Lotta al cancro e sport si incontrano attraverso il dialogo con atleti professionisti che rivivono e raccontano le propria attività agonistica in un’ottica completamente diversa dal solito, che li avvicina a chi sta affrontando un tumore: questo è il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Oggi prende parte a questa iniziativa Daniele Moretti, ex calciatore che negli anni 90 fu una bandiera del Piacenza composto da soli italiani, con il quale giocò più di 200 partite raggiungendo due storiche promozioni in serie A; ora è responsabile del settore giovanile del Piacenza Calcio.
Ciao Daniele, benvenuto nel progetto Atleti al tuo fianco; oggi sfrutteremo il calcio e la tua esperienza sportiva per parlare della quotidianità di chi sta affrontando un tumore maligno. Il tema è delicato ma è importante parlarne anche con normalità, perché si possa capire che ci sono tante persone che ne affrontano le difficoltà quotidianamente. Avviciniamoci dandoti modo di presentarti: noi ti conosciamo come calciatore, ma chi sei tu Daniele Moretti quando non hai a che fare con il pallone e il rettangolo verde?
Ciao a tutti, per prima cosa vorrei dire che sono molto felice di partecipare a questa iniziativa. Mi presento: mi chiamo Daniele Moretti, vivo a Piacenza con la mia famiglia; sono papà di due figlie e con tutti loro amo andare fuori a mangiare insieme o al cinema, soprattutto il lunedì perché è il momento in cui riesco a non avere impegni calcistici. Mi piace vivere i momenti con loro perché ho fatto il calciatore professionista e la mia presenza a casa non è mai stata assidua; ma se devo pensare al modo più bello di passare del tempo fuori dalla mia attività lavorativa, loro sono le persone con cui amo stare e condividere gli svaghi, mi rilassa e mi rigenera, mi piacerebbe avere più tempo per farlo più spesso. Piacenza è la mia città da quando ho dodici anni e anche lei fa parte di me e della mia vita, dentro e fuori dal campo; sono arrivato da piccolo per giocare a calcio e sono ancora qui.
Molto spesso chi incontra una diagnosi di tumore, si deve da subito confrontare con i numeri, le statistiche e le probabilità, che raccontano l’insieme delle storie già scritte nel passato ma non quella che il paziente sta iniziando a vivere; l’obiettivo diventa invece scrivere una storia che alcune volte può diventare sorprendente per gli aspetti positivi imprevedibili, soprattutto per i progressi della ricerca oncologica. Tu dopo essere arrivato a Piacenza e aver fatto tutto il percorso nel settore giovanile, sei diventato calciatore professionista: hai mai incontrato sul tuo percorso di crescita qualcuno che di te dicesse “è forte, però di solito chi ha questo fisico non diventa calciatore” riuscendo poi a scrivere tu la tua storia, diversa e di successo?
È successo più di una volta quello che tu dici. Io andavo a fare dei provini con la Roma, sono stato scartato perché dicevano che ero piccolo, che fisicamente non ero all’altezza, in tutti i sensi. Poi sono venuto al Piacenza e mi hanno detto “Si’, sei piccolo, però hai due gambe e due piedi niente male” e si sono creati i presupposti per scrivere la storia che conosciamo. Però sai, quando la Roma mi ha detto questa cosa, che fisicamente non fossi adatto, sono stato fortunato ad essere alimentato da una grandissima forza interiore e supportato da una testa dura, che alcune volte è uno strumento utile. Io volevo raggiungere il mio obiettivo, ho accettato di andare lontano da casa e passo dopo passo, ci sono riuscito. Se avessi dato retta a chi mi diceva che ero un calciatore finito ancora prima di cominciare la battaglia, non avrei certo raggiunto gli obiettivi che dentro sentivo come primari e, soprattutto, come miei personali.
C’è mai stato un momento in cui hai rischiato di credere a chi ti diceva che non potessi farcela?
Sì, perché anche quando sono venuto al Piacenza, c’è stato chi a Roma parlava con i miei genitori dicendo “vedrete che fa il campionato Primavera ma poi non potrà compiere il grande salto” Loro mi riferivano questo e allora, dentro di te ti viene il dubbio, magari anche dopo qualche partita negativa, rischi di pensare “Hanno ragione loro, sto perdendo tempo lontano da casa”. Però poi c’è stato anche chi ha alimentato la determinazione che comunque io sentivo dentro, che mi aiutava anche a dirmi “ma tu adesso sei qui, a Piacenza, in una realtà importante in cui giocare le tue carte: vai e giocatele adesso, quello che succederà dopo lo vedremo”. Ho avuto anche fortuna, perché a 17 anni ho esordito in prima squadra, e questo mi ha aiutato ad avere delle conferme importanti, ma in alcuni momenti il dubbio ti viene, ed è lì forse uno dei momenti chiave in cui vinci o perdi la tua partita.
Convivere con le emozioni, le difficoltà e le paure cui ti spinge ogni secondo della tua vita il cancro non è facile per nulla, mantenere il dominio su di esse e sulla tua quotidianità è fondamentale per poter vivere anche mentre curi la malattia e non semplicemente sopravvivere in attesa di un esito. Tu hai vissuto un’esperienza sportivamente molto particolare, perché con la tua squadra hai scalato in due anni le categorie trovandoti dai campi della serie C1 agli stadi di serie A, contro i campioni più titolati del tuo sport. Ti è mai capitato, affrontando improvvisamente avversari il cui nome ti incuteva soggezione, di sentire le tue gambe tremare ed avere la sensazione di non essere più capace di fare quello che abitualmente facevi scendendo in campo?
