Parlare di lotta al cancro conversando con sportivi professionisti delle loro difficoltà e abitudini quotidiane, permettendo loro di avvicinarsi e sostenere chi sta combattendo contro un tumore: questa è la scommessa che lancia il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus. Ha raccolto la sfida Anastasia Grymalska, tennista italiana di 26 anni che in carriera ha giocato più di 800 match in tornei Wta e Itf tra singolare e doppio, raggiungendo la posizione 213 nella classifica mondiale, vincendo la medaglia d’argento in doppio ai Giochi del Mediterraneo nel 2013 e trionfando per ben due volte al torneo di Hammamet in Tunisia.
Anastasia, grazie per aver accettato la nostra sfida. Prima di tutto, permettici di conoscerti un pochino meglio parlandoci della tua vita e delle tue passioni senza la racchetta in mano: chi è Anastasia Grymalska fuori dai campi da tennis?
È una bella domanda, che mi mette un pochino in difficoltà perché è da quando sono bambina che faccio quasi esclusivamente la tennista; mio padre è un maestro di tennis e così ho iniziato molto presto a giocare e ad allenarmi. Senza dubbio ci sono cose che nel tempo libero mi piacerebbe aver fatto o fare in futuro, ma non sono mai riuscita a ritagliare il tempo necessario: ad esempio, a me affascina molto chi suona strumenti musicali, e mi piacerebbe un giorno imparare a suonare il violino. Un’altra passione che mi piacerebbe molto espandere è l’abilità in cucina: vorrei imparare a cucinare dolci, partendo dal tiramisù. Spero un giorno di riuscire a dedicare il tempo necessario anche a queste passioni, per adesso restano idee in cantiere perché sono molto focalizzata sul tennis, a volte perfino troppo.
C’è una difficoltà che chi affronta un tumore in prima persona o accanto a un familiare conosce molto bene: un cancro infatti molto spesso cambia radicalmente le abitudini di una persona, impedendole attività prima semplicissime come passeggiate, chiacchierate o pranzi da condividere con amici e coetanei, obbligando a rinunce che vanno a sommarsi in un quadro che è emotivamente già molto serio e davvero complesso da gestire. Come ti sei sentita tu nella tua vita quando hai dovuto rinunciare a delle situazioni di vita comune ai tuoi coetanei perché essere una tennista professionista non ti permetteva di prendervi parte?
Mi è già capitato di dover rinunciare ad alcune situazioni, anche da giovanissima, a cui avrei voluto prendere parte, ma devo anche riconoscere che nessuno mi ha costretta a scegliere di diventare una tennista. Certo, il tutto diventa difficile quando magari ci sono periodi in cui i risultati non arrivano, e allora le certezze cominciano a traballare e capita di chiedersi in momenti di crisi “Chi me lo fa fare”. I sacrifici rischiano di diventare frustrazione quando ti mancano i segnali che ti incoraggino e ricordino che c’è un motivo per non mollare, però è stato proprio quando ho tenuto duro nei momenti più delicati che ho permesso alle situazioni di offrirmi l’opportunità di svoltare, magari attraverso una vittoria inaspettata su cui poggiare la base per continuare a credere nel mio percorso e a convivere anche con qualche necessario sacrificio.
In un percorso oncologico, oltre alla malattia primaria in sé possono comparire diversi effetti collaterali alle terapie che influenzano in negativo la qualità di vita e che bisogna imparare a gestire nelle attività quotidiane. Come convivi tu con infortuni o fastidi che non ti permettono di essere performante al cento per cento nelle tue sfide sul campo?
Proprio prima di cominciare le sfide finali di pre-qualificazione agli Internazionali Bnl di Roma di quest’anno ho patito un piccolo infortunio ad un gomito che mi impediva di poter effettuare il servizio come avrei voluto; ero preoccupata di non potermi esprimere al meglio in un torneo con avversarie di così alto livello. Secondo me è importante avere la possibilità di affidarsi ad uno staff sanitario con competenze adeguate, perché ti tranquillizza molto: io sono stata curata al meglio e devo dire che poi in tutto il torneo non ho sentito alcun dolore, e ciò mi ha permesso di avere la testa più libera e concentrata sugli obiettivi della partita.
