Atleti al tuo fianco: Riccardo Rosolin

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Si può dialogare di momenti di vita sportiva per offrire spunti di riflessione sulle difficoltà di chi combatte contro il cancro? Questa è la scommessa che offre il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Brescia con DAF in psico-oncologia e patrocinato dall’associazione Arenbì Onlus. Prende parte a questa iniziativa Riccardo Rosolin, allenatore della Federazione Italiana Tennis e in passato tecnico di Ana Ivanovic.

Ciao Riccardo, benvenuto nel progetto “Atleti al tuo fianco”. Oggi sfrutteremo la tua esperienza di allenatore e tecnico tennistico per parlare delle situazioni della vita quotidiana di chi sta affrontando nella propria vita un percorso contro un tumore maligno. Per avvicinarci a questo obiettivo, è molto importante che tu ti presenti ai lettori di questa iniziativa: raccontaci di te e del tuo percorso nel tennis.

Ciao a tutti, sono Riccardo Rosolin, un ex giocatore e oggi allenatore di tennis, ho mosso i miei primi passi in questo ambiente all’età di 6-7 anni e quindi si può dire che ho sempre vissuto nel mondo tennistico. La volontà di conoscere alcune metodologie di allenamento, sia fisiche che mentali, mi ha spinto a lasciare l’Italia, andando prima a Londra per circa 4 anni, per poi approdare in una delle accademie più importanti del mondo, la Sánchez-Casal, in Spagna: lì ho avuto la fortuna di essere affiancato da una grandissima personalità sportiva come Emilio Sánchez, e dal direttore dell’Academia Antonio Hernández, che ha rappresentato per me una vera e propria guida tanto nella vita quanto nello sport, aiutandomi a superare tutti i problemi che incontravo. Grazie a Hernández ho imparato veramente questa attività, trovandomi a lavorare con giocatrici come Ana Ivanović, Elena Bovina, Daniela Hantuchová, Maria Sakkari. Sono rientrato in Italia nel luglio 2016, dopo quindici anni passati all’estero e ho iniziato a collaborare col settore femminile della Federazione Italiana Tennis, in particolar modo con Tathiana Garbin, la nostra capitana di Fed Cup, con la quale stiamo portando avanti un progetto che coinvolge anche Martina Trevisan e Cristiana Ferrando, due ottime giocatrici che lavorano duro e stanno crescendo molto bene.

Il tema dell’affidamento è un aspetto importante in psico-oncologia: quando un paziente riceve una diagnosi di tumore, deve affidarsi nelle mani di un’equipe medica verso la quale è fondamentale provi una fiducia che la squadra di medici stessa deve ripagare e costantemente alimentare con serietà, competenza e sensibilità. Come hai vissuto il momento in cui, decidendo di partire dall’Italia, hai abbandonato le certezze che avevi andando alla ricerca di qualcuno che ti facesse fare un salto di qualità e nelle cui mani affidavi tutta la tua formazione professionale? Sei riuscito a nutrire fiducia nell’affidamento totale?

Quel che mi ha aiutato a mettermi con fiducia nelle mani di Antonio Hernandez è stata la percezione della voglia da parte sua di far crescere un allenatore giovane come ero io; soprattutto, ciò che mi ha colpito è stata la sua professionalità. Mi ricordo che un giorno avevo un appuntamento con lui alle 17 e mi presentai con mezz’ora di anticipo, lui mi aspettava già ed era pronto a ricevermi. Io ho percepito una persona talmente grande che stava aspettando un giovane tecnico sconosciuto, accogliendolo come se fosse il miglior tecnico del mondo: anche grazie a questo sono riuscito ad affidarmi con fiducia nelle sue mani.

Il cancro è un avversario subdolo, perché in certi momenti porta il corpo ad un peggioramento del suo stato di salute anche quando le terapie stanno facendo il proprio corso; questo rischia di insinuare una condizione di dubbio nella fiducia da parte del paziente nei confronti dei medici curanti. È fondamentale imparare, con gli strumenti della psico-oncologia, a gestire il dubbio, che altrimenti si introduce in maniera pericolosa nelle pieghe della mente. Ti è mai capitato di avere giornate in cui tu mettessi in dubbio che tutto questo volume di scelte importanti della tua vita potesse avere sbagliato destinatario e che fossi nelle mani di persone non all’altezza della crescita che tu stavi chiedendo?