Sì, mi ricordo benissimo la prima partita, in casa contro il Torino, contro giocatori che avevo sempre visto e ammirato in televisione, ero in tensione totale, pensavo non sarei mai stato capace di giocare serenamente. Questo per i primi 3-4 mesi l’ho provato spesso, soprattutto la notte prima della sfida: ricordo che quando eravamo in ritiro alla seconda giornata prima di giocare a S. Siro, con il mio grandissimo amico Giampiero Piovani, non abbiamo mai dormito in tutta notte da quanta tensione avessimo in corpo.
Come hai fatto quindi poi a prendere dominio della situazione con la tua testa?
Penso si possa chiamare esperienza, nel senso che piano piano, prendi consapevolezza e allora non vedi l’ora che arrivi l’evento perché sai che è il momento in cui devi mostrarti uomo, per una sfida che hai davanti a te, che ti devi giocare e in cui devi mettere tutto te stesso per vincere: è in questo modo che perdi la paura. Che poi non so se sia veramente paura quella che provavamo noi, perché forse quello è un sentimento che resta confinato a cose più drammatiche rispetto a queste tensioni agonistiche.
La paura è effettivamente un’emozione più angosciante, ma al tempo stesso risiede in un ambito simile a quello che ci hai raccontato: una pulsione che se non metti sotto controllo, diventa pilota del tuo aereo con effetti deleteri. In oncologia questo si verifica ad esempio quando l’aspetto clinico sembra migliorare ma magari dagli esami strumentali arriva un referto che afferma che c’è stato un passo indietro nell’evoluzione della malattia: il conforto dei progressi viene spazzato via in un secondo, e se non sei un bravo pilota rischi che questa catastrofe emotiva porti il tuo aereo a precipitare. Ti voglio chiedere questo: la grande favola Piacenza quell’anno, in realtà, retrocede. Per molti è la fine della storia, il sogno che si disintegra; ma al contrario, voi dopo il passo indietro riconquistate subito la serie A, dove resterete con successo per cinque anni di fila: scrivete la storia che sembrava un sogno in frantumi. Come avete fatto a ripartire con determinazione ed efficacia dopo il pesante contraccolpo della retrocessione, che poteva far sembrare il tutto soltanto una grandissima illusione?
Dici bene, il contraccolpo è stato tremendo: quando siamo retrocessi dalla serie A alla serie B, abbiamo avuto 2-3 mesi di sbandamento perché avevamo perso tutta la fiducia nei nostri mezzi, avevamo la sensazione di non essere forti come ci eravamo creduti. Infatti arrivarono diverse sconfitte proprio perché pensavamo che i risultati positivi dovessero arrivare semplicemente perché ci spettassero, quasi per titolo acquisito, come se noi non contassimo nel raggiungerli. È stato fondamentale far scattare la nostra testa, guardarci bene in faccia e mollare ogni tipo di presunzione e ogni forma di scoramento: di nuovo, noi eravamo lì per contribuire a scrivere la nostra storia. Da quel momento, fu una scalata difficile e faticosa, perché la serie B è un campionato molto fisico, ma fu la spinta decisiva per tornare nella massima serie scrivendo le pagine più gloriose del Piacenza degli italiani, rimasto nella memoria di moltissimi appassionati.
Ho un’ultima domanda per te. Uno dei grandi obiettivi della psico-oncologia è mantenere la direzione della mente del paziente e della sua famiglia finalizzata all’obiettivo anche quando ci sono dei momenti di difficoltà: capire che il progresso e il peggioramento fanno entrambi parte del percorso è una necessità fondamentale in oncologia, dove per raggiungere la vetta della guarigione alcune volte si scende di altitudine per accedere a punti di partenza più sicuri per incominciare a salire. Oggi il tuo lavoro è il responsabile del settore giovanile: quanto è difficile e quanto è importante per te, nel tuo ruolo, riuscire a guardare i tuoi ragazzi e trasmettere che il raggiungimento dell’obiettivo di diventare calciatori professionisti debba passare anche attraverso sconfitte brucianti, partite completamente sbagliate e alcune volte anche infortuni gravi?
Quello che io ho vissuto da calciatore mi aiuta tantissimo in questo, perché mentre io crescevo calcisticamente ero pieno di domande e di dubbi, erano più le difficoltà delle certezze e delle conferme. Quando vedo qualcuno in difficoltà, sotto il profilo dell’entusiasmo, che sembra accusare il colpo di alcune situazioni negative, cerco di fermarmi a parlare anche a tu per tu, raccontandogli i dubbi che ho vissuto, le difficoltà che ho passato per diventare io stesso calciatore. Non è assolutamente detto che poi uno ci riesca, ma deve avere davvero chiaro dentro di sé se quello è il suo obiettivo, perché la molla vera sta lì, è formata dalle tue personali motivazioni riguardo all’obiettivo stesso: possono esserci degli eventi che scaricano la tua molla, sei tu che la devi trovare, devi imparare ad osservarla e decidere se ricaricarla o meno. Anche di fronte alle difficoltà più grandi che si possano incontrare, questo è ciò che passa tra essere osservatore o fautore della storia della tua vita, sportiva ma non solo.
Grazie Daniele per le tue parole e per averci messo a disposizione la tua esperienza, ci hai dato modo di affrontare alcuni temi relativi all’oncologia e con le tue risposte sei riuscito con la più grande umiltà possibile a parlare di calcio offrendo spunti che vanno ben al di là dell’aspetto sportivo. Con questa testimonianza, tu da oggi sei un atleta al fianco di chi sta affrontando il cancro, la tua storia avvicina te a molte persone che ogni giorno ricaricano con grande impegno la propria molla verso un grandissimo obiettivo.