L’espressione “tumore maligno” incute enorme paura a chiunque se la senta nominare in una diagnosi: ciò è comprensibile perché la paura, seppur si possa imparare a controllarla, non è un elemento razionale e anche se al giorno d’oggi su 10 diagnosi di tumore maligno 7 vanno incontro a guarigione, l’idea di non avere gli strumenti per affrontare e battere questo avversario è molto spesso la reazione immediata che rischia di devastare l’ambito delle emozioni di una persona. Da sportiva, come ti sei comportata quando di fronte ti sei trovata un’avversaria che reputavi imbattibile e il cui solo nome ti faceva tremare le gambe?
Una volta mi è capitata questa situazione: ero al torneo Wta di Palermo nel 2011 e il sorteggio al primo turno mi ha messo di fronte a Flavia Pennetta; ero decisamente in difficoltà a gestire le mie emozioni a riguardo, la notte prima della gara non riuscii a dormire e perché se chiudevo gli occhi mi vedevo lisciare la palla, mi venivano davanti solo immagini non positive. Una volta sul campo, di fronte alla possibilità di fare qualcosa, mi sono posta l’obiettivo di combattere con le forze che avevo in quel momento, sapendo che con probabilità avrei perso, ma che al tempo stesso se c’erano poche possibilità di vincere, quelle poche dovevo giocarmele, e così avrei dovuto sempre fare con avversari difficili: io non posso avere la certezza prima quale sarà la partita in cui mi riuscirà l’impresa, ma perché l’impresa possa riuscire io devo lottare al massimo in ogni sfida. Alla fine persi quella partita 6-4 6-1 ma la ricordo come un’esperienza positiva perché mi ha insegnato a lottare anche in situazioni con il pronostico pesantemente a sfavore, perché non si può mai avere la certezza di come davvero finirà quella sfida.
Nella tua carriera da tennista, ti è mai capitato di avere la sensazione che una partita fosse già persa, e magari intorno a te qualcuno ti dava già per sconfitta, mentre tu sei invece riuscita a ribaltare la sfida e portare a casa la vittoria?
Una volta in un torneo in Marocco stavo giocando la partita finale per l’accesso al tabellone principale, avevo perso il primo set 7-6 e nel secondo ero sotto 5-1 40-15, con la mia avversaria che aveva due match point. Se avessi pensato a quanti punti avrei dovuto fare per ribaltare la situazione, probabilmente avrei visto la situazione come insormontabile; così mi sono concentrata su ogni singolo punto, che era un piccolo passo a cui affiancare subito dopo un altro piccolo passo. Riuscii a respingere la vittoria dell’avversaria nel secondo set, e game dopo game me lo aggiudicai io. Al terzo set fu invece la mia avversaria che si scoprì in difficoltà fisica ed emotiva, per cui riuscii a vincere la partita. A fine gara ero veramente emozionata ed orgogliosa, oltre che sorpresa per quanto fatto, perché a ripensare a cosa fossi riuscita a ribaltare era davvero sorprendente, anche se in realtà io avevo solo un passettino alla volta per poi trovarmi ad aver compiuto una difficile scalata. L’abbraccio a fine gara con l’allenatore me lo ricordo ancora, fu una grandissima soddisfazione.
In un percorso oncologico e psico-oncologico, c’è un aspetto molto importante che è l’interpretazione dei segni di evoluzione della malattia. Chi è guarito da un cancro spesso rivela che ci sia stato un momento nel proprio percorso di malattia in cui ha capito che ce l’avrebbe fatta e sarebbe guarito, anche se in passato aveva avuto momenti di crollo delle proprie speranze. C’è stato un momento della tua carriera da tennista in cui hai avuto la sensazione che ce l’avevi fatta, che nella vita avresti fatto la tennista professionista?
Sì, senza dubbio quando ho partecipato ai tornei del Grande Slam Junior; ero ancora molto giovane, ma andare in Australia o agli Us Open o Wimbledon, giocare davvero questi grandissimi tornei che prima seguivo o il cui nome lo sentivo solo nominare in racconti di altri tennisti, mi ha fatto capire che anch’io ero sulla strada giusta, che potevo credere nel mio sogno. Certo io oggi non posso dire che io sia arrivata, che abbia tagliato i traguardi che mi sono posta come obiettivo, però ricordo bene che la sensazione in quelle esperienze fu proprio di conferma, che non stavo lavorando su un’illusione ma che fossi sulla buona strada per farcela.
Grazie Anastasia, da oggi non sei più un’atleta solo sul campo, ma lo sei anche al fianco di chi sta sfidando il cancro, la tua sincerità sarà d’aiuto a molte persone che devono raggiungere un grande traguardo.