La lotta al cancro e il mondo dello sport si incontrano nel progetto Atleti al tuo fianco, con l’obiettivo di raccontare la quotidianità di chi affronta un tumore e di far sentire loro la vicinanza degli sportivi professionisti. Il progetto è patrocinato da aRenBì Onlus ed è curato dal dott. Alberto Tagliapietra, medico chirurgo bresciano con diploma d’alta formazione in psiconcologia. Entra a far parte di questa squadra Vitantonio Liuzzi, pilota di Formula 1 negli anni 2000 con Red Bull, Toro Rosso, Force India e HRC.
Vitantonio, con Atleti al tuo fianco la tua esperienza di pilota di Formula 1 si mette al servizio della divulgazione oncologica, permettendoci di raccontare alcuni risvolti della vita quotidiana delle famiglie che affrontano un tumore grazie all’uso della metafora sportiva. In questo modo alcune difficoltà saranno capite con maggiore efficacia, generando comprensione, vicinanza e sostegno. Partiamo però da te: raccontaci qualcosa del Liuzzi uomo, che ci possa permettere di dire di conoscerti meglio nella storia della tua vita che ti ha portato sulle monoposto, con i successi e le incertezze che hai dovuto affrontare.
Sono Vitantonio Liuzzi, Tonio per tutti perché ho sempre un po’ odiato il mio nome che era troppo lungo. Sono nato come calciatore, sogno che ho inseguito per anni, poi per fortuna uno dei miei compagni di classe mi ha avvicinato al mondo del go-kart, che per me è stato un colpo di fulmine, e da allora fondamentalmente mi è cambiata la vita. Fin da piccolo, ho sentito dentro di me questo amore profondo per il mondo delle quattro ruote e che poi mi ha portato a fare tante bellissime esperienze anche in età adolescenziale, per poi arrivare al culmine della mia crescita in Formula Uno. Io penso di avere avuto una adolescenza molto particolare perché ogni giorno pensavo a come migliorare me stesso fin da quando avevo 11 anni: è il periodo in cui ho iniziato a correre con i go-kart e ho avuto diciamo questo scatto mentale che mi ha fatto capire dove volessi arrivare, quali fossero i miei obiettivi. In questo modo però non ho avuto una vera e propria adolescenza, quella spensierata e frivola dei miei coetanei: oggi che ho quarant’anni questo torna un po’ indietro sentendomi spesso un ventenne, anche se il mio fisico non la pensa allo stesso modo. Sotto questo aspetto sono stato molto fortunato, perché io sono nato con un problema grandissimo che si chiama ernia diaframmatica congenita: negli anni ’80 era un problema molto serio che non tutti i colpiti superavano, ho avuto la fortuna di essere stato operato a tre mesi e di aver superato questa condizione, che però durante la mia crescita mi ha portato altri problemi. Ogni volta che mi controllava un medico, mi diceva che avrei dovuto smettere di correre per i problemi polmonari e alla colonna vertebrale a causa di tutto ciò, quindi nessuno pensava che potessi diventare davvero un pilota. Io però sono stato uno di quelli che, sin da piccolo, ha creduto in sogno, ha insistito con tantissima caparbietà, con il sostegno dei genitori che mi hanno supportato nelle mie follie che poi fortunatamente sono diventate realtà con otto anni importanti in Formula Uno e 81 gran premi: sono stati veramente un traguardo importantissimo per uno con la mia storia. Ed ecco perché io molto spesso quando parlo con ragazzi giovani o ragazzi con problematiche di diversi tipi, dico sempre quello che mi è successo, perché alcune volte bisogna mettere a disposizione di un sogno tutta la volontà di cui si è capaci per prendere ciò che anche una vita con difficoltà è in grado concedere.
Prendendo spunto dal tuo racconto, possiamo iniziare dando voce ad una condizione sottovalutata globalmente nella vita quotidiana con un tumore: la qualità del sonno. Tendenzialmente la società civile si preoccupa, comprensibilmente, di aspetti più gravi sotto il profilo clinico, eppure non è facile per una persona ammalata di cancro riuscire a dormire bene. Non ci sono solo i pensieri e l’inquietudine da dominare, in molte situazioni operazioni chirurgiche o effetti secondari dell’effetto di una massa in un corpo causano difficoltà a trovare una posizione agevole al sonno. “Riesci a dormire bene?” è una domanda che aiuta una persona ammalata a sentirsi capita. Con i tuoi problemi alla schiena, hai mai dovuto affrontare dolori intensi mentre ti trovavi nel corso di una gara di Formula Uno?
