Atleti al tuo fianco: Deborah Chiesa

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Parlare di cancro in maniera libera con sportivi professionisti, ponendo la luce su aspetti della quotidianità di chi sta combattendo un tumore mentre si dialoga di sport: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”. L’iniziativa è guidata dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con DAF in psico-oncologia e patrocinata dall’associazione Arenbì Onlus. Entra a far parte di questa squadra di atleti Deborah Chiesa, giocatrice della Nazionale Italiana di tennis in Fed Cup, prossima agli impegni sui campi in erba di Wimbledon.

Ciao Deborah, benvenuta nel progetto Atleti al tuo fianco. La tua esperienza da tennista diventerà strumento per raccontare alcuni aspetti della quotidianità delle persone che stanno affrontando un tumore maligno. Per avvicinarci a questo obiettivo, partiamo dalla tua personale quotidianità: raccontaci come si svolgono le tue giornate, quando hai terminato l’attività sui campi da tennis.

Devo dire che io vivo le mie giornate principalmente sul campo, ma nel tempo che mi resta a disposizione, sono una ragazza abbastanza tranquilla, riservata: non mi piace tanto uscire la sera in discoteca, preferisco riposarmi, stare in serenità, rimanere con la mia famiglia, Di recente mi sono trasferita ad Anzio per potermi allenare con maggiore efficacia, così appena posso torno a casa mia, sul lago di Garda, dove mi piace molto recuperare le energie. Mi piace leggere e cucinare dolci, condividendo il tempo fuori dal campo con le persone che mi fanno stare tranquilla.

Doversi allontanare da casa per effettuare un intervento chirurgico o la fase di terapia, non è una situazione agevole. Alcune volte si sente la mancanza di alcune persone che si vorrebbe avere lì in quel momento, altre volte la difficoltà viene esasperata dalla rinuncia obbligata di elementi molto meno prevedibili, come il proprio cuscino, i rumori di casa, il proprio animale domestico. Come vivi tu ad Anzio la distanza forzata dal lago di Garda e dalle montagne del Trentino, ambienti naturali del tuo percorso di crescita?

Sicuramente l’elemento principale è la motivazione dello sport. Io a casa sono sempre stata benissimo, ma un anno e mezzo fa ho dovuto fare una scelta per cercare di diventare una giocatrice professionista a tutti gli effetti; sono dovuta uscire da una situazione di grande agio per cercare una svolta. All’inizio i miei genitori mi hanno accompagnata, aiutandomi a prendere casa. Poi, ovviamente, sono arrivati anche i momenti complicati, perché per la prima volta mi trovavo ad abitare da sola; anche se viaggio tutto l’anno tra i tornei del mondo, ci sono piccole cose della quotidianità che di solito mi ha fatto la mamma: anche questo fa parte di un percorso di crescita. Ora mi sono trovata il mio ambiente, il mio equilibrio, le mie cose, quindi anche da sola sto bene, sebbene ogni tanto i miei genitori mi vengano a trovare. Il lago e le montagne ovviamente mancano, ma i motivi per cui tu stai compiendo un percorso sono la chiave: trovato il motivo, la sua potenza aiuterà a sopportare le difficoltà del percorso.

I “Survivors” sono persone che hanno affrontato il cancro e lo hanno sconfitto. Molti pazienti raccontano che ascoltare le loro storie, aiuta a capire che c’è chi ci è passato, che li capisce e che ce l’ha fatta. Nel tuo percorso tennistico, quanto è importante avere come riferimento quotidiano Karin Knapp, tennista italiana che ha raggiunto grandi traguardi passando attraverso percorsi molto difficili?

È importantissimo avere qualcuno che sa cosa comporti il percorso che stai affrontando: ti senti capita, compresa, incoraggiata. Se analizziamo solo l’ambito sportivo, il tennis è uno sport che, finché non raggiungi certi risultati e quindi una certa stabilità, mette in enorme discussione. Karin è per me un riferimento insostituibile: dopo una brutta sconfitta mi rassicura, mi aiuta a capire che la strada è quella giusta anche se c’è un momento difficile. Anche i miei allenatori, che sono stati pure i suoi, conoscono i passaggi necessari per fare questo percorso di miglioramento costante e mi guidano con cura e sensibilità. Io in loro ho piena fiducia.

