Dalla parte del paziente: Filippo Coppola

Di Permalink 0

Cosa succede se ribaltiamo la dinamica di Atleti al tuo fianco ed intervistiamo una persona che ha vissuto direttamente il cancro per sottoporre al suo giudizio le domande che rivolgiamo ai campioni dello sport italiano? Abbiamo coinvolto in questo esperimento Filippo Coppola, ragazzo e uomo che ha conosciuto la realtà dell’ematologia, del trapianto di midollo, delle complicanze post trapianto, di ogni difficoltà possibile che porti più volte alle soglie della perdita di ogni speranza per una diagnosi che, prima di lui, non aveva mai risparmiato nessuna persona colpita al di sotto dei 40 anni. Oggi Filippo è felicemente con noi, sta bene, sta cercando di costruire il suo presente come professore privato e ha scelto di accettare il nostro invito, nell’intervista curata da Stefano Rinaudo di Atleti al tuo fianco.

Ciao Filippo, benvenuto nella famiglia di Atleti Al Tuo Fianco. Presentati ai nostri lettori.

Ciao a tutti! Mi chiamo Filippo Coppola e vivo a Milano. Dopo le superiori ho conseguito la laurea in Scienze Politiche e, avendo sostenuto un concorso interno all’Arcidiocesi di Milano, ho lavorato per alcuni anni come insegnante di religione. In età adulta mi sono nuovamente iscritto all’università e ho portato a termine un percorso di studi storici. Oggi mi trovo dunque a cercare di realizzare il mio più grande desiderio: diventare un professore di storia e letteratura. Al momento lavoro principalmente nel settore privato e aiuto i ragazzi che ne hanno bisogno con ripetizioni in queste materie. Il motivo per cui oggi mi trovo ad essere intervistato da un progetto che opera in ambito psiconcologico è che, nel 2013, mi è stata diagnosticata una leucemia che mi ha portato, in più occasioni, a rischiare concretamente di morire. Ricordo ancora il giorno in cui mi recai in ospedale per il primo controllo: mi ero insospettito nel vedere un gonfiore sul fianco sinistro, a livello della milza, dove la mia adorata gatta Jacqueline andava sempre ad appoggiarsi. Nel mio percorso di cura sono entrato in contatto con moltissimi specialisti diversi tra cui il dr. Alberto Tagliapietra e, tramite lui, oggi sono qui a raccontare la mia esperienza.

Quando intervistiamo i nostri atleti, chiediamo loro spesso di raccontarci le sensazioni provate nell’affrontare un avversario che sulla carta risulta quasi imbattibile (Come si pone un tennista davanti all’idea di affrontare Roger Federer? Cosa prova un difensore chiamato a dover marcare Cristiano Ronaldo?). Questo spunto ci è utile per riflettere sulle sensazioni provate da un malato di tumore che realizza di doversi confrontare con un “nemico” che pare imbattibile. Tu, che hai vissuto sulla tua pelle la realtà della malattia oncologica, come giudichi questo parallelismo?

Questo parallelismo può avere un senso, ma è essenziale tenere a mente che non esiste avversario imbattibile. Anche Federer ha perso numerosi incontri! Quando si parla di medicina occorre poi precisare che, nonostante esistano statistiche e dati relativi a tutte le patologie, ogni persona è un capitolo a sé. Ogni malato ha una sua storia e la stessa malattia può avere un decorso molto diverso su una persona o su un’altra. La tua malattia riguarda te ed è importante che tu la conosca. Un altro punto che mi preme evidenziare, relativamente a questa questione, è poi che vi è anche il rovescio della medaglia: per un tennista affrontare Federer vuol dire confrontarsi con il numero 1; dopo aver affrontato un avversario come lui il bagaglio d’esperienza sarà incommensurabilmente maggiore rispetto a ciò che puoi ricavare nell’affrontare l’ultimo in classifica! Volendo trasferire questo ragionamento alla malattia, posso dire che, dopo aver affrontato una situazione così tragica (che ha rischiato di uccidermi in più occasioni) io non sono più lo stesso di prima, ho una consapevolezza maggiore di me, e anche le persone che mi circondano lo percepiscono.