La vettura da gara non è una macchina comoda: già entrare è difficile. Il sedile ha una seduta molto stretta e non particolarmente confortevole, e può capitare anche di sbagliare a prepararlo; quando lo provi per le prime volte sembra andare bene, poi molto spesso escono delle problematiche durante la gara che non ti aspetti. Nella mia vita però ho potuto spesso testare quanto la forza mentale possa contribuire a superare le difficoltà: quando magari iniziavo ad avere i dolori, iniziavo a focalizzare il mio pensiero su tutt’altro. Le gare sono molto lunghe e si arriva ad avere anche Gran Premi di quasi due ore, con i circuiti cittadini molto sconnessi e tortuosi ovviamente il dolore diventa lancinante. La parte psicologica per noi è veramente fondamentale: riuscire a distrarre il tuo focus da quel problema e cercare di concentrarti su altro, questa per me è sempre stata la chiave. Io ricordo gare dove per gli ultimi 15 giri ho avuto crampi fortissimi alla gamba sinistra, quella del pedale del freno, e ogni volta che dovessi frenare provavo un dolore insopportabile. Quando però ho affrontato situazioni come questa, in cui il dolore diventasse dominante, ho capito che il ricorso alla psicologia e al potere della mente era l’unica cosa che potesse aiutarmi ad arrivare a fine gara, e così è sempre stato.
Cercare di impiegare il tempo e le energie dando valore alla propria vita è una chiave importante per ogni persona ammalata di tumore, per non vedere la propria vita invasa e fagocitata dal cancro. Al tempo stesso però è necessario accettare, in certe situazioni in cui le condizioni lo richiedano, di rinunciare a certe proprie ambizioni per concentrarsi sul recupero delle energie e sul ristoro del corpo e della mente. Spesso la vita quotidiana con un tumore è proprio un costante equilibrismo tra ambizioni e rinunce. Parliamo ora di Formula Uno: ci racconti come in pista si gestisca la propria capacità e volontà di fare i tempi migliori vincolata alla valutazione delle condizioni dell’usura delle gomme?
Gestire gli pneumatici durante un’intera gara è come la capacità di camminare in equilibrio su una fune molto sottile, la cui strategia cambia da pilota a pilota: ci sono i più metodici che riescono a gestire meglio i consumi rinunciando all’intensità di guida costante ed altri più aggressivi, che non puntano a modificare la propria guida e quindi pagano in termini di usura la propria indole. Senza dubbio però la condizione degli pneumatici influenza la prestazione della vettura, e quindi di conseguenza anche la tua: quindi importantissimo è sviluppare una guida per riuscire a capire come poter aiutare gli pneumatici ad una miglior performance con il minore dei consumi in relazione al tuo stile. Questo significa far interagire la tua identità con le traiettorie e con le staccate in frenata, là dove cioè gli pneumatici impattano di più. Oltre tutto questo poi, la relazione deve essere anche settata con le diverse gomme, morbida, media o dura. Sono quindi tante le caratteristiche che un pilota può modificare nella sua tipologia di guida per poter riuscire ad avere una prestazione migliore e più a lungo termine. Come la stessa trazione, uscendo da un tornantino stretto, in base a quanto uno ha feeling sul pedale dell’acceleratore per creare meno pattinamento, crea un surriscaldamento del pneumatico posteriore inferiore o maggiore e a lunga durata in una gara per lo pneumatico può fare tantissima differenza. Devo dire che negli ultimi anni i piloti son diventati sempre meno attenti a questo perché anche le gare richiedono, fondamentalmente, un’ora e mezza come se si fosse sempre in qualifica: bisogna sempre spingere al massimo e preoccuparsi meno degli pneumatici, però nel periodo in cui io ero in pista si cercava di trovare un equilibrio tra indole e gomme.
