmente perso?
Sicuramente ognuno ha le proprie caratteristiche caratteriali, io penso di aver avuto la fortuna di disporre di un carattere predisposto a non esaltarsi per una vittoria né depresso per una sconfitta, per cui i miei saliscendi non mi sono mai sembrati devastanti. Io ho sempre pensato a continuare a fare ciò che stavo facendo, convinto che ogni tappa e anche ogni sconfitta avrebbero migliorato le mie capacità e che, guardando ciò che ero stato, ci dovesse essere lo stimolo che tutto quello fosse semplicemente una conferma di quanto io fossi davvero capace di fare. Quindi, nell’evoluzione del percorso riuscivo grazie a questo a vincere il dubbio della potenzialità di ripeterlo. Una testa vincente, pronta per essere positiva, questo è fondamentale. Poi ci stanno persone che vivono la vittoria e la sconfitta in maniera più forte, ma se sei chiamato a sfide di alto livello ti devi sforzare per migliorare certi aspetti caratteriali.
Grazie Vincenzo per la tua testimonianza, da oggi sei un atleta al fianco di chi combatte contro il cancro. Da maestro preparato, sei stato capace di porti nelle vesti del miglior care-giver che un paziente potrebbe desiderare. Le tue parole saranno di stimolo e riflessione per molte persone, Simone compreso, a cui è destinato un grande abbraccio da Atleti al tuo fianco.