Questo può capitare anche spesso, ma bisogna però avere la capacità di andare avanti e valutare giorno dopo giorno, anche quando abbiamo l’impressione di sbagliare qualcosa. L’importante è seguire il percorso che si sta facendo superando gli ostacoli che vi si presentano quotidianamente: così si raggiunge l’obiettivo prefissato. Il mio primo scopo era Londra, dove volevo imparare la lingua e le loro metodologie; poi è venuta la Spagna, dove avrei voluto lavorare con giocatori stranieri ma, senza conoscere l’inglese la cosa sarebbe stata ardua. In Spagna ho imparato realmente il lavoro tecnico, tattico, fisico, mentale per costruire un giocatore. Le difficoltà quotidiane ci sono sempre state, perché noi tecnici dobbiamo portare avanti ogni giorno le nostre giocatrici e noi veniamo sempre dopo. Il nostro obiettivo è il giocatore, lui o lei sono la stella ed il nostro lavoro è votato a portare il giocatore a eseguire la massima performance possibile, ogni giorno: non sempre è facile trovare l’equilibro con noi stessi.

Secondo il racconto di molti pazienti, i medici migliori sono quelli che non solo dispongono di una grande preparazione ma che riescono a prendersi cura a tutto tondo di chi si trovano davanti, valorizzando l’unicità della persona rispetto alla ripetitività della malattia. Come fa un allenatore a riuscire a prendere il proprio bagaglio di conoscenze e a personalizzarlo di fronte ad un’atleta che ha bisogno di un riferimento tecnico che si sposi con quello che è stato il suo percorso sportivo e di vita fino a quel momento?

La regola principale secondo me è innanzitutto la flessibilità, entrando nella personalità delle giocatrici delicatamente ma quotidianamente. Una giornata-tipo con una tennista dura circa 10-11 ore ed è in questo spazio che il tecnico deve capire, sotto tutti i punti di vista, chi ha davanti. Da quel momento, il tecnico sviluppa un programma basato sulla propria esperienza, con degli obiettivi, parlando con la giocatrice e programmando il lavoro insieme. Dobbiamo quindi procedere un passo alla volta, senza mostrarle tutto il percorso da fare in una volta sola. La cosa fondamentale con le persone che ti trovi a guidare è che esse si fidino di te, ma è compito tuo, con la competenza e la flessibilità, riuscire a guadagnarti e riconfermarti ogni giorno questa fiducia.

Nel lungo percorso oncologico bisogna sempre fare molta attenzione a distinguere tre concetti: realtà, speranza e illusione. Tu da tecnico, come guidi il percorso di una tennista che all’interno di una partita fa i conti con una realtà di risultato inizialmente negativo e per il quale deve alimentare la speranza di recuperare, senza vivere l’illusione che questo si possa verificare facilmente?

Innanzitutto la giocatrice deve entrare in campo con un piano ben definito: sapendo cosa fare anche quando le cose sembrano mettersi male aiuta ad avere meno paura. Lei deve rimanere attaccata, il più possibile, alla tattica preparata che poi la porterà o alla vittoria o alla sconfitta. Parlando della crescita di una giocatrice, deve seguire la tattica studiata prima del match, senza aver paura di perdere: se si arriva alla sconfitta con la tattica che abbiamo studiato in allenamento, significa che abbiamo fatto un passo importante da analizzare. Se si perde con la tattica sbagliata, poiché per esempio si ha paura, si affronta un momento di non-crescita, dove si perde anche molta fiducia. Noi lavoriamo molto sul corpo, poiché, quando si ha questa paura, questo blocco mentale, la giocatrice non sente più il corpo. La soluzione è quella di imparare a comandare il proprio corpo lavorando sul respiro: esso ci permette di ridominare il nostro corpo e, dal quel momento, possiamo tornare al lavoro che abbiamo fatto in allenamento. Bisogna sempre entrare in campo con un piano ben definiti e quello va seguito, sempre: essere preparati ti permette di avere la calma, la tranquillità per affrontare tutte le emozioni che possono nascere, dentro o fuori da un campo da tennis.


Grazie Riccardo
per la tua testimonianza che ti porta nella squadra di Atleti al tuo fianco, ci hai rivelato aspetti tecnici e mentali molto utili. Buon lavoro per il tuo progetto con le ragazze della Fit.

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