Il rapporto con l’alimentazione non è semplice in oncologia, non solo per la comparsa di nausea in seguito alle terapie, ma anche per una riduzione frequente dell’appetito e per una variazione della percezione dei sapori. Quando ci si riappropria di una alimentazione libera, si vive un momento molto felice. Per te tennista professionista con la passione dei dolci, c’è libertà di mangiare ciò che più ti piace o devi attenerti ad un’alimentazione regolata?

Per una tennista professionista, l’alimentazione è basilare. Seguendo alcune indicazioni importanti, nell’ultimo anno ho ridotto il mio peso di sei chili: lo staff mi aveva fatto capire che era indispensabile per elevare il livello del mio tennis. All’inizio, non ho preso molto bene le restrizioni imposte, ma ho capito che lo stavo facendo con un obiettivo importante, per il bene del mio tennis. Non si trattava di estetica, ma di efficacia sul campo. Ho seguito le indicazioni del nutrizionista e ho limitato l’apporto di zuccheri; certo, continuo a preparare dolci, ma per le altre persone, per me mangiarli è uno sgarro che ci sta solo in particolari occasioni. Quel che mi fregava di più però è che abitualmente, vivendo da sempre in un hotel, ero abituata a trovare tutto pronto a diversi orari del giorno. Era per me un’abitudine consolidata sbocconcellare anche fuori dagli orari del pasto. Ho eliminato questa consuetudine e sono riuscita a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissati, insieme con lo staff.

Il percorso verso la guarigione di una persona ammalata di cancro verso la guarigione è molto lungo e molto vario; molto spesso ci sono dei progressi che non vogliono dire “profumo di traguardo”, alcune volte ci sono dei peggioramenti che non vogliono dire “orlo del baratro”. Nella tua storia tennistica, hai esordito nel tabellone principale del Roland Garros raggiungendo un match point, ma poi perdendo la partita. Come si torna a giocare una partita del circuito Challenger, dopo aver respirato un traguardo enorme a pochi passi?

Non è per nulla facile: aver perso un match point significa aver sfiorato un traguardo alla portata, è doloroso e difficile da accettare. Però devo comunque essere orgogliosa sia delle partite che ho vinto per arrivare fino al tabellone principale del Roland Garros, sia per essere arrivata fino al match point con una giocatrice come Belinda Bencic, molto più esperta di me. Però, i giorni immediatamente successivi, è stata molto molto dura, anche in allenamento, provare a guardare avanti, non l’ho affrontato benissimo; fortunatamente c’è l’allenatore che ti aiuta, che cerca di scuoterti Poi, partita dopo partita, ho cercato di rifocalizzarmi sui miei obiettivi, sulla crescita a lungo termine. Se io comunque penso a dove io ero sei mesi o un anno fa, non avrei minimamente pensato di qualificarmi, e di arrivare al match point in un tabellone principale del Roland Garros. Il tempo segue il suo corso: piano piano, diventi più consapevole, più esperto, più pronto.

La psiconcologia aiuta i pazienti e i familiari ad affrontare ogni singolo giorno, impedendo alle difficoltà precedenti di invadere gli obiettivi del giorno presente. Questo aiuta a vivere tappe che si ripetono, come ad esempio i cicli di chemioterapia, impedendo che i ricordi del ciclo precedente condizionino l’avvicinamento al nuovo appuntamento di terapia. Nel tennis, capita di dover pulire la mente da un elemento ricorrente nelle partite, come ad esempio un doppio fallo su di un set point, o ogni volta è semplicemente una partita così nuova che non restano residui delle situazioni precedenti?

Magari non restasse un residuo: capita a tutti, chi più, chi meno. A me succede spesso, su delle occasioni non sfruttate, su un colpo sbagliato. Spesso mi viene in mente la partita precedente che non è andata bene, in cui mi sono magari bloccata o agitata in un determinato momento. Tu devi essere bravo nel scacciare quel pensiero e concentrarti sulla forza positiva di altri momenti di obiettivi raggiunti. Il ricordo può essere positivo perché magari ti rievoca le sensazioni, i colpi, le giocate che hai fatto in quel momento e che ti hanno portato a vincere quel punto. Certo non è facile né è garanzia di successo, ma la cosa principale è riuscire a scacciare il pensiero negativo. Quello bisogna cercare di toglierlo, perché ogni tappa è un passo nuovo verso un obiettivo: il residuo negativo ti ci può allontanare, anche se sta raccontando la storia di un altro momento. Quella che ti aspetta davanti, è ancora da scrivere.

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