La condivisione delle storie è per le famiglie che affrontano un tumore un aspetto importante: sapere di qualcuno che ha affrontato o sta affrontando lo stesso percorso aiuta a non sentirsi soli, gli unici in un momento della vita complesso, a volte incomprensibile dall’esterno. In questo però ci sono anche dei risvolti negativi: capita infatti spesso che le persone comparino storie molto diverse fra loro, quando in realtà ogni lotta contro il cancro è diversa da un’altra. È necessario difendersi dalle sovrapposizioni, mantenendo la lucidità sul proprio percorso anche quando si viene toccati dalla conoscenza di peggioramenti clinici in storie di persone con cui si condivide la stessa diagnosi: ogni persona affronta una storia unica, a lei dobbiamo offrire costantemente un supporto e una comprensione non generica ma attenta alla sua unicità. Come fa un pilota a mantenere in pista la lucidità necessaria quando vede intorno a sé succedere un grande incidente in cui viene coinvolto un suo collega e avversario?
Sempre tutto torna alla forza psicologica di noi piloti: noi siamo nati e cresciuti con degli obiettivi ben chiari e lo sport ci aiuta tanto a focalizzare questi obiettivi, che fondamentalmente sono di concretizzare un risultato, di vincere le gare. Quando siamo alla guida, noi stessi sappiamo di essere negli involucri che ci proteggono nel miglior modo possibile. Incidenti come quello capitato a Grosjean poche settimane fa sono scioccanti se osservati da fuori, ma se sei dentro ad una situazione del genere sei chiamato ad avere il sangue freddo necessario per uscirne indenne o con i minori danni possibili. Lui in questo senso ha mostrato qualcosa di davvero grande: non so quante persone al mondo in pochi secondi avrebbero saputo mantenere la sua lucidità, avvolto dalle fiamme, di compiere tutte le operazioni necessarie per uscire da quell’inferno. Non è per niente semplice anche solo assistere a qualcosa di simile mentre stai gareggiando, però la parte psicologica è più importante di quella fisica perché ti aiuta a raggiungere un traguardo; anche quando si è alla guida e succedono incidenti incredibili attorno a te, tu sai che il tuo obiettivo è sempre di portare a fine gara la macchina nel miglior modo possibile e di raggiungere il tuo traguardo, perché tu sei a tua volta una macchina umana, cresciuta e allenata per quello. Se ti concentri sull’obiettivo, riesci a difendere il tuo percorso da tutto ciò che intorno potrebbe penalizzarlo.
Quando si guarisce da un tumore, ci si aspetta che la propria vita torni quella di prima. In realtà in un percorso oncologico si evolve attraverso tante situazioni, le persone di prima non si è più. Ci si deve preparare ad affrontare un presente come persone nuove, poggiando questa maturazione sulla pace nei confronti del passato. Attraverso una relazione pacifica con il trascorso, anche nei suoi momenti più bui, tutto ciò che si è affrontato diventa parte della storia della propria vita, un capitolo che non resta isolato ma che fa parte dell’evoluzione nella storia. Tu ora hai concluso la tua carriera da pilota: guardandoti indietro, sei in pace con il percorso fatto?
Io penso di aver una situazione di serenità e pace totale perché ho sempre fatto tutto in maniera molto trasparente. Però come si può bene immaginare nella vita ci sono un sacco di situazioni che non sono dipendenti da te e che macchiano in qualche modo la tua serenità nell’analisi. Mi è capitato di trovarmi di fronte a situazioni più politiche che sportive che mi hanno portato alcune volte a pensare che, con comportamenti diversi, anche la mia storia avrebbe potuto cambiare. Non li posso chiamare rimpianti, ma diciamo delle voci che ogni tanto mi dicono: “Se avessi fatto questo, se avessi seguito, anziché l’istinto sportivo e il rispetto per la mia identità, il vantaggio delle opportunità forse oggi starei ripensando ad altri risultati”. Però io sono contentissimo di quello che ho fatto perché posso camminare sempre a testa alta e, anche negli errori che inevitabilmente avrò compiuto in qualche scelta, non ho rimpianti perché mi hanno fatto diventare la persona che sono adesso e ne sono pienamente soddisfatto. Non sono un più volte campione del mondo, ma una persona che può camminare a testa alta e guardare in faccia chiunque in maniera sicura di sé, perché è sempre stata onesta e vera, senza mai scendere a compromessi.