Talvolta nella nostra attività divulgativa utilizziamo il concetto di gara, con tutto l’insieme di emozioni che scaturisce, come metafora della sequela di appuntamenti medici, esami, visite, interventi, che un paziente oncologico deve affrontare. Può essere utile questo paragone (tenendo ovviamente presente l’enorme differenza delle poste in gioco)? Quali strategie usavi tu per tenere a bada l’ansia e le sensazioni negative durante questi continui appuntamenti?

Anche in questo caso il paragone può essere calzante, ma bisogna tenere presente spesso le persone reagiscono in maniera imprevedibile ai vari tipi di ansia. Non sempre la reazione emotiva a una determinata sensazione è proporzionata ed uniforme a tutti gli individui. Faccio un esempio pratico: ho visto persone dimostrare un’angoscia maggiore per un esame universitario rispetto a quella mostrata per una TC in nel corso di un percorso di cura, nonostante fosse evidente la disparità di importanza dei due esami in questione. Per questo motivo sostengo che sia molto difficile fornire una risposta unica ed uniforme: l’animo umano è assai complesso e reagisce in modo spesso imprevedibile agli ostacoli che incontra sul suo cammino. Per quanto riguarda invece i metodi per gestire la tensione in quelle situazioni di grande difficoltà, posso dire che dal canto mio ho sempre trovato conforto nella consapevolezza di non essermi privato delle situazioni piacevoli che la vita mi metteva davanti. Può sembrare banale, ma nel momento in cui mi trovavo bloccato in un letto d’ospedale, provato dalle cure e con una flebo piantata nel braccio, il pensiero che, quando mi era stata data la possibilità di vivere un’esperienza piacevole io non le avevo sbattuto la porta in faccia mi infondeva una grande tranquillità. Si parla magari di piccole cose, ma in fondo la vita è costellata di queste piccole cose di cui nei momenti di sofferenza si scopre la grandezza.

L’ultima domanda verte sul concetto di squadra. Gli atleti che intervistiamo molto spesso ci parlano dell’importanza che ha per loro l’insieme delle persone che li circonda: i compagni, l’allenatore, i fisioterapisti, i tifosi… Più volte abbiamo utilizzato questo spunto per discutere del concetto di team anche in ambito oncologico. Un paziente non è mai completamente solo, ma si trova ad interfacciarsi con medici, infermieri e familiari che in modo indiretto vivono l’esperienza della malattia in modo spesso intensissimo. Come giudichi questa dimensione della malattia? Ti ritrovi nelle parole degli sportivi sopra citati?


Pensando alla metafora sportiva, mi verrebbe da dire che sarebbe più corretto accostare l’immagine del malato a quella del tennista piuttosto che a quella del calciatore. Il tennista nel momento della gara è solo: certo può contare su tifosi, allenatore ecc…ma ciò non toglie che nel momento determinante della competizione nessuno può fare qualcosa al posto suo. Così il malato di cancro. Tengo poi a dire che è fondamentale che, per quanto possibile, il paziente debba vivere la malattia in maniera “egoistica”: è un fardello già di per sé molto pesante da portare, e può diventare insostenibile se ci si preoccupa anche di quanto la propria malattia possa far soffrire le persone che ci circondano. Un altro aspetto che ho notato della realtà oncologica mi ricorda molto il futurista Marinetti quando sosteneva che la guerra è l’igiene del mondo. Trasportando la sua affermazione nella realtà medica mi sento di dire che il cancro mette a nudo tutte le persone, ed in un certo senso ne accentua le caratteristiche: chi era altruista diventa più altruista, chi era tirchio diventa più tirchio, chi era generoso diventa più generoso…Come se la malattia mostrasse la vera natura delle persone. Ancora oggi posso contare su amicizie che si sono consolidate proprio in quel particolare periodo della mia vita!

Comments are closed.